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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliLe ultime notizie provenienti da una delle fiere più «in» al mondo, Frieze di Londra, dove la grafica d’arte è stata messa alla porta come una parente povera e troppo popolana per accedere al banchetto del supermercato dell’arte contemporanea, sono soltanto l’ultima puntata di una vicenda tormentata. Nella seconda metà del ’900 ai problemi in cui si è imbattuto un genere «difficile» da proporre al collezionismo, che ama l’unicum e il feticismo che circonda una presunta «irripetibilità» dell'opera (mentre la grafica a stampa si regge sulla tiratura in più esemplari), si aggiunse la catastrofe di un mercato che a un certo punto si fece veicolo di prodotti a stampa che con l’originalità non avevano nulla a che fare; caso mai si trattava (soprattutto nei casi di nomi assai popolari negli anni Sessanta e Settanta) di stanche riproduzioni di opere pittoriche ottenute con i mezzi più disinvolti. Di originale si vendeva soltanto la firma.
Seguirono due tipi di reazioni. Da una parte alcuni artisti (pochi, almeno in Italia, tra i quali Guido Strazza e Francesco Franco) recuperarono l’autonomia del linguaggio incisorio, non senza una raffinata rilettura filologica di una storia che risale al XV secolo. Dall’altra si diffuse un malinteso concetto di «originalità» della grafica incisa, attraverso il quale si sostenne un nefasto culto fondamentalista delle tecniche.
C’era però una terza via, battuta con successo da un uomo che, non a caso, aveva alle spalle esperienze professionali nell'ambito della grafica editoriale (i suoi genitori erano proprietari di una grande azienda di stampa) e dal mondo della comunicazione. Valter Rossi, che nel 1959 con la moglie Eleonora e lo stampatore Franco Cioppi fondò a Roma la Stamperia 2RC, aveva «l’odore della carta e degli inchiostri nel Dna». Studente con Eleonora all'Accademia di Brera a Milano, ebbe forse la sua definitiva conversione alla grafica d’arte in una tomba etrusca: «Ci apparvero quei segni essenziali, magici, pieni di poesia».
Rossi, dotato di uno straordinario bagaglio tecnico, individuò nei grandi formati, del tutto inusuali in gran parte del mercato europeo, e nell’uso del colore la chiave del successo: chi non poteva accedere a opere pittoriche o scultoree dei principali artisti contemporanei, aveva finalmente la possibilità di non mortificare le proprie passioni e le pareti di casa accedendo a lavori importanti (per contenuti, firma e tecnica impeccabile) a un prezzo minore, in quanto legato alla riproducibilità (a numerazione limitata) dell’opera. «Mi sono reso conto piuttosto in fretta che l’incisione, quando l’immagine che essa propone è valida ed eseguita in maniera tecnicamente inappuntabile, può sostenere qualsiasi formato. E sono comunque contrario a una concezione limitativa della grafica, come disciplina accessoria e minore», confermava anni fa Valter Rossi in un’intervista rilasciata a «Vernissage».
La storia della 2RC, una stamperia che ha rivoluzionato il modo d’intendere la grafica in Europa, è ora ripercorsa da una mostra allestita dal 18 aprile al 28 luglio nella Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano. A impressionare non è soltanto la qualità degli artisti che hanno lavorato con Rossi, ma la mole di 300 opere (sono opportunamente esposte anche trenta matrici) e il catalogo completo della produzione della 2RC pubblicato per l’occasione. Rossi iniziò subito in grande. Il primo artista fu Lucio Fontana: «Un giorno, ricorda Rossi in La vita è segno, il testo autobiografico in catalogo, mi trovavo nel suo studio a Milano mentre firmava una tiratura di litografie stampate da altri e mi disse: “Queste stampe le firmo ma non sono soddisfatto...Tu sapresti far meglio?”».
Poi fu la volta di Alberto Burri, il più grande amico di Rossi: «Aveva fatto alcune limitate esperienze nel mondo della grafica, ma capì subito che avrebbe potuto, per il suo modo di fare pittura, essere di grande aiuto, se non altro inizialmente, per risolvere un problema che aveva da anni. Burri non aveva interesse per ciò che sapevamo fare, ma per quello che avremmo potuto immaginare di fare». Bisognava immaginare torchi giganteschi (di lì a qualche tempo sarebbe nato «Alessandro Magno», una macchina senza limiti di pressione), ma soprattutto procedimenti che, sia pure basati sulle tecniche classiche della grafica incisa, si rendessero flessibili e modellabili sulle necessità espressive degli artisti: per Burri, ad esempio, occorreva individuare la maniera per conferire matericità al foglio stampato.
Definire la 2RC soltanto una stamperia, in effetti, sarebbe limitativo. La difficoltà delle tecniche d'intaglio e di stampa, destinata a crescere proporzionalemente con le dimensioni delle opere (si parla di formati che superano tranquillamente il metro e mezzo di lato) e l’uso del colore (chi sa di incisione conosce molto bene la differenza che intercorre tra stampa colorata e grafica stampata a colori, e sa anche quanto sia difficile ottenere nella stampa originale tinte squillanti, trasparenti e non ossidate dal metallo della matrice), rende infatti fondamentale l’ausilio di tecnici: all’inizio, conferma Rossi, «dovevamo capire come potevamo proporci in veste di innovatori della stampa d’arte rimanendo nei canoni, ma senza diventare accademici. Sapevamo di occupare quella posizione scomoda, mal valutata, di “tecnico artista” che spesso creava false interpretazioni, ma andava finalmente definita e superata».
Un tecnico preparato e sensibile può contribuire a insperate conversioni: Francis Bacon, da sempre inibito dal bianco del foglio, iniziò a produrre incisioni proprio con Rossi, quando scoprì che i suoi torchi potevano sfornare degli arancioni (li mise a punto Eleonora) capaci di rivaleggiare con la pittura. Altri, invece, erano cromosomicamente dotati per la grafica: Pierre Alechinsky, ad esempio; Miró, Sutherland, Chillida, che cullava le lastre di rame «con tocchi Segoviani». Sam Francis, che potè fare esplodere il suo tachisme anche nella grafica, che soggiornò con i Rossi nella stamperia-studio-abitazione (all’epoca all’Ara Coeli) e che, debilitato dalle malattie, doveva trovare il tempo giusto per lavorare, dopo profonde contemplazioni della piazza michelangiolesca e del Marco Aurelio.
Un capitolo importante, in una vicenda che si allarga agli Stati Uniti (del ’79 è l'apertura di una sede a New York) e che comunque è imperniata su una «stamperia mobile» nei luoghi di residenza degli artisti (dalla Turchia alla California, dalla Spagna alla Francia), è riservato alla grafica degli scultori, come Arnaldo e Giò Pomodoro, Consagra, Moore e George Segal, che nell’incisione rivela un inatteso coté rembrandtiano: lo si vede nella galleria, ora diretta da Simona, la figlia di Valter ed Eleonora Rossi, in via delle Mantellate a Trastevere, dove campeggia un gigantesco ritratto («ci sono tre tipi di neri sovrapposti», spiega la gallerista). Si vedono anche altri autori di più recente generazione, come Francesco Clemente ed Enzo Cucchi.
Tocca infatti a Simona Rossi proseguire un’attività che nell’89 aveva dovuto fare i conti con la grave crisi verificatasi nel mercato dell’arte. Altri problemi, legati alla salute, avevano comunque indotto Rossi a un ridimensionamento. Lo stampatore è impietoso nella sua analisi dell’ultima grande recessione del mercato dell’arte: «Giovani rampanti, che si avvicinavano all’arte come fossero divi o professionisti dello sport, con gli stessi atteggiamenti partecipavano alle aste, ponendosi, oltre che con le opere, con le immagini che si erano costruiti di loro stessi. Un’altra causa importante fu che l’arte entrò come moda nelle case e negli uffici della Grande Mela in modo superficiale. L’Europa era stata trascinata in questo meccanismo perverso; il mercato del vecchio continente continuò a sostenere le teorie nate oltremare. È evidente che per chi, come noi, aveva lavorato con artisti quali Burri, Fontana, Afro, Chillida, Calder, Miró e Moore e tantissimi altri grandi, non era facile accettare quel momento e in più veder nascere stamperie, ogni giorno, che producevano di tutto: poche in modo corretto ma povero, molte in modo scorretto e disonesto».
Oltre alla stamperia e alla galleria, Simona Rossi ha anche ripreso un progetto legato alla Fondazione Gabinetto della Stampa d’arte moderrna e contemporanea. Con buona pace di quelli di Frieze, i Rossi sono abituati alle lotte in prima linea. E se da sempre la grafica rappresenta uno dei settori più delicati e pertanto spesso incompresi, a molti scettici (spesso perché non preparati sullo specifico tecnico ed espressivo della grafica incisa) basterebbe guardare da vicino un «Flamingo» di Julian Schnabel esposto in via delle Mantellate per capire che quel rosa, probabilmente, non sarebbe realizzabile in pittura, un’arte di cui la grafica prodotta dai Rossi non è mai stata la sorella minore.
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