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Gaspare Melchiorri
Leggi i suoi articoliGrazie all’apporto di tecnologie avanzatissime, sono stati decifrati tre minuscoli rotoli buddisti dell’Ethnologisches Museum di Berlino. I rotoli facevano parte degli oggetti rinvenuti in un santuario portatile «gungervaa» mongolo, conservato nel museo berlinese. Ne dà notizia la giornalista Min Chen del sito specializzato artnet.com.
Non si sa molto di questo manufatto: entrò in possesso di Waldemar Haude, un meteorologo che fece parte di una spedizione svedese in Mongolia nel 1927, che lo passò a Ferdinand Lessing, curatore delle collezioni dell’Asia orientale del museo. L’oggetto fu esposto per la prima volta nell'istituzione nel 1934, e rimane l’unico di questa tipologia in una collezione museale occidentale.
Il santuario in questione custodisce una piccola statua di un lama, un leader spirituale del buddismo tibetano, circondata da varie reliquie, tra cui piccoli dipinti, bronzi dorati e offerte decorative. Questi oggetti, tuttavia, non sono più disposti come in origine; alcuni sono andati perduti. I piccoli rotoli, arrotolati e rilegati in seta gialla, erano tra le reliquie rimaste da analizzare nella speranza che potessero fornire informazioni sul santuario.
Fragili come sono, i rotoli non potevano essere svolti manualmente per non danneggiarli. I ricercatori del museo hanno quindi utilizzato la tecnica non invasiva della tomografia a raggi X per srotolare virtualmente gli oggetti, prima di utilizzare dati 3D e intelligenza artificiale per ricrearne digitalmente il contenuto. I risultati della loro ricerca sono stati pubblicati nel numero di luglio-agosto 2025 della rivista scientifica «Journal of Cultural Heritage».
Una volta srotolati, questi oggetti, che da arrotolati misurano 1,8x5 cm, hanno raggiunto lunghezze di 30, 50 e oltre 75 cm. Alcune tracce di inchiostro apparivano come una sorta di punti luminosi a causa della composizione chimica dell'inchiostro, un fatto che ha incuriosito i ricercatori.
«È una circostanza interessante perché l’inchiostro cinese è tradizionalmente composto da una miscela di fuliggine e colla animale, ma in questo caso è stato apparentemente utilizzato inchiostro contenente particelle metalliche», ha dichiarato Birgit Kantzenbach, restauratrice del museo.
Un’altra sorpresa è arrivata quando la squadra ha ricostruito digitalmente il contenuto di una delle pergamene. Sono stati identificati caratteri tibetani, anche se la lingua è il sanscrito, una combinazione che richiede ulteriori ricerche. All’interno del testo, una traduzione è riuscita finora a estrarre il mantra buddista tibetano «Om mani padme hum» («O gioiello nel loto»). Uno dei mantra più diffusi del buddismo, che esorta alla compassione universale.
Lo studio ha sottolineato che è necessario un lavoro più approfondito per decodificare una parte maggiore del contenuto dei rotoli. «Solo quando sarà possibile visualizzare più sezioni dei rotoli e verranno alla luce testi più specifici», ha commentato per scritto la squadra di ricercatori, «ci sarà la possibilità di ottenere nuovi indizi attraverso l’analisi testuale».
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