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Dario Jucker
Leggi i suoi articoliLo scorso 11 marzo è stato venduto a Balerna (Cantone Ticino) all’asta giudiziaria per un prezzo di oltre 700mila franchi il «Trittico di Leonforte», opera che, prima di alcuni interventi di pulitura recentemente realizzati, la critica riteneva essere una copia tardo cinquecentesca del dipinto di Beato Angelico custodito alla Gemäldegallerie di Berlino. Il trittico, al centro di una lunga vicenda giudiziaria relativa alla proprietà, donato da papa Urbano VIII nel ‘600 al Principe Branciforte, fu custodito nel Convento dei padri Cappuccini di Leonforte per oltre 300 anni e proviene dai Conti Li Destri di Bonsignore, che lo avevano a loro volta acquistato dai nobili Branciforte. Così scrisse Eugène Müntz nel 1894: «il trittico esistente in Leonforte è autentico dell’Angelico e giustifica l’esistenza di vari originali (è celebre il Giudizio Universale del Beato Angelico che esiste nel Museo di Berlino) con il fatto che l’Angelico provvide a parecchie ripetizioni di tale soggetto che è a lui preferito».
E poi il Morelli e il Frizzoni videro l’opera a Leonforte prima del 1897 e dissero: «Ci trovammo largamente compensati della lunga e faticosa gita montanina, riscontrando in quel trittico un’opera pregevole del Frate, per quanto assai simile a quella di Berlino, e, a differenza della medesima poi, svisata sensibilmente da cattivi restauri ad olio». Si auguravano che il dipinto fosse pulito dai cattivi restauri per potere permettere un raffronto con quello di Berlino. Berenson lo dichiarò dei discepoli. Corrado Ricci e Umberto Rossi, allora direttore del Bargello, furono del parere che il dipinto fosse opera dell’Angelico, come sostenuto anche da una recente perizia del Prof. Rolando Bellini. L’opera fu «notificata» nel 1910 (vincolo rinnovato nel 1942 a seguito dell’adozione della nuova legge 1.6.39 nr. 1089) in quanto ritenuta d’interesse artistico particolarmente importante. Tuttavia, il vincolo fu revocato nel 1975, poiché l’allora Ministero per i beni culturali e per l’ambiente, dopo approfonditi esami, ritenne che si trattasse di una copia ottocentesca di scarso interesse artistico e storico. Risultano poi due passaggi d’asta, il primo bloccato nel 1987 per intervento dei frati cappuccini, che sostenevano essere proprietari del dipinto, e il secondo l’anno successivo con assegnazione.
Al di là delle vicende relative all’attribuzione, essendo stato il dipinto esportato in Svizzera nel 2016 in presenza di un attestato di libera circolazione, è interessante sapere se vi siano i presupposti giuridici affinché la licenza di esportazione sia revocata e, in caso di risposta affermativa, se l’Italia possa effettivamente ottenere il reimpatrio del Trittico, come sembra desiderare, essendo lo stesso Ministro della Cultura intervenuto per tentare di bloccare l’asta presso il Tribunale di Mendrisio chiedendo accertamenti sull’uscita dell’opera. In riferimento alla questione della revoca dell’attestato di libera circolazione, vi sono principi sanciti dalla giurisprudenza. La sentenza del caso «Jacopo Bassano» (sentenza TAR Lazio nr. 11306 del 12.7.2022) verteva sull’annullamento in autotutela da parte del Ministero della Cultura dell’attestato di libera circolazione rilasciato in relazione di un dipinto raffigurante un soggetto biblico, meglio noto come «Il Miracolo delle quaglie», o «La raccolta delle coturnici». L’istruttoria per il rilascio dell’attestato venne giudicata insufficiente e fuorviante, comminata da omissioni di elementi determinanti per l’identificazione dell’opera e/o informazioni non corrispondenti al vero, nonché da un carente esame dell’opera a causa delle sue scarse condizioni conservative.Tali circostanze avevano indotto l’Ufficio Esportazioni a non considerare l’opera come un bene di rilevante importanza storica e culturale. Solo a posteriori emerse l’eccezionale importanza artistica e storica dell’opera e l’interesse culturale importante.
La revoca dell’attestato in autotutela è dunque possibile se il ricorrente rappresenta uno stato dei fatti carente ed incompleto, sottacendo circostanze a lui note, e che avrebbero permesso alla Sovrintendenza di effettuare un esame più approfondito dell’opera. La facoltà di autotutela dell’amministrazione si estende per il «termine ragionevole» di 12 mesi dal momento dell’adozione del provvedimento. Tuttavia, il termine temporale assume irrilevanza quando il provvedimento amministrativo è stato conseguito illegittimamente tramite falsa rappresentazione di circostanze rilevanti ai fini del decidere, imputabile al dolo o alla malafede oggettiva dell’interessato. «Quando un titolo abilitativo sia stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa o, comunque, erronea rappresentazione della realtà è consentito all’Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela senza alcun limite temporale ed inoltre, ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa». Non sono note le circostanze in base alle quali si è svolta l’istruttoria nel caso dell’esportazione dall’Italia del «Trittico di Leonforte» (si sa, da notizie di stampa, che il dipinto è stato considerato una «copia ottocentesca dell’originale conservato in Germania»), ma è evidente che dovrà farsi riferimento ai criteri di cui alla sentenza Bassano per determinare la possibilità di annullamento in autotutela del provvedimento amministrativo. Per quanto riguarda invece la possibile assistenza giudiziaria richiesta dall’Italia alla Svizzera, i rimedi esperibili dipendono dalla natura del reato che sarebbe in astratto configurabile. In un articolo apparso sul Journal of Cultural Heritage Crime, si riporta una denuncia presentata in Svizzera dal precedente proprietario, archiviata, e un tentativo di reimpatrio tramite l’Ufficio Federale della Cultura, anch’esso senza successo.
Non sembra dunque che vi siano i presupposti per agire in Svizzera, ma si segnala un precedente caso, relativo al dipinto «Ritratto di donna con abito nero» attribuito a Raffaello, nel quale il proprietario depositò una denuncia per illecita esportazione, indebita appropriazione, falso ideologico e ricettazione di fronte alle autorità italiane e quest’ultime, dopo che la vicenda fu esaminata dal Tribunale Federale, richiesero ed ottennero la collaborazione delle autorità svizzere. L’assistenza giudiziaria in materia penale non è un’alternativa alle azioni civilistiche di restituzione e rimpatrio (ex Accordi Bilaterali – nel caso Italo-Svizzero limitatamente ai beni archeologici), ma è una possibilità complementare ed integrata per la lotta al traffico illecito dei beni culturali. Ricevuta una richiesta di assistenza giudiziaria, la Svizzera esamina prima facie la domanda di assistenza e i fatti esposti, limitandosi a negare la sua collaborazione solo laddove gli stessi siano manifestamente lacunosi, erronei o contraddittori. Qualora l’atto perseguito all’estero denoti gli stessi elementi obiettivi di una fattispecie punibile secondo l’ordinamento elvetico (la cd. condizione di doppia punibilità), l’assistenza giudiziaria all’Italia è concessa. Così avvenne nel caso del dipinto attribuito a Raffaello, dove vi erano vari reati contestati, ma accadde diversamente nel caso del dipinto «Ritratto d’Isabella d’Este» attribuito a Leonardo, dove si contestava solo l’illecita esportazione dall’Italia. Le autorità cantonali decisero che l’art. 174 del Codice dei Beni Culturali non ha gli stessi elementi di cui all’art. 24 della LTBC (Legge sul trasferimento di Beni Culturali), dato che la legislazione svizzera prevede l’illiceità dell’esportazione per i soli beni iscritti nell’Elenco federale, il TF (il Tribunale Federale) ritenne insussistente il principio della doppia punibilità ed il dipinto rimase in territorio svizzero. Come già precedentemente era stato affermato da autorevole dottrina, l’elemento dell’iscrizione in un registro, che in Svizzera si può imporre solo per beni pubblici (mentre per quelli privati può avvenire solo volontariamente) ha costituito l’elemento discriminante per negare la concessione dell’assistenza. Nel caso del «Trittico di Leonforte» non sarebbe in astratto contestabile il reato d’illecita esportazione, in quanto risulta concessa nel 2016, mentre sembra difficile allo stato ipotizzare la restituzione all’Italia sulla base di altri elementi. È singolare tuttavia notare che l’Italia ora tenti di riparare all’uscita dal territorio di un dipinto, di cui la stessa Sovrintendenza ha revocato la notifica e che ha lasciato uscire dal paese nel 2016, una preziosissima versione del «Giudizio Universale» che si trova a Berlino, dopo che anche quest’ultimo era uscito dal territorio italiano senza alcun intervento da parte delle autorità.
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