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Emanuele Mugnaini
Leggi i suoi articoliLa cessione occasionale di un’opera d’arte da parte di un collezionista privato non genera reddito imponibile ai fini Irpef, in assenza di abitualità o intento speculativo. La vendita isolata di un bene detenuto per lungo periodo e pervenuto per donazione non può qualificarsi come attività commerciale occasionale, né rientrare tra i redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. i), del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir). Ne consegue l’illegittimità dell’avviso di accertamento che riqualifica il provento come reddito tassabile senza adeguati elementi probatori a sostegno dell’intento speculativo del contribuente. Così si è espressa la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Torino con la Sentenza 1101/01/2024 (Presidente e Relatore, Ingino). Ma esaminiamo bene la vicenda che ha portato a questa conclusione. Qualche mese fa è nata una controversia a seguito dell’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava ad una signora un maggior reddito imponibile per l’anno 2016. Tale reddito derivava dalla vendita di un’opera d’arte ricevuta in donazione nel 1997. Secondo l’Ufficio, la transazione avrebbe dovuto essere qualificata come reddito diverso (ai sensi dell’art. 67 Tuir), in quanto assimilabile ad un’operazione speculativa occasionale. A seguito di tale qualificazione, venivano quindi accertate maggiori imposte Irpef, addizionali e sanzioni per un importo complessivo di 114.412,27 euro. A quel punto, la contribuente ha impugnato l’atto sostenendo che la vendita era avvenuta nell’ambito di un patrimonio privato, senza finalità speculative o attività imprenditoriale, e che il ricavato era stato destinato, in gran parte, a scopi benefici. Inoltre, evidenziava l’assenza di plurime vendite o comportamenti tipici di un’attività commerciale. L’Agenzia, costituitasi in giudizio, ha contestato la validità della donazione originaria e ha insistito sull’intento speculativo della contribuente, basandosi su precedenti accertamenti relativi ad anni diversi.
Motivi della decisione finale
La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Torino ha accolto il ricorso, annullando l’avviso di accertamento. Nella motivazione, il Collegio ha ribadito che la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita di opere d’arte è subordinata alla verifica della sussistenza di un’attività commerciale abituale o occasionale. Riprendendo l’orientamento della Corte di Cassazione (Cass. n.6874/2023), i giudici hanno evidenziato la necessità di distinguere tra mercante d’arte, speculatore occasionale e collezionista privato. Nel caso specifico, la signora risultava essere una collezionista, avendo detenuto l’opera per circa vent’anni senza svolgere alcuna attività assimilabile a quella di un commerciante o speculatore. La vendita isolata non poteva configurare un intento speculativo, anche considerando che il ricavato era stato destinato ad attività benefiche. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito elementi convincenti sufficienti a dimostrare la natura commerciale dell’operazione. Infine, la Corte ha ritenuto irrilevanti gli accertamenti relativi ad anni precedenti, non essendo direttamente collegati alla vendita oggetto di causa.
Conclusioni
Cosa dobbiamo altresì concludere dalla vicenda appena descritta? La sentenza, se ha il pregio di ribadire come vi sia una netta differenza tra commercio, speculazione e vendita meramente occasionale, non è condivisibile laddove considera dirimente l’utilizzo del ricavato a fini benefici. Quel che conta non è infatti la destinazione del ricavato quanto, e piuttosto, la natura della cessione.
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