Attraverso due mostre aperte pressoché in contemporanea (senza collegamenti una con l’altra, come pure si era ipotizzato), in una città che con la storia dell’artista non ha a che fare, pur essendo molto vicina ai luoghi reggiani dove ha vissuto buona parte della vita, si analizza a Bologna l’opera di Antonio Ligabue (Zurigo, Svizzera 1899-Gualtieri, Re, 1965).
La prima delle due antologiche ad aprire, il 18 settembre e sino a fine marzo 2025, è allestita a Palazzo Albergati ed è organizzata da Arthemisia: tale società a luglio, a Trieste, ha festeggiato le 120mila presenze (13 milioni di euro di indotto per la città, hanno calcolato Comune e organizzazione) proprio per una mostra dell’artista svizzero-italiano e una seconda dedicata a Van Gogh nel Museo Revoltella. Il secondo appuntamento bolognese si terrà nel Palazzo Pallavicini dal 3 ottobre al 28 febbraio 2025, a cura di Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci con il patrocinio della «Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue».
A Palazzo Albergati la rassegna, a cura di Francesco Negri e Francesca Villanti, riunisce un centinaio di lavori, oli, disegni e sculture con la presenza di tutti i soggetti principali dell’artista espressionista, dai paesaggi alle fiere di paese, dalle scene di vita quotidiana ai numerosi autoritratti, probabilmente la vera «firma» di Ligabue. Il pubblico lo «riconosce» facilmente, è abituato alle immagini di questo artista un tempo definito «naïf», un creatore visionario dalla vita complessa (fu più volte ricoverato in manicomio a Reggio Emilia) e dalla pittura immediata. Com’è evidente, tra i lavori esposti nel Palazzo Albergati, nel celebre «Autoritratto con sciarpa rossa» (riferibile al 1952-62), nel coevo «Autoritratto con berretto da motociclista» o nel giovanile «Leone con leonessa» del 1932-33.
Palazzo Pallavicini, a un chilometro dalla prima sede, «risponde» attraverso l’ordinamento in otto ampie sezioni con ulteriori 100 lavori, 70 dipinti tra cui sette ritratti di tigri (tra questi «Tigre» del 1942 e «Testa di tigre» del 1953-54), un altro dei soggetti preferiti dall’artista e 12 autoritratti, oltre ad alcune sculture e numerosi disegni. Lungo il percorso è inoltre esposta la sua moto personale, una Guzzi Falcone 250 rosso fiammante, dono della famiglia Gnutti che l’artista utilizzò in lungo e in largo a Gualtieri, nella Bassa reggiana, dove viveva dopo la gioventù in Svizzera. Alcune fotografie e ricostruzioni cinematografiche hanno reso celebri le scorribande dell’autore su questa moto: Ligabue era solito, infatti, legarsi i quadri alla schiena o ai lati del mezzo e così bardato partiva alla volta delle abitazioni dei suoi primi collezionisti dell’area reggiana. Il percorso di Palazzo Pallavicini, infine, ospita anche quella che è definita la sua ultima opera, un paesaggio a olio su tela del 1962.