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Elena Correggia
Leggi i suoi articoliI corpi fluidi e in continua ricerca di sé di Christina Quarles (Chicago, 1985) approdano in Norvegia per la sua prima, ampia personale nel Paese. Una selezione di 23 dipinti di grande formato è esposta nella mostra «Living in The Wake», curata da Kate Smith-Raabe e allestita fino al 12 ottobre nel museo privato Kistefos, nei pressi di Jevnaker, a un’ora circa d’auto da Oslo. In questo luogo magico, che sembra emergere dalle pagine di un libro di fiabe, dominato da un bosco di abeti e dove il silenzio è interrotto solo dal gorgoglìo delle cascate, l’arte contemporanea è di casa. A dar vita all’originale connubio fu nel 1996 l’imprenditore Christen Sveaas, che riconvertì in polo culturale l’antica fabbrica del nonno, uno stabilimento per la produzione di pasta di legno per cartiere. Cuore del museo è il parco sulle rive del fiume Randselva, che ospita oltre 50 sculture e installazioni di artisti norvegesi e internazionali, molte delle quali realizzate specificatamente per Kistefos. Alcuni edifici e capannoni, nel loro Brutalismo postindustriale, sono invece diventati spazi ideali per allestimenti espositivi temporanei. Qui vecchi utensili e macchinari ancora perfettamente funzionanti sono posti in dialogo con la creatività di opere contemporanee.
Ma l’area del museo che si fa letteralmente ponte fra antico e moderno, fra natura e tecnologia è The Twist: una galleria ideata in vetro e legno dagli architetti danesi Big-Bjarke Ingels group, lunga 60 metri e concepita come scultura in sé stessa per collegare le due parti del parco attraversando il corso d’acqua. In essa sono esposte le tele di Quarles, alcune provenienti da istituzioni culturali, come «Hush Now Baby Baby» dal Louisiana Museum di Humlebæk, in Danimarca, altre da collezioni private e fondazioni come la stessa fondazione Christen Sveaas o prodotte appositamente per questo spazio, come «Living in the wake» (2025), che dà il titolo alla mostra. Fedele alla sua costante attenzione ai concetti di identità, genere e razza, l’artista americana queer concentra la riflessione sul corpo. Mai ritratto precisamente ma solo intuito, pur in una fisicità debordante, in continua modificazione, dagli instabili confini, in fuga da univoche classificazioni. Figure in cerca d’autore, si potrebbe dire, osservando le fisionomie accennate e distorte, stratificate, ora colte in intimità, ora protese verso l’esterno, in un confronto senza sosta fra l’esperienza di vivere il proprio corpo e la percezione di esso da parte del mondo esterno. La spinta a indagare il modo in cui lo spazio circostante condiziona l’identità trova sostanza anche negli interventi architettonici di Quarles che, sensibile alle suggestioni di Kistefos, dipinge pareti temporanee e inserisce quinte color rosso Borgogna, atte a sviluppare nuove prospettive all’interno della galleria, interagendo con le «torsioni strutturali» degli ambienti e anche con la visuale esterna.
Oltre alla mostra valgono senz’altro un’esplorazione l’intero parco e gli edifici annessi. Passeggiando fra le betulle si possono così scoprire alcuni «intrusi», in realtà perfettamente integrati con il paesaggio. Come la grande margherita di Ståle Kyllingstad realizzata nel 1948 con gli scarti di acciaio della fabbrica, l’orso di bronzo di Fredrik Raddum che schiaccia sotto il suo peso una persona (2013), o il polpo gigante di Bjarne Melgaard, che spunta dalla terra con i suoi tentacoli. L’arte interagisce con la natura rispecchiandosi in essa: è il caso della gigantesca superficie a S di Anish Kapoor posta su un isolotto o dell’uomo d’acciaio lucido di Elmgreen&Dragset che scruta l’interno della galleria; oppure scoprendo affinità e differenze, come «Identity», l’albero doppio e capovolto in bronzo e alluminio di Giuseppe Penone fino all’inquietante simulazione in 3D delle mutazioni naturali proposta dal video di Pierre Huyghe.
Intorno all’acqua e all’energia, proveniente dalla natura ma anche dall’industria, si sprigiona la creatività di molti artisti presenti: dalle sculture avvitate di Tony Cragg a quelle a pois di Yayoi Kusama, dalle puntine da disegno giganti che rotolano giù dalla collina di Claes Oldenburg e Coosje Van Bruggen ai labirinti che si intersecano con giochi di fontane di Jeppe Hein.
A Kistefos è veramente l’arte a parlare con potenza dell’essenziale, senza sovrastrutture o cornici prevaricanti: il museo appare curato ma non lezioso, il bookshop fornito e quasi privo di inutili gadget, la ristorazione esiste con discrezione, benché si possa decidere di optare per un pic-nic in autonomia su prati a perdita d’occhio. L’arte, dentro la natura, rimane protagonista e compie magie: si vede, si sente, si tocca, serpeggia proprio ovunque, persino nelle toilette, dove l’invito è a non spaventarsi per gli occhi o la bocca impertinenti che sbucano sulla parete, dal video di Tony Oursler. D’altra parte, in un luogo che sarebbe piaciuto anche ad Alice nel Paese delle Meraviglie, non c’è nulla di così assurdo da non meritare di essere esplorato.