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David Musgrave, «Neural garden», 2024

Foto © Mel Duarte

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David Musgrave, «Neural garden», 2024

Foto © Mel Duarte

La vita dei Lambda nel destabilizzante romanzo di Musgrave

Una narrazione non lineare (che assomiglia molto ai quadri dell’artista britannico) dimostra che tra la scrittura e l’area visiva c’è una linea di demarcazione meno netta di quanto si creda

Matteo Mottin

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La fantascienza è spesso considerata come uno strumento per interpretare e decodificare la realtà, un laboratorio concettuale in cui testare ipotesi sul futuro e interrogarsi sulle conseguenze di scelte individuali e collettive, per esplorare questioni politiche, etiche e filosofiche in modo critico e accessibile. Lambda, l’intelligente e spiazzante romanzo d’esordio dell’artista David Musgrave (Stockton-on-Tees, Gb, 1973), contribuisce a un rinnovamento del linguaggio fantascientifico, aggiornandolo a un presente estremamente complesso in cui molte delle visioni distopiche preconizzate dal genere sembrano essersi realizzate.

Ambientato in una Gran Bretagna ipertecnologica e profondamente divisa, il libro racconta 15 mesi della vita di Cara Anna Gray, un’agente incaricata di sorvegliare i Lambda, misteriose creature umanoidi acquatiche che approdano sulle coste inglesi, imparano la lingua e vengono relegate a svolgere degradanti lavori sottopagati, prendendo gradualmente a cuore il loro complesso processo di integrazione in una società massicciamente sorvegliata. Le opere di Musgrave, presenti nelle collezioni di MoMA, Tate, Met e Hammer Museum, sono illusioni sottili e destabilizzanti: minuziose riproduzioni a matita di scarne figure antropomorfe che emergono da macchie e brandelli di carta, o tracce di nastro adesivo su fogli di cartone piegati in maniere fisicamente impossibili.

Se le sue opere visive inducono lo spettatore a riconsiderare la propria esperienza visiva, in Lambda l’artista sovverte la percezione e il concetto di autenticità attraverso una narrazione espansa e non lineare, fatta da trascrizioni di interviste, scambi di email, chat, report governativi, e la cui parte principale è scritta dal punto di vista di un fittizio software di Intelligenza Artificiale. Abbiamo incontrato l’autore.

Considera la scrittura come parte della sua pratica artistica?
Sì, assolutamente. Sono un creatore compulsivo e scrivere per me è un ulteriore modo di creare, equivalente ma distinto dal disegno, dalla scultura o dall’animazione.

Nel libro ci sono chiari rimandi alle sue opere, come ad esempio la forma delle creature Lambda, o un messaggio scritto su un pezzo di cartone scambiato tra due personaggi, che ricorda molto i suoi lavori.
Tutte le forme di creazione per me sono modi di formalizzare una compulsione. Ho bisogno di creare immagini e per me la scrittura è un particolare strumento per farlo. È un modo per rispondere a cose che non capisco o che non posso controllare. Nel mio lavoro visivo spesso sono la materia e la resistenza che questa oppone a costituire il «problema», che può essere gestito solo fisicamente. La scrittura è un altro tipo di strumento o di leva, di natura più esplicitamente sociale. Il linguaggio o è sociale o è nulla. Lambda è nato dall’unione di tre storie separate scritte in un arco di tempo piuttosto lungo, circa dieci anni, e tutte avevano un rapporto con l’ambiente tecnosociale in evoluzione in cui ci troviamo a vivere.

Uno still dal video di David Musgrave, «Projection for damaged children», 2024. © David Musgrave

Il secondo capitolo è costituito da un messaggio di configurazione di un software di scrittura automatica, dove vengono impostate tutte le caratteristiche della narrazione che segue.
Lambda è stato pubblicato in inglese circa un anno prima dell’uscita di ChatGPT. Verso la fine della stesura ho scoperto che Google aveva creato un modello linguistico di grandi dimensioni chiamato LaMDA, il che è stato sia uno shock che una strana legittimazione di ciò che stavo facendo. Stavo cercando di immaginare come potrebbe funzionare un’applicazione di autosorveglianza e scrittura destinata ai consumatori. Non a livello tecnico, ma come esperienza dell’utente. Quello che mi interessava era ciò che avrebbe potuto rivelare sugli usi commerciali della tecnologia, sul linguaggio peculiare che vi ruota intorno e sul nostro desiderio di avere sia un maggiore controllo sia soluzioni semplici, desideri forse contraddittori.

Per quanto riguarda i personaggi dei Lambda, hanno una forma che è onnipresente nelle sue opere visive. Da dove deriva?
Non lavoro più in questa maniera, ma da studente, sopraffatto dalle tante possibilità, dedicavo molto tempo ed energie a cercare la cosa più semplice che potessi fare. Alla fine ho trovato una specie di figura stilizzata con la testa sovradimensionata, qualcosa che falliva nel configurarsi come essere umano ma che al contempo lo evocava totalmente. Quando osserviamo una persona, soprattutto quando le parliamo, tendiamo a guardarle la testa. È per questo che nei disegni dei bambini le teste sono enormi. Rispetto ai Lambda, c’è anche una connessione con i bambini, con gli embrioni. Queste teste di bambino o di embrione, grandi e lisce, hanno un rapporto emotivo imprescindibile con qualcosa di perfettamente riconoscibile ma al contempo inaccessibile. Siamo stati quella forma, eppure non possiamo accedere direttamente a quel nostro io primitivo o non nato.

In Italia, se un artista visivo crea qualcosa di diverso dall’arte visiva viene guardato con sospetto, come se fosse colpevole di non dedicarsi anima e corpo alla sua pratica. La situazione è diversa in Inghilterra?
Penso che sia esattamente la stessa, con delle eccezioni. William Blake ne è un esempio storico illustre. In tempi più recenti, persone come Brian Catling, Tom McCarthy e Katrina Palmer hanno dimostrato che tra la scrittura e l’arte visiva c’è una linea di demarcazione meno netta di quanto si creda. Ho sempre aderito all’idea che l’arte contemporanea dovrebbe, in linea di principio, accogliere tutto. È un modo di stare al mondo, non un complesso di attività artigianali. Essere quello che si potrebbe definire un artista concettuale significa avere la licenza di fare qualsiasi cosa, ma naturalmente le categorie preesistenti, come arti visive o letteratura, non scompaiono, e hanno strutture distinte, anche se si sovrappongono molto. E rispetto il fatto che se scrivi un romanzo, questo poi deve stare in piedi in quanto romanzo. Non si ottiene un lasciapassare perché è «concettuale». In realtà è il contrario. Inoltre, ho sempre meno energie per preoccuparmi di come le cose vengono percepite dall’esterno.

Sta lavorando a un nuovo libro?
Ho recentemente finito un nuovo romanzo. È una storia controfattuale su Duria Antiquior, la prima vera immagine del tempo geologico profondo, realizzata intorno al 1830. Si tratta di una rappresentazione di creature estinte ancora vive nel loro habitat semi acquatico, senza riferimenti umani o biblici. Fu un progetto parallelo del geologo Henry De la Beche e risale più o meno allo stesso periodo in cui Charles Babbage stava lavorando alla sua macchina analitica, il precursore del computer moderno. Entrambi erano membri della Royal Society e stavano promuovendo un tipo di razionalismo scientifico che ancora oggi sottende la nostra epoca. Babbage è un personaggio centrale nel libro, così come una giovane Ada Lovelace. Il romanzo è legato a Lambda nel suo nucleo centrale, ma la voce e l’ambientazione sono molto diverse. Gran parte della narrazione ruota intorno a macchine volanti georgiane immaginarie, ma ci sono anche momenti di rigorosa accuratezza storica.

Lambda
di David Musgrave, traduzione di Claudia Lionetti, 368 pp., E/O, Roma 2024, € 19

La copertina del volume

Matteo Mottin, 19 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

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