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«Orazio legge davanti al circolo di Mecenate» (1863) di Fedor Bronnikov (particolare)

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«Orazio legge davanti al circolo di Mecenate» (1863) di Fedor Bronnikov (particolare)

L’importanza del mecenatismo delle Fondazioni bancarie

Assicurano non soltanto la sopravvivenza del mercato, ma proteggono anche gli artisti

Fabrizio Lemme

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Gaio Cilnio Mecenate (68 a.C.-8 a.C.) è uno dei pochi personaggi della storia umana il cui nome sia divenuto un sostantivo: noi oggi definiamo «mecenate» qualunque grande protettore delle arti contraddistinto da un munifico disinteresse e «mecenatismo» la relativa presenza attiva nei fatti di cultura. In questo senso, egli è simile a Cesare: anche per lui il nome è divenuto un sostantivo con il quale si designa il potere imperiale, dal mondo latino (Caesar) a quello germanico (Kaiser), a quello russo (Czar), addirittura a quello persiano (Scià).

Che cosa intendiamo per mecenate e mecenatismo.
Da cosa deriva tanto onore? Mecenate era di illustri origini: nelle Odi (la I del Libro I) Orazio si rivolge a lui chiamandolo «disceso da avi che furono re» («Mecenas atavis edite regibus»), alludendo all’appartenenza della sua gens a una stirpe di Lucumoni etruschi, dunque di sovrani-sacerdoti. Virgilio arriva addirittura a divinizzarlo: «Deus nobis haec otia fecit» (Egloghe, I, 6). In tal modo i due massimi esponenti della poesia latina esprimevano la loro riconoscenza a chi li aveva largamente beneficiati, al primo, regalando una villa con orto presso Tivoli (hoc erat in votis: Satire, Libro II, sat. VI, v. 1); al secondo, accordando una vita ritirata e tranquilla, conforme alle sue esigenze di appartato poeta.

In effetti, nella sua esistenza, almeno a partire dal 39 a.C., Mecenate fu prodigo di sostegno economico e culturale verso i massimi esponenti della lirica latina, da non molto importata nelle nostre terre dalla cultura greca («Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio»: Orazio, Epistole, II, 1, 156). L’assoluto disinteresse, che contraddistingue la sua presenza nelle arti, legittima il passaggio del suo nome a un meritorio sostantivo. Mecenate segna una tappa della cultura umana, sublimando la protezione dell’arte come fatto fine a se stesso, privo di ogni connotazione lucrativa.

Che cosa sono le Fondazioni bancarie
A partire dagli anni Ottanta la Comunità Europea ha attivato una forte liberalizzazione e privatizzazione dell’economia, restringendo l’area degli aiuti di Stato e privilegiando il regime di libera concorrenza.

In questo contesto, a partire dagli anni Novanta la Comunità Europea ha prima privatizzato le Casse di Risparmio, parificandole in tutto alle altre istituzioni bancarie, e poi ha separato la proprietà delle stesse dall’attività propriamente creditizia e di raccolta del risparmio, gestita in forma di società per azioni e attribuendo a organismi non profit (le Fondazioni, appunto) il corrispondente capitale azionario.

In questo contesto si è distinto Carlo Azeglio Ciampi, anche come Governatore della Banca d’Italia, che promosse prima la Legge Amato-Carli (218 del 1990), cui seguì il Decreto Legislativo di attuazione (356/90), poi la Legge delega 461/98, cui seguì il Decreto Legislativo di attuazione 153/99. Il risultato di questa importante riforma (sulla quale intervenne anche il ministro Giulio Tremonti, con la Legge 448/2001), è stato l’attribuzione alle Fondazioni Bancarie di tutti gli utili provenienti dall’attività creditizia, che dovevano essere gestiti non profit, vale a dire per scopi filantropici e per scopi di mecenatismo.

E qui veniamo al tema che intendiamo succintamente affrontare: la presenza delle Fondazioni bancarie nella raccolta di beni culturali, attuata appunto con spirito di mecenatismo e coerentemente con la loro natura di enti non profit.

Che cos’è il mecenatismo bancario
Nei secoli passati della nostra civiltà e fino all’inizio del secolo XIX, poiché «carmina non dant panem», gli artisti (letterati, musici, pittori, scultori, architetti ecc) hanno potuto sopravvivere trovando un sostegno economico presso il papa, i re, i cardinali, le varie corti feudali, che concedevano loro delle pensioni e quindi la possibilità di vivere e di operare per l’arte.

È proverbiale, nella nostra cultura, il mecenatismo di Luigi XIV, il Re Sole, di Federico II di Prussia, di Caterina di Russia, di Carlo di Borbone, re di Napoli (III di questo nome) e di Sicilia (VII di questo nome), per non citare che i sovrani più celebri. Ma anche degli Sforza di Milano, dei Gonzaga di Mantova, dei Medici di Firenze, degli Este di Ferrara, dei Della Rovere di Urbino, fino ad arrivare ai signori di Carpi (Pio di Savoia), di Faenza (Manfredi), di Forlì (Riario Sforza). Nelle loro corti, tutte le arti hanno potuto avere sviluppo e protezione, con risultati che sono tuttora tangibili e visibili.

A partire dalla Età romantica (dopo il 1815 e la caduta di Napoleone), gli artisti sono stati parificati a dei professionisti particolarmente qualificati e il loro sostentamento doveva essere il risultato della loro fatica intellettuale: il passaggio da Vincenzo Monti (che fu artista «protetto») a Ugo Foscolo (che fu artista indipendente) è indicativo al riguardo, come è indicativa la frase del secondo, pronunziata sul letto di morte, «i debiti sono pagati». In un certo senso, noi viviamo ancora nell’Età romantica: l’artista è la punta di diamante della classe intellettuale e la sua sopravvivenza economica è assicurata dal successo della sua opera.

Se i libri si comprano, se i quadri e le sculture si vendono, se la musica viene ascoltata, l’artista potrà sopravvivere, assicurandoci il suo contributo alla creazione della bellezza, vero motore dell’attività umana. Ed è proprio in questo contesto che si inquadra il nuovo mecenatismo delle Fondazioni bancarie: intervenendo sul mercato sia per la costituzione di collezioni di arte passata, sia di collezioni di arte contemporanea, le Fondazioni bancarie non soltanto assicurano la sopravvivenza del mercato (come ho scritto più volte, condizione per la sopravvivenza dell’attività creativa), ma anche proteggono gli artisti del nostro tempo, incoraggiati e sostenuti dai nuovi mecenati.

Prendiamo ad esempio la Fondazione Roma, un’istituzione di origine bancaria oggi svincolata da questo ruolo specifico: per l’inesausta attività del suo presidente (a lungo effettivo e poi onorario) Emmanuele Francesco Maria Emanuele, distribuisce le sue ingenti risorse tra scopi filantropici, acquisizione di testimonianze del passato, artisti viventi, conosciuti o ancora sconosciuti.

Come si vede, una presenza a tutto campo, che viene seguita anche da altre meritorie istituzioni, come la Fondazione del Monte di Bologna. Aggiungo che l’art. 121 del D.Lgs. 42/04 istituzionalizza il ruolo delle Fondazioni bancarie, esplicitamente prevedendo che le stesse, «anche congiuntamente…» possono «stipulare protocolli d’intesa con il Ministero, le Regioni, e gli altri enti pubblici territoriali… che statutariamente perseguano scopi di utilità sociale nel settore dell’arte e delle attività e beni culturali… concorrendo, con proprie risorse finanziarie, per garantire il perseguimento degli obiettivi dei protocolli d’intesa».

L’apice di questa presenza delle Fondazioni bancarie nel settore delle arti visive è rappresentato dalla costituzione di un museo virtuale, ossia di un museo che sfrutta l’interazione realizzata in via telematica e che può essere fruito anche da un computer posto nella casa del fruitore.

Dal 2013 infatti questo museo virtuale è operante e consente, cliccando su R’accolte, la visione di oltre 9.300 opere d’arte: uno dei più grandi musei del mondo, parificabile in tutto al Museo del Louvre o al Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo. Il patrimonio fruibile appartiene a 52 Fondazioni bancarie e include 5.509 dipinti, 1.583 disegni, 1.054 ceramiche ecc., ossia uno spettro che include tutte le arti visive. Un esempio da seguire e da imitare: nella sua disarmante globalizzazione il mondo di oggi è assetato di arte e di cultura.

Le mostre organizzate da Fondazioni bancarie, che espongono il proprio patrimonio culturale e non solo, sono per tutti un esempio operoso di promozione della conoscenza delle arti visive: basta pensare alla mitica esposizione della Fondazione del Monte nel 2013 a Bologna nella quale gli amatori e i cultori hanno potuto vedere capolavori di Annibale Carracci, di Guido Reni, di Lanfranco e tanti altri autori bolognesi ed emiliani. In esse si supera e si trascende quella afflittiva quotidianità, che solo Joyce è riuscito a riscattare descrivendo nell’Ulisse il percorso di un giorno qualsiasi di Leopold Bloom come il viaggio di Ulisse per tornare da Troia distrutta alla sua petrosa Itaca.

Fabrizio Lemme, 30 aprile 2020 | © Riproduzione riservata

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