«Stella» è il titolo della mostra di Jan Fabre (Anversa, 1958) che la Galleria Gaburro di Milano presenta fino all’11 ottobre. Stella marina, stella del cielo, pentacolo che per l’alchimia raccoglie nelle sue punte gli elementi della natura: terra, fuoco, aria, acqua, energia. Ma soprattutto il nome di battesimo di Stella Höttler, danzatrice, attrice, performer e musa dell’immaginifico artista, regista, poeta e scrittore fiammingo. Una vera Guerriera della Bellezza, regina dell’esercito di performer e attori della compagnia fondata da Fabre nella sua casa-teatro Troubleyn di Anversa. Presenza fortissima nel corpo e nello spirito che ha portato in scena «I’m sorry»: monologo provocatorio, irriverente, ironico, volutamente e politicamente scorretto, scritto a quattro mani con il suo regista e punta di diamante del festival che fino al 13 ottobre il teatro Out Off di Milano dedica al lavoro di Fabre.
«I’m sorry» è il ritornello di un j’accuse alle ideologie del politicamente corretto nel quale questa bellissima donna chiede scusa per essere bionda, tedesca, teutonica, eterosessuale, carnivora, priva di intolleranze alimentari e piena di desideri per una sessualità libera da pregiudizi. Ed è proprio lei, la Stella che lega mostra e palcoscenico, opera visiva e recitazione, il teatro, l’arte e la vita, che come sempre per Jan Fabre sono indissolubili, una fusione ad altissima temperatura da cui si materializza quel suo fare continuo che non conosce confini, dilagando dal disegno alla parola, dal corpo all’immagine.
Piccola ma completa, questa mostra ne è perfetto esempio. Grazie alla cura di Melania Rossi, che ben conosce il suo lavoro, la Stella che illumina gli spazi della galleria si muove dalla performance alla scrittura, dal disegno alla scultura, dalla fotografia al tableau vivant disegnando, nelle parole della curatrice, «una drammaturgia visiva e inedita che attraversa diversi medium espressivi e trasporta lo spettatore in un viaggio nello spazio e nel tempo».
Ed ecco che, se ci si posiziona al centro della galleria, si può percepire tutto il Fabre universo. Sugli alti schermi che si elevano come un polittico dal pavimento di scura terra smossa, Stella Höttler nei panni di Cassandra, l’inascoltata veggente omerica, si lascia andare in preda a estasi e come contemporanea sacerdotessa invoca «vergogna su tutto il globo terrestre» per la nostra cecità di fronte alla natura. Profetessa di sciagure, si abbandona a una sempre più convulsa preghiera dionisiaca fasciata in tuniche di quattro diversi colori (rosso, verde, blu e nero), mentre il suono della sua voce, dei suoi sospiri, delle sue grida, dei suoi spasimi ci chiama come testimoni di fronte alla muta enigmatica presenza di tartarughe: alcune vive, che nel video partecipano al rito sciamanico, altre esposte come sculture, fuse nel bronzo, plasmate nel vetro o ricostruite dai frammenti di ossa umane che punteggiano lo spazio come vere e proprie figure totemiche.
Animale oracolare e magico, punto fermo dell’iconografia dell’artista, la tartaruga è qui il contraltare dell’energia primordiale scatenata dalla sacerdotessa. L’elogio della loro lentezza, della ciclicità del tempo impressa sui loro gusci, della costanza di cui sono simbolo appare nella serie di disegni che sfilano sulla lunga parete. I testi che siglano ciascuna immagine sono i pensieri probabilmente notturni e ipnotici che accompagnano la leggendaria insonnia di Fabre, avvolta nel fumo delle sigarette: «amore proibito» lo definisce e procedendo, riga per riga, con la sua fitta scrittura a inchiostro confessa: «inalare l’amore proibito è risucchiare i polmoni, l’amore proibito è inalare il fumo di tabacco fumante, l’amore proibito è disponibile ovunque nel mondo… sono dipendente dall’amore proibito, dipendente dalla nicotina, morirò per il mio amore proibito…». Il fumo proibito è anche spudorata innocenza, esposizione del corpo nella sua più nuda verità.
L’ultima serie di lavori qui presentati è «Smoking Stella», una serie di lastre fotografiche in bilico fra la fotografia erotica anni Settanta e la calma atemporale della pittura d’interni fiamminga. Sdraiata su un divano, Stella Höttler guarda in macchina consapevole del potenziale scandalistico dei suoi gesti quando posiziona la sigaretta accesa ora in bocca, ora nel naso, ora nella vagina, ora nell’orecchio, ora nell’ano... La luce è calda, gli abiti rosso-verde-blu-nero sono gli stessi della sacerdotessa e l’immagine stampata su una lastra d’oro richiama il sacro mentre mostra il profano.
È il confine su cui da sempre si muove Jan Fabre e che per lui rende ancora possibile restituire all’arte il suo più profondo valore simbolico, salvifico, rituale. Un flusso creativo e teorico che qui finisce per confluire e raccogliersi in un libro-opera, «Smoking Stella» appunto, multiplo realizzato con la casa editrice Parallelo 42 e soprattutto manifesto poetico del complesso universo di Fabre chiosato da un’antologia di scritti di Giacinto Di Pietrantonio, critico, amico e compagno di strada del maestro fiammingo, che ben conosce e così descrive: un artista eretico e totale «che passa dall’essere disegnatore all’essere creatore di immagini, creatore di film, performer, attore, regista, scenografo non essendo al tempo stesso nessuno di questi, perché alla fine è sempre e solo un artista e le sue opere sono sempre e soltanto arte».