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Chiara Pasetti
Leggi i suoi articoliGenova. Il 3 aprile 1845 Gustave Flaubert (1821-80) valica per la prima volta le Alpi in compagnia della sua famiglia, in occasione del viaggio di nozze in Italia dell’amata sorella Caroline, sposatasi nel marzo di quell’anno con Émile Hamard. Il primo maggio, dopo aver visitato Nizza, fa tappa a Genova, dove resterà qualche giorno prima di recarsi a Torino e Milano, in seguito a Monza e Pavia, sui laghi di Como e Maggiore, e infine ritornare, passando dalla Svizzera e da Parigi, nella nativa Rouen il 12 giugno.
È senza dubbio Genova il luogo che lo incanta maggiormente: «Quanto alle mie impressioni di viaggio, ciò che ho visto di più bello è Genova». Nella capitale ligure il giovane Flaubert, ancora profondamente intriso di letture romantiche, appassionato della storia di Roma e alla ricerca di un’Italia come se l’era immaginata attraverso i racconti di Alfred de Musset e Victor Hugo, resta stupefatto di fronte alla scoperta dei meravigliosi palazzi di marmo, e dei tesori d’arte in essi custoditi: «Mi trovo in una città bellissima, una città davvero splendida, Genova. Si cammina sul marmo, è tutto marmo: scalinate, balconi, palazzi. Passando per strada si vedono i grandi soffitti patrizi tutti dipinti e dorati», scrive all’amico Alfred Le Poittevin.
Qualche giorno dopo, da Torino, confessa di essere in una pessima disposizione di spirito, perché la sua mente continua a essere rapita da ciò che ha visto nella «Superba»: «Penso sempre a quei soffitti di Genova... Porto l’amore per l’antico nelle mie budella. Sono smosso fin nel profondo del mio essere quando penso alle carene romane che fendevano le onde immobili ed eternamente ondeggianti di questo mare sempre giovane».
Nelle note del suo Voyage en Italie, redatte con precisione, in cui elenca e descrive i palazzi e i capolavori d’arte che ha visto, e le strade che ha percorso, un dipinto, i cui particolari sono illustrati con passione ed entusiasmo, si distingue sopra a tutti, al punto da «cancellare tutto il resto della galleria [la quadreria di Palazzo Balbi] in cui si trovava»: «Ho visto un quadro di Brueghel che rappresenta La Tentazione di sant’Antonio. Mi ha fatto pensare di arrangiare per il teatro La Tentazione di sant’Antonio, ma questo richiederebbe uno ben più in gamba di me. Darei tutta la collezione del Moniteur, se ce l’avessi, e aggiungerei centomila franchi per comprare quel quadro, che la maggior parte di coloro che lo guardano giudicano cattivo».
Quel meraviglioso, grottesco, inquietante dipinto costituì, come dichiarato dallo scrittore stesso, la prima fonte di ispirazione per la stesura de La Tentazione di sant’Antonio, un’opera drammatica suddivisa in quadri, accompagnati da note narrative, incentrata interamente sulla figura dell’eremita Antonio e delle sue visioni-allucinazioni. Flaubert ne portò a termine una prima versione nel 1849 (ma decise di non pubblicarla), la riprese in mano nel 1856 per farne uscire dei frammenti su «L’Artiste» (che vennero molto apprezzati da Charles Baudelaire), e tornò a lavorarci molti anni dopo, per pubblicarla nel 1874 in una versione alquanto diversa rispetto alla prima. In quell’occasione si trovò a definire il suo sant’Antonio, comprensibilmente, «l’opera di tutta la mia vita», e ribadì che l’impulso a scriverne era stato generato dalla potente suggestione provocata in lui dal dipinto: «La prima idea mi è venuta nel 1845, a Genova, davanti a un quadro di Brueghel, e da allora non ho smesso di pensarci».
La tavola che tanto colpì la sfrenata e fiammeggiante immaginazione di Flaubert, «Le tentazioni di sant’Antonio Abate», tradizionalmente attribuita al pittore fiammingo Pieter Brueghel il Giovane (1564-1638), una delle opere più celebri delle storiche collezioni genovesi, documentata nella seicentesca dimora di Francesco Maria Balbi, non era più comparsa al pubblico dopo una mostra genovese del 1946. Grazie alla sensibilità e alla generosità dell’attuale proprietario, il quadro è tornato da quest’anno a Genova, nelle sale della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. Proprio, dunque, nella città in cui lo vide, e se ne innamorò, Gustave Flaubert. E dove ora chiunque può ammirarlo.
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Pieter Brueghel il Giovane (attr.), «Le Tentazioni di sant’Antonio Abate», collezione privata
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