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The Art Newspaper
Leggi i suoi articoliLondra. Non passa giorno all’interno della cattedrale di Palermo senza che qualcuno deponga una rosa rossa ai piedi della grande tomba in porfido di un uomo morto 766 anni fa. L’imperatore Federico il Grande, Stupor Mundi, la Meraviglia del Mondo, è un uomo che ispira ancora romantica ammirazione, ma anche nostalgia per un tempo in cui arabi e cristiani convivevano amichevolmente in Occidente.
Federico II apparteneva a una dinastia tedesca, gli Hohenstaufen, era nato per diventare Sacro Romano Imperatore. Ciò significa che avrebbe governato gran parte dell’Europa centrale e buona parte d’Italia, ma crebbe a Palermo, si dice praticamente per strada.
Parlava arabo, perché gli arabi erano stati in Sicilia per 400 anni e la vita, l’arte e la cultura traboccavano ancora della loro influenza; latino, perché aveva ricevuto un’educazione classica e a quell’epoca l’intera Europa erudita parlava latino; greco per i forti legami tra la Grecia e l’Italia meridionale; tedesco, perché era la sua lingua madre; francese, perché era la lingua della cavalleria e dei normanni, che avevano anch’essi governato la Sicilia, e il volgare siculo, lingua all’epoca emergente.
Quest’uomo straordinario andò in Terra Santa da crociato, ma cercò studiosi arabi, edificò un castello di tale matematica perfezione da venire scelto come simbolo dell'Italia per il conio delle sue monete moderne, studiò falconeria e filosofia, fu un legislatore che, sotto il suo dominio, proteggeva genti di tutte le fedi.
Avrebbe potuto essere il soggetto dell’intera mostra sulla Sicilia del British Museum invece che solo di una parte di essa, ma se avete intenzione di visitare la mostra prima che chiuda il 14 agosto, non perdete la sezione a lui dedicata e soffermatevi ad ammirare alcune piccole opere d’arte che sono tanto notevoli quanto tutto il resto della vita di Federico, perché sono senza tempo, nel senso che hanno confuso generazioni di storici dell’arte.
Tutti sanno che gli antichi Romani cesellavano cammei di squisita fattura, intagliati in strati di pietre semipreziose con immagini di dei e imperatori. Fino in tempi recenti si riteneva che quest’arte fosse morta con lo stesso Impero Romano, per essere rivitalizzata solo nel Quattrocento con la riscoperta dell’antichità classica.
Ma come in così tanti altri aspetti, Federico confonde la nostra visione della storia a compartimenti stagni. Vedeva sé stesso come un diretto discendente degli imperatori romani, cosa che rese evidente nelle sue monete, con le sue aquile e il suo volto di profilo, incoronato d’alloro, definendosi «Cesare Augusto Imperatore dei Romani», e nei cammei che si faceva intagliare da artigiani che oggi riteniamo fossero sopravvissuti alle corti arabe e bizantina.
Ci sono una Leda e il Cigno, un Ercole e il Leone e una magnifica Aquila imperiale, imponente quanto gli stessi Romani, o perfino i fascisti secoli più tardi, avrebbero potuto produrre. La magia del suo ricordo vive ancora.
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Nella mostra al British sono esposti cinque cammei: due, «L'Aquila imperiale», qui riprodotto, e «La Leda e il Cigno», di provenienza privata italiana (Fondazione Santarelli di Roma, in prestito ai Musei Capitolini), due del British Museum (provenienza Lorenzo de' Medici) e uno del Metropolitan di New York

Nella foto il cammeo con l’aquila imperiale, dalla corte di Federico II (morto nel 1250), ora presso la Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli
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