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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliTra i celebri monumenti funerari in Santa Croce a Firenze c’è quello di Vittorio Alfieri scolpito di Antonio Canova: a commissionarlo all’artista era stata Luisa Stolberg Gedern (1752-1824), contessa d’Albany, colei che con il grande scrittore, condivise lunga parte della vita. Nel 1824 anche Luisa sarà sepolta nella stessa Basilica, ma bisogna attendere il 1830 per la realizzazione, accanto alla lapide, del cenotafio in marmo apuano, che il pittore François Xavier Fabre, nominato dalla contessa erede universale, commissiona, su disegno dell’architetto francese Charles Percier, a Emilio Santarelli, con la parte ornamentale affidata a Luigi Giovannozzi. Di quest’opera, situata nella Cappella Castellani, è stato appena presentato, dal segretario generale dell’Opera di Santa Croce Stefano Filipponi e dalla conservatrice del complesso monumentale Eleonora Mazzocchi, il restauro finanziato in onore di Luisa dalla donatrice statunitense Donna Malin.
Malin, che ha alle spalle un’importante carriera di avvocato in una multinazionale, è impegnata in attività di mentoring per lo sviluppo personale e professionale delle donne ed è stata vicepresidente di Women in Need, organizzazione senza fini di lucro che si prende cura di donne e bambini senzatetto di New York. Donna Malin ha scoperto Firenze da adolescente e ogni anno vi soggiorna per qualche mese. È dal 2014 che sostiene i progetti di restauro promossi dall’Opera di Santa Croce, dalla campagna di crowdfunding #CrazyForPazzi al restauro delle tombe di Michelangelo e Machiavelli.
Donna cosmopolita, appassionata di letteratura, filosofia e scienza, una volta separata (grazie al sovrano di Svevia Gustavo III) dal marito l’ultimo erede degli Stuart Edoardo Carlo che la maltrattava dopo aver affogato nell’alcool le proprie delusioni politiche, Luisa si stabilisce a Parigi con Vittorio Alfieri, conosciuto nel 1777 a Parigi. Qui è animatrice di un salotto frequentato da Jacques Luis David, Madame de Staël, Ippolito Pindemonte e Giuseppina Beauharnais, ma dopo la Rivoluzione la coppia, di «fede» ancien régime, si trasferisce a Firenze, nel Palazzo Gianfigliazzi sul Lungarno Corsini, che diviene presto meta di quella «società diplomatica, varia, severa», toscana e internazionale, descritta nel 1812 da Ugo Foscolo in una lettera a un’amica.
Il restauro del monumento, per mano di Paola Rosa (restauratrice, tra l’altro, della «Pieta Bandini» di Michelangelo) con Emanuela Peiretti, restituisce al monumento offuscato dalla patina del tempo quel carattere neorinascimentale che lo scultore, uno dei rappresentanti del Purismo, seppe imprimere nel marmo. L’opera dialoga infatti con i celebri sepolcri rinascimentali della Basilica, quelli di Antonio Rossellino e di Desiderio da Settignano, ma anche quello di Mino da Fiesole, situato nella stessa cappella.
Il monumento a Luisa Stolberg è composto da due geni funerari alati con al centro un cippo su cui sono scolpite a bassorilievo le virtù teologali sovrastato da una lunetta con gli stemmi gentilizi degli Stolberg e degli Staurt. Nell’opera Santarelli supera la concezione neoclassica del bello ideale, preferendo l’osservazione del dato di natura, poi depurato dalle disarmonie, secondo la via del «bello naturale» teorizzata da Lorenzo Bartolini. Durante l’alluvione del 1966, il monumento era stato sommerso fino a un metro e mezzo di altezza e, nonostante la pulitura, restavano ancora tracce dei danni causati dal fango, mentre le lastre del basamento erano coperte da un abbondante strato di cera. I depositi sono stati rimossi utilizzando, a seconda dei casi, acqua demineralizzata calda, ammonio in soluzione, white spirit e bisturi.
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Una veduta del monumento funebre di Luisa Stolberg Gedern post restauro
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