Espone fino al 29 novembre, alle Gallerie Riunite, Tristano di Robilant (Londra, 1964) con la mostra «Monotipo e vetri». Le cinque sculture in vetro, i cui titoli attingono da un raffinato repertorio letterario, storico e filosofico, sono state realizzate nella fornace l’Anfora a Murano assieme al maestro vetraio Andrea Zilio, con il quale l’artista collabora da venti anni. I vetri si presentano come «paesaggi emotivi e architetture immaginarie», forme armoniose, ma, al tempo stesso «enigmatiche, nate da sogni che attingono a un continente interiore, un mare originario, ma anche a un altro io, il doppio che abita dentro di noi», afferma Tanja Lelgemann.
«Per me usare il vetro è importante per la sua trasparenza e per il suo significato. … Quando inizio a lavorare parte tutto da un’idea e l’idea si traduce subito in un disegno; quindi, l’emozione è molto diretta e semplice. Poi nella fornace traduco il disegno in una forma tridimensionale e naturalmente l’emozione è qui, è legata al processo creativo della fornace, che è pieno di tensione, è esaltante e vivace», chiarisce l’artista che ha presentato nel 1997 i primi lavori in vetro alla galleria di Lance Fung a New York in occasione della mostra «Domestic Temples», opere poi entrate nella collezione Sol LeWitt a Hartford.
Anche i monotipi nascono da una collaborazione, in questo caso con la stamperia d’arte Berardinelli di Verona. Gli otto oli su carta, che derivano da una matrice in plexiglas, appaiono talvolta studi delle sculture, in altri casi, invece, rievocano paesaggi immaginari, recuperando dai vetri le forme fluide e armoniche, trasparenti e morbide. Un’attenzione alla costruzione della forma in relazione allo spazio e alla luce, che deriva dalla lezione del critico e storico d’architettura Reyner Banham, seguite dall’artista all’Università della California a Santa Cruz, dove si è laureato.