«Kolobrzeg, Poland, July 25, 1992» di Rineke Dijkstra dalla serie «Beach Portraits»

© Cortesia dell’artista, della Galerie Max Hetzler, della Marian Goodman Gallery e della Galerie Jan Mot

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«Kolobrzeg, Poland, July 25, 1992» di Rineke Dijkstra dalla serie «Beach Portraits»

© Cortesia dell’artista, della Galerie Max Hetzler, della Marian Goodman Gallery e della Galerie Jan Mot

Le fotografie di Dijkstra ci fanno sentire inadeguati

La personale dell’artista alla Berlinische Galerie raggruppa scatti in cui sono nascosti dettagli che sfuggono al primo impatto, ma caratterizzano lo stato di transitorietà emotiva, psicologica e fisiologica dell’esperienza umana

Al di là della loro apparenza innocente, c’è sempre qualcosa di lievemente inaspettato e, a tratti, apertamente sconcertante nelle fotografie dell’olandese Rineke Dijkstra (Sittard, 1959). Come se la vera quadra all’interpretazione dei suoi scatti e filmati, ritraenti persone di diverse provenienze ed età, sebbene perlopiù colte nel fiore dell’adolescenza o nelle fasi antecedenti o immediatamente successive all’adolescenza, stesse proprio in quei dettagli che sfuggono al primo impatto. Un sorriso goffo, forzato o accigliato. Una posa che cozza con l’espressione sul volto dei suoi soggetti, rivelandone l’insicurezza. Uno sguardo o troppo penetrante, e per questo quasi irreale, o, al contrario, del tutto assente. Sono tutti questi elementi che caratterizzano lo stato di transitorietà emotiva, psicologica e fisiologica al fulcro dell’esperienza umana, come Dijkstra ci svela in «Still. Moving», nuova personale dell’artista nella Berlinische Galerie fino al 2 febbraio 2025

Tra le otto serie esposte in mostra, che raccoglie circa 80 immagini sviluppate dagli anni Novanta ad oggi, spiccano i suoi «Beach Portraits», pungente racconto della goffagine e fragilità della pubertà; «Almerisa» e «Olivier (The French Foreign Legion)», ritratti pluriennali della metamorfosi di una rifugiata bosniaca e di un adolescente prossimo ad arruolarsi nella legione straniera francese; e i rivelatori «Bullfighters», che ribaltano lo stereotipo di mascolinità rude tradizionalmente associata ai toreri per mostrarli in tutta la loro inascoltata inquietudine. Oltre a esemplificare come ci presentiamo al mondo, queste immagini parlano di «come la gente si comporta di fronte a una fotocamera», spiegano gli organizzatori. 

Il filo conduttore della mostra è un senso di inadeguatezza che, per quanto non trascurabile da chi osserva le fotografie di Dijkstra, non è fine a sé stesso né destinato a pregiudicare le esperienze di coloro che le abitano per sempre. Al contrario, il leggero fastidio, imbarazzo o sgomento provato quando ci si focalizza sui lavori dell’artista olandese, e ci si riconosce nelle forzature e debolezze rappresentate, è l’ennesima prova di come, in un modo o nell’altro, l’eterna «transizione» al centro delle sue opere ci accomuni tutti, avvicinandoci al contempo alla sua ricerca artistica, ai volti da lei immortalati. 

Gilda Bruno, 23 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

Le fotografie di Dijkstra ci fanno sentire inadeguati | Gilda Bruno

Le fotografie di Dijkstra ci fanno sentire inadeguati | Gilda Bruno