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Alvisi Kirimoto, «Tam Tam. Tempio, Azione, Movimento»

Giuseppe Miotto / Marco Cappelletti Studio

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Alvisi Kirimoto, «Tam Tam. Tempio, Azione, Movimento»

Giuseppe Miotto / Marco Cappelletti Studio

Le colonne mobili di Alvisi Kirimoto in scena nel cortile della Statale

Tempio, azione e movimento le linee guida di un’installazione che ricorda come siano le interazioni umane a definire lo spazio che viviamo

Carlino Corezzi

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Dal 7 al 17 aprile, tra le installazioni che affollano il cortile dell’Università degli Studi di Milano durante la Design Week, raccolte sotto l’ombrello della mostra-evento «Cre-Action di Interni», c’è anche «Tam Tam. Tempio, Azione, Movimento». Per l’occasione, Alvisi Kirimoto reinterpreta il tempio classico intendendolo non più come monumento immutabile, ma come organismo vivo e in continua evoluzione. L’installazione, che misura 6x6 x h 5 metri, è infatti composta da 6 colonne di diversi diametri, elementi dinamici che i visitatori possono spostare e riorganizzare, ridefinendo lo spazio in tempo reale.

L’idea è riprendere i principi classici di firmitas, utilitas, venustas, combinandoli con i concetti di flessibilità e partecipazione. Le colonne, tradizionalmente simbolo di stabilità, diventano così una metafora tangibile della mutevolezza delle relazioni umane. Da un lato, l’architettura, pur nella sua natura modificabile, indirizza il visitatore: la disposizione delle colonne, le loro dimensioni, gli interstizi che creano, suggeriscono implicitamente dei percorsi, delle pause, delle possibili zone di interazione. Ma spostando le colonne, chi attraversa l’installazione non solo ne cambia la configurazione, ma interviene sulla trama di relazioni che essa sottende: un corridoio scandito dalle colonne si amplia per diventare uno spazio collettivo, simile a una piazza, o si restringe per delineare aree più intime e raccolte.

Tutto è funzionale a stimolare una riflessione precisa. Sono le scelte umane, continue e mutevoli, a definire in ultima istanza la conformazione e il significato dello spazio. L’architettura «propone», le persone «rispondono» e «reinterpretano», ed è proprio in questa tensione tra spazio e azione, che si rivela la vera natura dell’installazione.

Anche il bianco della struttura incarna il concetto di possibilità insito nell’opera, come fosse una pagina bianca ancora da scrivere. Liberando le superfici da cromatismi, texture e decorazioni superflue, Alvisi Kirimoto concentra l’attenzione sul movimento delle colonne, sui gesti dei visitatori, sullo spazio, sulla purezza delle forme. Un’architettura che non impone, ma dialoga; che non definisce in modo univoco, ma si lascia plasmare e arricchire dalle interazioni umane.

Carlino Corezzi, 09 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

Le colonne mobili di Alvisi Kirimoto in scena nel cortile della Statale | Carlino Corezzi

Le colonne mobili di Alvisi Kirimoto in scena nel cortile della Statale | Carlino Corezzi