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La valle intorno al tempio di Segesta. Sullo sfondo, le pale eoliche. Fotografia di Alessandro Martini

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La valle intorno al tempio di Segesta. Sullo sfondo, le pale eoliche. Fotografia di Alessandro Martini

La strategia del gambero

Silvia Mazza

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Palermo. La Regione Siciliana, benché si sia dotata, in anticipo anche sul Codice Urbani, sin dal 1999 di «Linee guida per il Piano paesaggistico regionale», non dispone ancora di questo strumento di tutela del territorio. Con un singolare percorso «al contrario» rispetto allo scenario nazionale (al momento limitato ai due soli casi di Puglia e Toscana; cfr. l’articolo in questa pagina), si hanno, infatti, Piani paesaggistici d’ambito «adottati» (Egadi, Caltanissetta, Siracusa e Ragusa), «approvati» (Ustica, Pantelleria, Eolie e un ambito di Trapani) o in fase istruttoria propedeutica alla loro adozione (Agrigento, Catania, Enna, Messina, Palermo e Trapani), secondo, quindi, una distribuzione a macchia di leopardo. Solo quando il quadro si sarà completato ci si dedicherà al Pp regionale, col compito di ricucire e omogeneizzare situazioni difformi sul territorio. Infatti, ci spiega Salvo Salerno, avvocato e dirigente regionale (che, insieme a un pool di altri avvocati volontari, ha difeso il Pp di Siracusa, adottato nel 2012, da un centinaio di ricorsi: tutti respinti o ritirati), «i 18 ambiti territoriali sono stati individuati sulla base di caratteristiche omogenee (geomorfologiche, culturali, antropiche e del paesaggio) non coincidenti con i limiti territoriali provinciali (lo stesso ambito può interessare, infatti, più province), e ciononostante sotto il governo Lombardo, per avere il controllo politico-amministrativo della pianificazione, i procedimenti sono stati attribuiti alle nove Soprintendenze provinciali, per cui oggi potremmo avere situazioni di incongruità e discrepanza pianificatoria nelle aree a cavallo di più province».
L’opera di traduzione delle Linee guida in Piani territoriali si avvia sotto i due mandati all’Assessorato ai Beni culturali di Fabio Granata (nel 2000 e poi 2001-04), quando si riuscì ad approvare, ricorda lo stesso Granata, ex An, ora coordinatore di Green Italia, «solo due ambiti nella provincia di Trapani, mentre tutte le altre Soprintendenze temporeggiavano tra concertazioni infinite e incapacità di pianificazione che partisse dai dati reali del paesaggio, e non da carte e rilievi spesso datati e superati, aumentando in questo le contraddizioni». Furono oltre 30 i vincoli di inedificabilità assoluta che dovette apporre, trovandosi contro gli interessi speculativi sul territorio: «Il Pp rappresenta, spiega, norma gerarchicamente superiore a tutte le altre norme urbanistiche e in conseguenza dalla sua piena applicazione i Piani regolatori dovranno tutti essere approvati in modo coerente a quello o modificati in funzione delle sue prescrizioni. È intuibile quali interessi abbiano remato contro alla sua rapida applicazione ed esecutività effettiva, interessi che politicamente, dopo la mia elezione al Parlamento nazionale, non hanno trovato più seri ostacoli nei Governi regionali, ma solo sudditanza e complicità». Ed è nel passaggio da un piano adottato a uno approvato che si gioca una sottile partita in termini di salvaguarda del territorio: grazie a ritocchini ad hoc, per esempio, un livello di tutela per certe aree «delicate» da 3 potrebbe scendere a 2 o a 1. Differente è, inoltre, la pianificazione della Regione siciliana rispetto a quella nazionale: «Mentre la pianificazione paesaggistica delle altre Regioni, chiarisce Salerno, si espleta in modo concorrente con lo Stato, e la singola Regione ha già le sue norme che disciplinano la partecipazione attiva dei Comuni, del mondo associativo e gli altri interessati (proprietari, imprese ecc.), la Sicilia invece decide da sola, senza controllo o anche semplice collaborazione dello Stato. Non solo: non ha mai legiferato in materia di partecipazione attiva e concertazione dei Comuni, del mondo associativo e degli altri interessati. Alto è quindi il rischio che un qualunque controinteressato sollevi il caso dinanzi alla Corte Costituzionale, una sentenza della quale potrebbe annullare il Pp». Più precisamente, «mentre la pianificazione nazionale, disciplinata dall’art. 143 del Codice dei Beni culturali, è affidata alle Regioni in base a intesa e successivo accordo tra Stato (cui spetta la conservazione del paesaggio) e Regioni (cui compete, in concorrenza con lo Stato, la sua fruizione), la Sicilia, invece, non ha nulla da “codecidere” con lo Stato, in virtù della sua competenza esclusiva sui beni culturali. Quindi, per redigere i propri piani, non potendo applicare l’art. 143, si è ingegnata con la procedura per la “dichiarazione di notevole interesse pubblico” delle aree da tutelare ex art. 139 del Codice, che prevede anche forme di partecipazione degli Enti locali». Il riferimento normativo resta al Codice Urbani perché, benché disponga di una competenza legislativa esclusiva in tema di tutela del paesaggio, la Sicilia non ha disciplinato questo settore e continua, quindi, a utilizzare la legislazione nazionale.



La valle intorno al tempio di Segesta. Sullo sfondo, le pale eoliche. Fotografia di Alessandro Martini

Silvia Mazza, 27 aprile 2015 | © Riproduzione riservata

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