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Javier Pes, Julia Michalska
Leggi i suoi articoliWashington. Mentre artisti di spicco hanno raccolto milioni per la campagna, rivelatasi come sappiamo vana, di Hillary Clinton per diventare la prima donna presidente degli Stati Uniti, il suo rivale, il candidato repubblicano Donald Trump, ha trovato poco favore nel mondo dell'arte. Già la mattina dopo la vittoria dell miliardario immobiliarista, outsider della politica, artisti negli Stati Uniti e all'estero si sono affrettati a esprimere la loro delusione.
Wolfgang Tillmans, che si divide tra Londra e Berlino, ha condiviso su Instagram un'immagine della Statua della Libertà in lacrime, mentre l'artista brasiliano Vik Muniz da Clinton Hill a Brooklyn ha postato un quadrato nero. L'artista newyorkese Pablo Helguera confessa di non saper bene come dare la notizia a sua figlia, che al momento di coricarsi «era sicura che una donna sarebbe diventata presidente». E aggiunge: «Ironia della sorte, l'importanza e l'urgenza dell'arte è più grande che mai».
Su Instagram, il britannico David Shrigley ha postato l'immagine di una torta di mele con sopra un teschio e Jake Chapman ha reagito inviando la parola «Idiocracy» (Idiocrazia). «Tutti noi, ci dice Chapman, sembriamo sapere quanto sia ridicolo Trump, ma, come per [Nigel] Farage nel Regno Unito, siamo stati incapaci di produrre un argomento politico per fermarlo». Nel frattempo, l'artista britannico Grayson Perry, di cui è appena uscito un libro sull'identità maschile (The Descent of Man, Penguin Books) ha commentato via Twitter il risultato elettorale degli Stati Uniti descrivendo le opinioni di Trump di «una mascolinità retrograda e fuori controllo». Cornelia Parker si dice «catatonica per lo shock».
L'artista britannico Stuart Semple ci confida «mi sono svegliato e ho scoperto che un vip idiota, squilibrato, misogino sta governando il mondo». E aggiunge: «La cosa triste è che molto spesso è in periodi terribili che si vede una grande arte provocatoria. Questo è uno di quei periodi e il motivo è la sofferenza attraverso cui il mondo è in procinto di passare».
In vista del voto di ieri, l'artista statunitense Barbara Kruger ha disegnato la copertina del «New York Magazine»: un primo piano del volto di Trump è attraversato dalla parola «Loser» (perdente), delineata con l'inconfondibile font usato dell'artista.
Altri artisti che si sono opposti alle mire di Trump alla Casa Bianca, sostenendo finanziariamente la Clinton, sono Jeff Koons, Chuck Close e Marina Abramovic. Shepard Fairey, che com'è noto nel 2008 ha progettato un manifesto di sostegno alla campagna presidenziale di Barack Obama, ha scritto sul suo blog di essere sgomento e avvilito dai risultati elettorali, descrivendo Trump come un candidato «di un narcisismo senza precedenti e zero esperienza come servitore delle istituzioni» e sottolineandone «la capacità pari a zero di capire le difficoltà dell'americano medio». Altri commentatori attribuiscono il successo di Trump al fatto di essere estraneo alla politica: la sua retorica politicamente scorretta incontra il favore degli elettori desiderosi di un cambiamento.
L'artista inglese Jeremy Deller, neppure lui un fan del neopresidente, riflette sul «fascino primordiale» di Trump, che definisce un «candidato rock-and-roll». «Come una classica stella del rock, spiega Deller, era imprevedibile, carismatico e ha infranto tabù». Ma anche, prosegue l'artista, «come molti rocker della sua generazione», Trump «ha opinioni e comportamento antiquati nei confronti delle donne».
La notizia della vittoria di Trump ha fatto crollare i mercati azionari, anche se il suo discorso di vittoria ha avuto un effetto calmante. Le aste della prossima settimana a New York, che sono state posticipate per evitare la concomitanza con l'elezione, daranno le prime indicazioni sulla risposta del mercato dell'arte alla prospettiva di una presidenza Trump.
Nel suo discorso, Trump ha riservato un ringraziamento speciale a Rudy Giuliani, suo consulente nonché ex sindaco di New York. Alla fine degli anni Novanta, quand'era sindaco, Giuliani minacciò di sfrattare il Brooklyn Museum in seguito all'esposizione di un'opera dell'artista britannico Chris Ofili, «The Holy Virgin Mary».
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