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Ayana V. Jackson accanto a «Sea Lion» della serie «From the Deep: In the Wake of Drexciya», 2019

© Ayana V. Jackson. Foto: Bérénice Geoffroy-Schneiter

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Ayana V. Jackson accanto a «Sea Lion» della serie «From the Deep: In the Wake of Drexciya», 2019

© Ayana V. Jackson. Foto: Bérénice Geoffroy-Schneiter

L’Africa debutta al Louvre Abu Dhabi

Il museo ospita la prima mostra sull’arte africana organizzata nel Paese arabo: 360 opere storiche poste in dialogo con lavori di artisti contemporanei, da El Anatsui ad Ayana Jackson, da Abdoulaye Konaté a Julie Mehretu

Fino all’8 giugno il Louvre Abu Dhabi progettato da Jean Nouvel presenta la mostra, «Re e regine d’Africa: forme e figure del potere». Frutto di un approccio interdisciplinare di tre curatori (Hélène Joubert, responsabile delle collezioni africane del Musée du quai Branly-Jacques Chirac di Parigi; El Hadji Malick Ndiaye, conservatore al Musée Théodore-Monod a Dakar; Cindy Olohou, critica d’arte e curatrice indipendente), la mostra, che presenta circa 360 pezzi provenienti soprattutto dalle collezioni del Musée du quai Branly-Jacques Chirac e da varie istituzioni africane, ha l’immenso merito di presentare un’immagine dell’Africa lontana dai cliché semplicistici e dalle idee fuorvianti che troppo spesso vengono diffuse sul continente. Bastava vedere gli sguardi orgogliosi degli artisti che abbiamo incontrato all’anteprima (tra cui Abdoulaye Konaté del Mali, una figura chiave tra le giovani generazioni) per rendersi conto di quanto fosse importante far dialogare le loro opere con questo glorioso passato. 

Abbracciando la nozione polimorfa e mutevole di potere nel corso di quasi dieci secoli e attraverso più di quaranta regni delle regioni occidentali, orientali, centrali e meridionali del continente, la rassegna dimostra immediatamente la volontà di collocare la creatività artistica africana al centro della storia dell’arte mondiale e per un lungo periodo di tempo. Non sorprende quindi scoprire, all’inizio della mostra, il famoso gruppo del Louvre che raffigura il faraone nubiano Taharqa mentre compie un rituale di offerta davanti al dio Hemen. Lontano dai canoni stereotipati dell’arte egizia, questo sovrano che regnò sui regni di Kush e d’Egitto intorno al 700 a.C. mostra con orgoglio la sua carnagione scura e i suoi tratti africani. Un imponente paio di orecchini Fulani, realizzati in foglia d’oro martellata a 22 carati, infrange immediatamente l’idea di un’arte fatta di materiali modesti ed effimeri. 

La stessa attenzione per lo sfarzo e la spettacolarità si ritrova tra i sovrani akan della Costa d’Avorio e del Ghana. «Alcuni oggetti escono dai depositi per la prima volta, per portare un messaggio che vuole essere universale e fare appello ai sensi piuttosto che all’intelletto. Esporli significa rendere onore a chi li ha prodotti. Questi artisti, quasi sempre anonimi, sono, attraverso gli oggetti che hanno creato, gli ambasciatori dell’Africa nei secoli passati, mentre le figure di potere che hanno commissionato le loro opere, ossia re, regine, principi e principesse, aristocratici e notabili, signori della guerra, sacerdoti e indovini, sono i punti d’incontro delle culture del mondo», spiega in catalogo Joubert, che vede la mostra come un appassionato omaggio alla creatività africana in tutte le sue forme. 

Lungi dal concentrarsi solo sulla statuaria e sulle maschere (comunque sublimi), questa grande specialista di raffinatezze e tessuti non ha trascurato regalie altrettanto preziose, come i prestigiosi perizomi tessuti interamente in seta e diffusi con il nome di «kenté» dalle popolazioni Ashanti (Ghana), o le corone Yoruba (Nigeria) realizzate con fibre vegetali e perle, indossate un tempo dall’oba (il re). Allo stesso modo, sarebbe un errore considerare questi insiemi di sgabelli, poggiatesta, strumenti musicali, pipe o recipienti come semplici oggetti d’uso quotidiano, per quanto raffinati possano essere. Così, un pezzo che i nostri occhi occidentali potrebbero a prima vista interpretare come un modesto cesto di vimini si è rivelato, tra i Tutsi (Grandi Laghi), un recipiente riservato all’élite e realizzato esclusivamente da membri dell’aristocrazia femminile. Direttamente ispirata ai mobili portoghesi del XVII secolo, una sedia Tshokwe (Angola) è ornata da figure scolpite che illustrano i momenti chiave dell’esistenza umana, dalla nascita alla morte, e presentano simboli di potere. La figura archetipica è quella del principe-eroe cacciatore Tshibinda Illunga, facilmente riconoscibile per il suo copricapo alato. 

Ma uno degli oggetti più affascinanti della mostra non è altro che lo sgabello di un capo Bamiléké della regione di Grassland, in Camerun. Rivestito di tessuto decorato con perline, assume la temibile forma di una pantera, simbolo del potere reale di cui è il naturale e spaventoso doppio. Uno dei principali successi della mostra è il fruttuoso dialogo tra questi artisti e i loro omologhi contemporanei. Questi incontri faccia a faccia dimostrano quanto l’arte africana di un tempo sia oggi fonte di ispirazione per gli artisti, che ne trasformano i temi e i codici estetici a proprio vantaggio. Come non commuoversi, ad esempio, di fronte all’inquietante affinità tra una testa di terracotta del regno di Ifé (Nigeria) dalle guance delicatamente striate (XII-XIV secolo) e un ritratto femminile firmato dalla fotografa franco-senegalese Delphine Diallo? E come non riconoscere nella scintillante «onda» in alluminio e rame dell’artista ghanese El Anatsui, che chiude la mostra, una reminiscenza degli sgargianti tessuti reali Ashanti ed Ewe? Come se riecheggiassero le figure delle antiche regine d’Africa, anche le artiste fanno sentire magnificamente la loro voce in tutta la mostra. I loro nomi sono Mary Sibande, Ayana Jackson, Julie Mehretu...

Statua reale ermafrodite, stile Djennenké pre-Dogon, Mali, Bandiagara, 1050-95. Musée du quai Branly-Jacques Chirac. Foto: Bérénice Geoffroy-Schneiter

Bérénice Geoffroy Schneiter, 12 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

L’Africa debutta al Louvre Abu Dhabi | Bérénice Geoffroy Schneiter

L’Africa debutta al Louvre Abu Dhabi | Bérénice Geoffroy Schneiter