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Micaela Zucconi
Leggi i suoi articoliTutto è (quasi) pronto per la fatidica data del 6 febbraio 2026, blocco di partenza per i Giochi Olimpici Invernali Milano Cortina. A dare il via la Cerimonia di Apertura, officiata nel milanesissimo Stadio di San Siro, dove il palcoscenico sarà una struttura scenografica pensata per connettersi con i quattro territori dei Giochi: Milano, Cortina, Livigno in Valtellina e Predazzo in Val di Fiemme. Una cerimonia diffusa, come i giochi: parte artistica a Milano e protocollare a Cortina.
Come annunciato, lo show sarà all’insegna dell’Armonia. Un viaggio tra arte e innovazione, natura e città, tradizione e futuro, in un intreccio di fantasia e bellezza, con rimandi a Leonardo e ai grandi inventori, al design, al gusto e allo stile italiani (non mancherà un omaggio a Giorgio Armani). «Il titolo può sembrare un po’ ecumenico, ma in questo momento sentiamo fortissimo il bisogno di parlare di pace. Uno dei valori olimpici, insieme alla lealtà e al rispetto, indicati da Pierre de Coubertin, fondatore del Comitato Olimpico nel 1894, ispirati alla sospensione dei conflitti osservata durante i giochi di Olimpia, nell’antica Grecia (aboliti dall’imperatore Teodosio nel 393 d.C., Ndr)», spiega Marco Balich, creative lead della Cerimonia di apertura e presidente di Balich Wonder Studio, un veterano di cerimonie olimpiche e paralimpiche, 16 con questa, di volta in volta direttore creativo o produttore: per Rio 2016 è stato insignito del Compasso d’Oro 2017 (alle sue creazioni per le Olimpiadi e Paralimpiadi Invernali la mostra «Un magico inverno. Bianche emozioni dalla Collezione Salce», al Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso fino al 29 marzo 2026, dedica una sezione con le immagini delle affascinanti cerimonie di Sochi 2014 e di Beijing nel 2022).
Balich riserva sin da giovane un occhio speciale alle Olimpiadi, avendole sfiorate nel 1980, quando praticava la scherma ad alti livelli. La vita l’ha poi portato altrove, ma un seme era evidentemente rimasto, germogliato agli inizi con l’organizzazione del famoso concerto dei Pink Floyd a Venezia nel 1989, proseguito con l’organizzazione di spettacoli di intrattenimento in tutto il mondo e sbocciato a Salt Lake City nel 2002, cui aveva partecipato occupandosi di rappresentare Torino, futura tappa dei giochi invernali, evento che l’ha lanciato nel mondo olimpico. Suo anche l’Albero della Vita, simbolo del Padiglione Italia all’Expo 2015 di Milano. «L’apertura dei giochi ha la sua liturgia. Al Paese che firma un impegno olimpico spettano la Cerimonia di apertura e quella di chiusura, soggette a un preciso protocollo», aggiunge Balich. Per primo entra il Capo dello Stato, sale la bandiera nazionale, sfilano gli atleti con la Grecia in testa, si alza la bandiera olimpica, giuramento olimpico, arrivo della torcia olimpica (progettata per questa edizione dall’architetto Carlo Ratti) e accensione del braciere, colombe della pace, simboliche, dopo che a Seul 1988 quelle reali avevano fatto una brutta fine, accidentalmente arrostite sul braciere. A questi momenti istituzionali si alternano brevi spettacoli fino a culminare nel programma artistico. «È stato De Coubertin a introdurre la possibilità di inserire l’arte nella cerimonia. Ma se a volte l’arte rispetta il percorso personale di un artista, la sua ossessione individuale, e bisogna fare uno sforzo per comprenderlo, io voglio invece arrivare alla gente. Voglio che rida, pianga, che si aggreghi intorno alla nostra narrazione. Quando si fanno questi grandi eventi si parla a centinaia di milioni di persone, si superano i due miliardi di spettatori, e bisogna convogliare messaggi chiari e il valore dello sport, non una riflessione personale», prosegue Balich, che con i suoi collaboratori segue un vero e proprio Manifesto, appeso nello studio di Milano, basato sui concetti di empatia, bellezza, passione, talento e flessibilità, eccellenza, uniti dal lavoro di squadra, per ispirare meraviglia, gioia ed eccitazione. Uno storytelling di impatto per lasciare un’eredità di emozioni. «Per esempio, a Torino 2006, al suono di una musica techno abbiamo fatto ballare Roberto Bolle in versione futurista, con un costume in stile Depero, mentre una voce fuori campo spiegava di che cosa si trattava, sottolinea Marco Balich. Ma per essere più comprensibili abbiamo accostato l’idea di velocità del Futurismo a qualcosa conosciuto da tutti: una rossa e rombante Ferrari che sul palcoscenico ha disegnato i cinque cerchi olimpici. Il pubblico è impazzito».
Da dove arrivano le ispirazioni?
Mi ispirano autenticità e verità emotiva, ma soprattutto mi guida la curiosità. Arte, pezzi di design, scenografie, scienza e umanità, musica. Da una mostra sul Surrealismo a Lady Gaga, a un concerto alla Scala. Da come si fanno le carrozzerie delle auto da corsa a una sessione di sumo giapponese. Stimoli che cerco di tradurre. La gesticolazione napoletana mi ispira quanto il designer Bruno Munari. Come italiani, e io in particolare come veneziano, siamo fortunati, abituati dalla nascita a vivere tra le testimonianze di una storia millenaria, circondati dal bello. Dall’arte di una tavola imbandita alla Cappella degli Scrovegni.
E quest’anno?
Abbiamo un team tutto italiano, che include come direttori creativi Simone Ferrari e Lulu Helbek, due registi internazionali, Damiano Michieletto, rockstar del mondo lirico, regista di opera molto controverso e coraggioso, Lida Castelli, Protocol Creative Director, che ha già lavorato per Sochi 2014, oltre ad altre produzioni. Alla Cerimonia di apertura ci saranno poi Paolo Fantin come Product Designer, il Music Director Andrea Farri, che ha composto la musica per l’occasione, e Massimo Cantini Parrini, Costume Designer, ma anche l’attrice Matilda de Angelis. Un mix di esperienze che guido con piacere, molto arricchente. Ognuno porta il suo punto di vista in un percorso di apprendimento dove il cinismo è bandito: c’è spazio solo per fare qualcosa di alto e nobile. Insieme abbiamo accordato in senso armonico linguaggi poliedrici per mettere in scena questa nuova storia.
Ci sono voluti due anni di lavoro per delineare le idee, approvare il budget, arrivare alle colonne sonore e alle prove costumi delle varie esibizioni. È il cast più grande del mondo. Complessivamente 4mila volontari, dietro le quinte e in scena, dal tabaccaio alla maestra di aerobica.
Si incontrano a gruppi in una palestra, in giorni diversi, per imparare. Gente generosa che va ringraziata. Ti dà fiducia nell’umanità. L’atmosfera del backstage di una cerimonia olimpica è sempre di gioia e di sforzo comune condiviso. C’è la consapevolezza di far parte di qualcosa di importante, senza protagonismo. A Torino 2006, il gruppo che faceva la parte degli alberi si ritrova tutti gli anni, si è formata una comunità.
La tecnologia gioca una parte molto importante.
Un ruolo fondamentale, ma è solo un mezzo. Quando prevale, tutto diventa obsoleto. Mi vengono in mente i televisori di Nam June Paik. I momenti epici sono quelli che rimangono nel cuore per la bellezza e per cosa si è capaci di comunicare.