«Variable Painting - Geometric Landscape» (1966), di Laura Grisi. Foto: Annik Wetter. Cortesia: MAMCO Genève

Image

«Variable Painting - Geometric Landscape» (1966), di Laura Grisi. Foto: Annik Wetter. Cortesia: MAMCO Genève

Laura Grisi, l’esploratrice che incantava il mondo

Al Mamco di Ginevra una retrospettiva dell’artista italo-greca dopo quasi cinquant’anni torna a far pulsare i suoi «ambienti atmosferici»

Sono diverse le ragioni per cui un artista dopo un lungo oblio diventa oggetto di un rinnovato interesse. Una di queste è il modo in cui le sue opere risuonano nel presente, diventando una lente attraverso cui rileggere la contemporaneità. È il caso di Laura Grisi (Rodi, 1939-Roma, 2017), un’artista italo-greca dimenticata inspiegabilmente per molti anni, pur essendo stata una delle figure più sperimentali e internazionali della seconda metà del XX secolo. Un’importante retrospettiva aperta fino al 29 gennaio al Mamco di Ginevra le ridà l’attenzione meritata e rivela l’attualità dei punti nodali del suo discorso artistico, ad esempio la ricerca di una nuova relazione con il mondo e la natura.

La riscoperta di Laura Grisi si deve a Marco Scotini, che dopo un lungo lavoro di ricerca ne ha riacceso la memoria curando, in collaborazione con Julien Fronsacq, l’Archivio Grisi di Roma e la Galleria P420 di Bologna, la prima ampia retrospettiva accompagnata da una completa monografia critica. Due importanti musei svizzeri di arte contemporanea, il Muzeum Susch nel 2021, e ora il Mamco di Ginevra, hanno accolto la sfida di mostrare l’articolato corpus di opere che Grisi ha realizzato dal 1960 al 1980 e di far tornare a pulsare, per la prima volta dopo quasi cinquanta anni, i delicati ambienti immersivi che l’artista ha dedicato ai fenomeni ambientali (nebbia, pioggia e vento) alla fine degli anni Sessanta.

«Volume of Air» (1968), «Wind Speed 40 knots» (Wind Room, 1968), «Rainbow» (1968), «Un’aria di nebbia» (1968) e «Rain Room» sono gli «ambienti atmosferici» che articolano l’esposizione senza però seguire un ordine cronologico. L’osservatore è infatti lasciato libero di muoversi senza condizionamenti temporali perché in fondo il modo ideale per conoscere l’universo di Laura Grisi è vagabondare tra le sue opere, interagire con esse, lasciandosi meravigliare.

L’impossibilità di classificarla entro un genere artistico preciso non impedisce di individuare nella sua produzione artistica la presenza di due costanti fondamentali: la spazializzazione dell’opera e l’interesse per l’esperienza estetica dell’osservatore. Le pitture scorrevoli della serie «Viriable Paintings» (Pitture Variabili, 1966-68) oppure «Distillations: 3 Months of Looking» (1970), in cui l’artista racconta un viaggio di tre mesi attraverso una selezione di immagini e una descrizione minuziosa delle sue reazioni fisiche ed emotive ai luoghi visitati, esemplificano la volontà di creare un senso di «partecipazione», di «impadronirsi» dell’osservatore sensorialmente e di instaurare con lui un dialogo intimo.

Per Grisi la riduzione della distanza tra l’osservatore e le sue opere era di per sé un atto creativo: trasformare un’opera d’arte in un evento le consentiva di modificare la qualità dello spazio fisico e di sfidare così lo sguardo sulla realtà, provocando nell’osservatore una metamorfosi psicologica. Introdurre l’arcobaleno, le stelle, la pioggia, il vento o la nebbia in una galleria, una dimensione così diversa dallo spazio della natura, si rivelava un’operazione certamente provocatoria, ma non fine a sé stessa.

Il senso era mostrare nell’ordinarietà quell’evento come per la prima volta e restituire così allo sguardo dell’osservatore l’incanto di quel fenomeno. Ma se la spazializzazione dell’arte e le dinamiche di riavvicinamento allo spettatore sono temi ricorrenti nell’estetica postmoderna, gli «ambienti atmosferici» di Laura Grisi appaiono diversi e unici: essi non sono la reificazione di fenomeni naturali, ma immagini poetiche che l’artista ha estrapolato dai suoi lunghi viaggi in Vietnam, Polinesia, Bolivia, ma soprattutto in Africa.

«Refraction» (1968) e «Wind Room» (1968), due delle installazioni presenti in mostra, sono un esempio: la prima ricrea l’effetto della rifrazione delle dune sulla superficie del Lago Ciad alla luce del tramonto; la seconda, invece, è un’idea nata da una tempesta di vento che colse di sorpresa l’artista nel Sahara. Quell’evento portò Grisi a osservare questo fenomeno in modo scientifico e a collezionarne differenti immagini fatte in diversi Paesi e contesti ambientali (foreste, città, oceani). Da qui l’idea di creare un vento a 40 nodi in una galleria, di riprodurre ancora una volta in un ambiente chiuso la sensazione di un fenomeno naturale e di alterare così la struttura e la percezione dello spazio circostante.

Nella mostra il dinamismo e il nomadismo di Grisi appaiono dunque come una forza rigeneratrice e trasformatrice. Le sue opere-evento offrono un’alternativa a una visione limitante della realtà perché fanno dell’esperienza estetica un viaggio esplorativo. Invitando l’osservatore a riconoscere elementi di eccezionalità nell’ordinarietà, lo incoraggiano a stabilire una nuova relazione con la natura, a ritrovare l’incanto del mondo.
 

«Refraction» (1968) di Laura Grisi. Foto Annik Wetter. Cortesia di MAMCO Genève

«Variable Painting - Geometric Landscape» (1966), di Laura Grisi. Foto: Annik Wetter. Cortesia: MAMCO Genève

Marilena Borriello, 26 ottobre 2022 | © Riproduzione riservata

Laura Grisi, l’esploratrice che incantava il mondo | Marilena Borriello

Laura Grisi, l’esploratrice che incantava il mondo | Marilena Borriello