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Tempio in una stanza, 1927, di Giorgio De Chirico, cortesia di Sotheby's

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Tempio in una stanza, 1927, di Giorgio De Chirico, cortesia di Sotheby's

Le visioni di Donghi, le proiezioni di Licini, le atmosfere di de Chirico. Le conferme di Sotheby's Milano

Perle rare e storiche, a lungo lontane dai riflettori o, più semplicemente, pezzi giusti ai giusti prezzi

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Elena Correggia

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Perle rare e storiche, a lungo lontane dai riflettori o, più semplicemente, pezzi giusti ai giusti prezzi. È quello che va cercando il mercato, in special modo in tempi in cui la prudenza induce a puntare su valori sicuri. Risponde a questi requisiti un artista del Novecento classico, apprezzato a livello internazionale come Giorgio de Chirico. Il suo olio su tela «Tempio in una stanza», da Sotheby’s il 28 maggio, a Milano, ha superato le aspettative (a suo vantaggio anche la licenza di libera esportazione già ottenuta) per essere aggiudicato a un offerente in sala per 584.200 euro (la valutazione era di 350-450mila). Un’opera mai passata prima all’incanto, rara e prestigiosa a partire dalla data, 1927, e dal primo proprietario, il celebre gallerista e collezionista francese Paul Guillaume. Dopo la fase metafisica, gli anni ’20 rappresentano per il Pictor Optimus un periodo di rinnovamento di soggetti e riflessioni, che coniugano memoria individuale e citazioni classiche in un’atmosfera atemporale e sospesa, d’impronta surrealista, come testimonia il dipinto andato ora all’asta. Se il passato si trasfigura in de Chirico in una realtà enigmatica e insondabile, in «Madre e figlia» di Antonio Donghi appare invece come qualcosa che permea la tela pur senza essere narrato, traducendosi in un legame di valore universale. Questo lavoro, datato 1954, esemplifica magistralmente la capacità dell’esponente del Realismo magico di congelare un’immagine, in bilico perfetto fra richiami arcaici e moderno sentire, ed è riuscito a moltiplicare le stime iniziali di 80-120mila euro per passare di mano a 419.100. Dalle nitide visioni di Donghi si passa alle proiezioni oniriche di Osvaldo Licini. La luna, il cielo notturno e una figura fantastica, a metà strada fra creatura celeste e luciferina: in «Angelo ribelle notturno», del 1954, ci sono tutti gli elementi che hanno popolato e reso riconoscibili i sogni poetici di Licini. L’opera, infatti, dopo una vivace contesa è stata aggiudicata al telefono per 330.200 euro, quasi raddoppiando la stima massima di 180mila, terzo miglior risultato assoluto per l’artista marchigiano che non appare molto di frequente in asta. Da un’altra collezione privata di respiro internazionale proveniva «Diamond Dust Shoes», serigrafia del 1980 nella quale Andy Warhol torna ad analizzare i concetti di moda e costume già affrontati fin dagli anni Cinquanta. Qui la scarpa da accessorio quotidiano diventa oggetto degno di essere ritratto e il corto circuito fra pubblicità, cultura pop e arte si rinnova conquistando la platea che ha portato l’opera a una vendita per quasi 108mila euro (da una stima di 70-80mila). In termini di exploit però la palma va ad Alighiero Boetti, che con il suo «Autoritratto» ha rivoluzionato il genere: il suo volto in pose irriverenti è immortalato per ben 12 volte su altrettanti fogli rosa, realizzati con una fotocopiatrice Rank Xerox. L’ esperimento sull’identità, fra il concettuale e il giocoso, è stato assai apprezzato e l’opera è volata da una valutazione iniziale di 20-30mila a una vendita per 139.700 euro.

 

Elena Correggia, 28 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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