Lucia Moholy, «Metal workshop, design by Marianne Brandt, Bauhaus Dessau, 1924»

© 2025, ProLitteris, Zürich

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Lucia Moholy, «Metal workshop, design by Marianne Brandt, Bauhaus Dessau, 1924»

© 2025, ProLitteris, Zürich

Lucia Moholy, pioniera della microfilm technology

Alla Fotostiftung Schweiz di Winterthur, una retrospettiva racconta gli innumerevoli volti e retroscena della carriera della fotografa ceca, testimone e protagonista del Bauhaus di Dessau

Lucia Moholy (Praga, 1894-Zurigo, 1989) non è la prima né l’ultima artista donna il cui riconoscimento ha per anni stentato ad arrivare, ma ciò non rende la sua storia meno degna di nota. Anzi, se c’è una cosa che traspare in questa vicenda, è la maniera in cui, piuttosto che darsi per vinta, la fotografa abbia continuato a manifestare il suo talento nelle più svariate forme, anche quando la società del tempo tentava di occultarne le tracce. Questo è ciò che racconta «Lucia Moholy. Exposures», prima retrospettiva a ripercorrerne la produzione pluridecennale, presso il Fotostiftung Schweiz di Winterthur (Svizzera) fino al 9 giugno.

Nata in una famiglia ebrea non praticante nell’impero austro-ungarico, Lucia Moholy cresce leggendo Thomas Mann e Tolstoj. A 18 anni insegna tedesco e inglese, mentre studia filosofia, filologia e storia dell’arte all’Università di Praga. Durante la Prima guerra mondiale lavora come critica teatrale a Wiesbaden e poi come redattrice a Leipzig. Nel 1919 pubblica testi letterari sotto lo pseudonimo Ulrich Steffen. La svolta arriva nel 1923, quando, sposato László Moholy-Nagy, inizia a insegnare al Bauhaus di Dessau, rivoluzionaria scuola d’arte fondata da Walter Gropius.

È da qui che parte «Exposures», dalle sue fotografie d’interni ed esterni, di alunni e colleghi, e di oggetti che, anche a distanza di 100 anni, influenzano la percezione dell’istituto. Tra le immagini più affascinanti della retrospettiva, a cura di Meghan Forbes, Jan Tichy e Jordan Troeller, spiccano scorci di vita quotidiana negli appartamenti della scuola, nature morte con posateria d’argento all’avanguardia, e ritratti pungenti di personalità come l’artista surrealista e pianista Florence Henri, Edith Tschichold, moglie dell’omonimo tipografo tedesco, e gli stessi Moholy-Nagy e Gropius.

Ma il Bauhaus non è che l’inizio della carriera di Moholy, come di questa mostra. Lasciatasi la scuola alle spalle nel 1928, alla volta di Berlino, la fotografa si separa, ottenendo poco dopo una cattedra presso l’istituto d’arte di Johannes Itten e cominciando a sperimentare col fotogiornalismo. Costretta a rifugiarsi a Londra dopo l’invasione nazista del 1933, e a vedere il suo studio distrutto dalle bombe tedesche, trova nuova ispirazione nella «microfilm technology», di cui si fa pioniera. 

Neppure l’appropriazione illecita dei negativi della sua documentazione del Bauhaus, avvenuta per mano di Gropius, nel frattempo emigrato negli Stati Uniti, e svelata al termine della Seconda guerra mondiale, fermerà l’ascesa di Moholy. Ne sono la riprova le numerose collaborazioni editoriali e mostre da lei realizzate dal 1959, anno in cui si sposta a Zurigo, e il lavoro dell’artista e cocuratore Jan Tichy. La sua installazione «microfilm», anch’essa esposta in questa mostra, testimonia il suo dialogo creativo con la produzione di Moholy, e il lascito culturale di quest’ultima.

Lucia Moholy, «Florence Henri, Bauhaus Dessau, 1927». © 2025, ProLitteris, Zürich

Lucia Moholy, «Emma, Countess of Oxford and Asquith, London, 1937». © 2025, ProLitteris, Zürich

Gilda Bruno, 25 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

Lucia Moholy, pioniera della microfilm technology | Gilda Bruno

Lucia Moholy, pioniera della microfilm technology | Gilda Bruno