«Anima nomade» è il titolo della mostra che Francesco Clemente ha concepito per il Palazzo delle Esposizioni di Roma come un viaggio. Aperta dal 23 novembre al 30 marzo 2025, e curata da Bartolomeo Pietromarchi, la mostra costituisce un percorso, fisico e mentale, di natura quasi iniziatica, cadenzato in sei grandi «Tende», realizzate nel 2013-14, e un grande wall drawing finale. È una mostra-installazione, distribuita in sette sale, che riunisce tutti i temi figurali e simbolici del mondo artistico-spirituale di un pittore che si è abbeverato sin dalla giovinezza al mondo della mistica indiana (induista e buddhista) e all’idea di esistenza come spostamento geografico e temporale, un’esistenza, per l’appunto «nomade». Nomade come lo stesso artista, nato nel 1952 a Napoli, ma che già a vent’anni è in Afghanistan con Alighiero Boetti, a 25 compie il primo di una lunga serie di viaggi in diverse regioni dell’India, a 32 è a New York a realizzare opere a sei mani con Warhol e Basquiat, per tornare a vivere periodi in Italia, altri in India, e ancora a New York. La sua pittura, di tendenza neoespressionista (fece parte della Transavanguardia), è onnivora, riportando una grande molteplicità di stimoli visivi e culturali alle trame di una sintesi deformante, colta e insieme popolare, occidentale ma anche orientale.
«Grotte, spazi di meditazione», chiama Pietromarchi le «Tende» di Clemente: «La prima, la “Tenda degli angeli”, accoglie il visitatore al suo interno in un’atmosfera serena e poetica, dove le figure celesti si rivelano secondo l’immaginario dell’artista, che ama ispirarsi a Milton, Blake, Füssli, come alle miniature persiane e alle cartoline tradizionali indiane». Segue la «Tenda del diavolo». Qui, secondo il curatore, «Clemente esplora il potere e la corruzione con immagini di figure diaboliche, unendo simboli medievali e contemporanei. All’esterno, compaiono maschere di demoni ispirate ai codici medievali, mentre all’interno l’artista dipinge loschi dandy e sfruttatori, eleganti nei loro smoking con cilindro, monocolo e sigaro». La «Tenda della verità» intreccia immagini eterogenee che fondono percezioni della quotidianità con richiami mitologici e memorie visive arcane. Si vedono reti e ragnatele, cuori a forma di favo, ragni sospesi, coppie abbracciate, lucertole e falene. Pietromarchi spiega che «il nome della tenda prende spunto da una frase del mistico indiano del Settecento Kabir. Egli amava descrivere il corpo come veicolo di connessione con l’assoluto: “Mi siedo con la verità, mi alzo con la verità, mi sdraio con la verità”». Le figure dipinte all’interno della «Tenda del rifugio» sono quasi monocromatiche, domina qui, sempre secondo il curatore, «un’atmosfera di quiete e sacralità. Grandi figure teriomorfe, esseri con teste di animali feroci e corpi di santi, siedono nella posizione meditativa del loto e tengono in grembo, come per proteggerli, animali più deboli, tutti vestiti di bianco in segno di fede e rinuncia». Con la «Tenda museo» Clemente esplora uno dei suoi temi più frequenti in tutta la sua opera: l’autoritratto. La «Tenda del pepe», infine, contiene brani di visioni della regione indiana di Kerala, nota per la produzione di pepe.
Nella sede distaccata all’ex Mattatoio di Testaccio, il Palazzo delle Esposizioni ospita altre due mostre: dal 5 dicembre al 2 febbraio 2025, Maurizio Pierfranceschi (1957) e Andrea Fogli (1959) presentano vasti cicli della loro produzione complessiva. «Muta e mutevole» è per Pierfranceschi la pittura, tanto da farne il titolo della sua mostra curata da Lorenzo Canova, una pittura in cui figurazione, astrazione, ibridazioni fantastiche e proiezioni nello scultoreo rivelano l’anima metamorfica di un mondo visivo in perenne e aperto divenire. Stesso principio sottende l’arte di Fogli, che, nella mostra «7 Atlanti» curata da Stefano Chiodi, articola in serie tematiche le meditazioni, quando informi, quando nitide, tra accurati disegni ed enigmatiche sculture, di un artista che pensa i suoi progetti come fossero atlanti della psiche.