Nel 1906, seguendo la chiamata di uno spirito evocato durante una seduta spiritica, l’artista svedese Hilma af Klint (1862-1944) ruppe con la tradizione accademica e iniziò a realizzare una serie di 193 quadri dai colori decisi che non assomigliavano ad alcuna realtà visibile. Li ultimò nel 1915 e in seguito scrisse del suo desiderio di vederli vivere in un tempio circolare, dove i visitatori avrebbero salito un sentiero a spirale contemplativo.
Dal 12 ottobre al 3 febbraio la visione dell’artista è realizzata in un’ambiziosa mostra allestita al Guggenheim Museum progettata da Frank Lloyd Wright, che mette alla prova e al tempo stesso arricchisce la narrativa degli inizi del museo, incoraggiando la riflessione sul fatto che i cosiddetti padri dell’astrazione hanno avuto una controparte femminile che poteva rivendicare un ruolo di pioniere.
L’incursione della af Klint nel non figurativo precede in realtà quella di Kandinskji, pilastro della collezione del Guggenheim. E la sua immersione nello spiritualismo, nella scienza e nel «mondo invisibile» presenta paralleli intriganti con il pensiero di Kandinskji, František Kupka e altri artisti del movimento pittorico del «non oggettivo», caldeggiato dalla cofondatrice del museo Hilla Rebay. «La sua esistenza e il suo lavoro fanno nascere ogni sorta di domande a proposito della storia che raccontiamo sulla prima astrazione del XX secolo e sulle diverse riflessioni e teorie intellettuali che la animarono», spiega il direttore delle collezioni del Guggenheim e senior curator Tracey Bashkoff.
Presentando gli anni di svolta dal 1906 al 1920, la mostra del Guggenheim scava nel rapporto di Hima af Klint con il Modernismo e nel suo interesse per la teosofia, la spiritualità, le scienze naturali e le particelle atomiche. Pittrice preparata, si incontrava con altre quattro donne per praticare il disegno e la scrittura automatici su richiesta degli spiriti evocati nel corso di sedute.
Nel 1906 l’artista dichiarò che gli spiriti le avevano ordinato di creare un nuovo ciclo di opere: iniziò così la serie dei «Paintings of the Temple», nella quale inventò un vocabolario astratto che fondeva forme biomorfe e geometriche. «I circoli spiritualisti permettevano alle donne di farsi avanti e rispettavano le donne come forze intellettuali per la diffusione delle idee, aggiunge la Bashkoff. Penso quindi che fossero una comfort zone per lei e un ambiente che forniva nutrimento e supporto». Ciononostante, Tracey Bashkoff enfatizza il fatto che Hima af Klint non dovrebbe essere considerata semplicemente un’outsider, perché altri modernisti della prima ora condivisero analoghe preoccupazioni.
Attingendo a una nuova ricerca biografica, la mostra intende dissipare «l’idea che l’artista fosse una solitaria, tagliata fuori dalla lingua e dalla collocazione geografica e impegnata soltanto in occupazioni esoteriche ed eccentriche», prosegue la Bashkoff. «Le sedute spiritiche oggi sembrano un’attività al margine della società ma ebbero un ruolo centrale per artisti e intellettuali dell’epoca».