La mostra «Carlo Maratti e il ritratto. Papi e Principi del Barocco romano», aperta dal 6 dicembre al 16 febbraio 2025 a Palazzo Barberini, Roma, illustra un lato della produzione meno nota, ma non meno importante, di un pittore celebrato in vita come tra i maggiori dello scenario europeo. Curata da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò e Yuri Primarosa, e concepito come corollario della pubblicazione del catalogo ragionato dell’artista (edito da Ugo Bozzi), la mostra mette in evidenza la rete delle relazioni, umane e professionali, del pittore nato a Camerano, nelle Marche, nel 1625, giunto a Roma nel 1636, e qui morto nel 1713.
Le sue opere a soggetto sacro o mitologico, raffinata sintesi del bello ideale in senso classico, non suggeriscono, come i ritratti, i legami affettivi, di complicità intellettuale e di stima sociale, che puntellarono, oltre all’arte, anche la vita dell’artista. Un pittore quindi, tanto classico, quanto proteiforme, se seppe attingere anche al realismo espressivo e psicologico, alla definizione dei dettagli e alla collocazione sociale degli effigiati. Tra di essi, amici intimi e papi, parenti e principi. Nel settore degli amici intimi figura Giovan Pietro Bellori, ritratto nel 1672-73 in occasione della pubblicazione delle sue Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, ispirate alle Vite di Vasari, ma con l’intento di affermare uno dei principi cardine dell’arte antica e moderna, ovvero il primato del Classicismo, di cui il campione è proprio l’osannato Maratti. È in lui, secondo lo storico dell’arte, che assume veste pittorica l’idea, in senso platonico, della bellezza suprema e universale, frutto di contemplazione della natura, di purificazione delle sue imperfezioni, fino all’incanto dell’astrazione assoluta, all’insegna della grazia. Nel ritratto, Bellori indica, con la mano, proprio il volume di tali biografie. Tra gli amici effigiati, c’è però anche Clemente IX Rospigliosi, amante delle lettere e frequentato dall’artista ben prima di assurgere, nel 1667, al soglio pontificio. È proprio il Bellori a narrare come l’opera fosse iniziata dopo lunghe sedute dal vero presso il convento di Santa Sabina sull’Aventino, dove il pontefice soleva ritirarsi, ma che, a differenza delle regole prescritte a tutti gli artisti, che imponevano l’esecuzione dei ritratti pontificali in piedi, il Maratti poté sedersi, per non stancarsi.
Il «Ritratto della figlia Faustina come Allegoria della Pittura» (1698), vede l’adorata figlia posare con l’espressione sognante di una poetessa in cerca d’ispirazione, per una trasposizione pittorica di istanze letterarie nate in seno all’Accademia dell’Arcadia, di cui sia lei sia il padre erano membri. È, questa, un’opera sulla vita dell’artista, che due cose amava di più al mondo: la figlia e la pittura. Dei primi anni del XVIII secolo è invece il ritratto della terza moglie, copia di un allievo di un originale del maestro, «Francesca Gommi mostra un disegno raffigurante Venere che forgia le armi di Cupido». Ovvero la madre di Faustina, inserita in un’allegoria dell’amore. A ritratti di figure non apicali della società del tempo, come quello del frate Luke Wedding (1655), teologo irlandese colto nella stesura dei suoi Annales davanti a un’icona della Vergine, o del giurista Ercole Ronconi, dal volto incorniciato da un elaborato bavero di pizzo, virtuosisticamente rappresentato (1662-63), si alternano effigi dell’aristocrazia romana: tutti volevano essere immortalati dal maggiore pittore italiano del tempo. Ecco, allora, i ritratti dei due figli di Taddeo Barberini (nipote di Urbano VIII) e Anna Colonna, ovvero il principe Maffeo Barberini (1670-71) e il cardinale Carlo Barberini (1675), ritratti negli stessi anni dello zio, il cardinale Antonio Barberini. I Rospigliosi non sono solo rappresentati in mostra dal citato ritratto di Innocenzo IX, ma anche da quelli della nipote prediletta, Maria Maddalena Rospigliosi Panciatichi (1664 ca), raffigurata con l’abito migliore del suo corredo, e del cardinal nipote Giacomo Rospigliosi (1680). Anche la nobiltà non romana, chiede al Maratti di avere qualcosa che ricordi il suo passaggio a Roma, come Cosimo III de’ Medici, granduca di Toscana, ritratto nel 1700. A guidarlo nella visita ai Palazzi Apostolici fu proprio l’allora anziano pittore marchigiano, in qualità di Soprintendente delle fabbriche vaticane.