Marina Apollonio nel 1965

© Archivio Marina Apollonio

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Marina Apollonio nel 1965

© Archivio Marina Apollonio

La geometria universale di Marina Apollonio

Nella Collezione Peggy Guggenheim sculture, dipinti, disegni e performance della figlia di Umbro Apollonio, dimenticata protagonista dell’Arte optical e cinetica

«Marina Apollonio. Oltre il cerchio» è la mostra allestita dal 12 ottobre al 3 marzo 2025 nella Collezione Peggy Guggenheim. Protagonista dell’Arte optical e cinetica, i suoi esordi risalgono a una personale del 1966 a Trieste, sua città d’origine. Nel 1968 espose alla Galleria Barozzi di Venezia, la città dove si era trasferita nel 1949 in seguito alla nomina del padre Umbro Apollonio a direttore dell’Archivio Storico della Biennale. È in occasione di questa sua mostra che Peggy Guggenheim decide di acquistare «Rilievo 505». Il 1949, quindi, sostiene la curatrice indipendente Marianna Gelussi, segna la chiusura di un cerchio. Non definitiva, peraltro, visto che, coadiuvata dal figlio Alvise e nonostante l’età (l’artista è nata nel 1940), ha in programma due nuove opere site specific. Nel catalogo (Marsilio Arte), tra gli altri, sono presenti i contributi di Marianna Gelussi, Max Hollein, direttore del Metropolitan di New York, e un’intervista all’artista di Cecilia Alemani, che nella Biennale del 2022, alle artiste dell’Arte cinetica da Marina Apollonio a Dadamaino, da Grazia Varisco a Nanda Vigo e altre meno note, ha riservato la sezione «Tecnologie» nel Padiglione Centrale ai Giardini quale risarcimento dopo il lungo oblio seguito al loro periodo d’oro negli anni Sessanta e Settanta. 

Ne parliamo con la curatrice Marianna Gelussi.

Quando ha conosciuto Marina Apollonio?
Nel 2017 in occasione di una mostra sull’Arte optical e cinetica a Barcellona.

Si dice che il padre Umbro fosse piuttosto restio a che la figlia intraprendesse la carriera artistica.
Sì, lo conferma, a distanza di anni e con la dovuta delicatezza, la stessa Marina. Quanto ai motivi, la preoccupazione economica e il timore che potesse scendere in qualche modo a compromessi. Il padre era una persona fin troppo integra. 

La geometria era per lei una forma di conoscenza?
Sì, in quanto linguaggio universale, basato sul rigore matematico, su forme e strutture elementari. Fondamentale la rassegna delle nuove tendenze che, dal 1961 al 1967, si svolse a Zagabria pronubo Germano Celant che, prima di diventare il profeta dell’Arte povera, coglie l’aspetto utopico del movimento. 

È stata quindi un’artista precoce? 
Indubbiamente, grazie anche a Getulio Alviani, che incontra nel 1964 e che la incoraggia a esporre le sue opere. Nel 1965 viene invitata a partecipare a «Nuova tendenza 3» a Zagabria e nello stesso anno vince il Chiodo d’oro a Palermo. Era una tradizionale rassegna di piccoli dipinti e in quel caso la forma era un quadrato.

Un’altra forma, perfetta e quindi conclusa, indagata da Marina Apollonio è il cerchio. Come conferirle dinamismo allora?
Esplorando le variazioni possibili, arricchendolo di colore, andando oltre la superficie, optando per la tridimensionalità. 

Esiste, nella sua produzione, anche un versante utopico?
Sì, quale fondamento di una società democratica in contrapposizione all’Arte informale e alle istanze politiche dell’epoca. 

In mostra si vedono sculture, dipinti e disegni raramente, o forse mai, esposti, ma anche performance.
Ci sono anche progetti di ambienti per giocare in modo interattivo con tutti i sensi dello spettatore, ad esempio, l’inedita installazione musicale «Endings» con il compositore Guglielmo Bottin ispirata alla spirale «Fusione circolare» del 2016. 

Lidia Panzeri, 11 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

La geometria universale di Marina Apollonio | Lidia Panzeri

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