A vent’anni dalla scomparsa di Luciano Minguzzi (Bologna, 1911-Milano, 2004), il Castello Gamba, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea della Valle d’Aosta, a Châtillon, dedica allo scultore la sua mostra estiva. L’iniziativa è anche occasione per festeggiare l’imminente collocazione nel giardino del museo di una sua grande opera, «Uomini» (1969-70), che dà anche il titolo alla mostra («Uomini. Luciano Minguzzi in Valle d’Aosta»), curata da Davide Dall’Ombra, visitabile dal 13 luglio al 22 settembre.
Il rapporto tra l’artista bolognese e la Valle d’Aosta ha origini lontane: è stato infatti tra i vincitori, nella sua categoria, del Premio Saint-Vincent nel 1948 e dagli anni Settanta in poi la società che gestiva il Casinò, le Terme e il Grand Hotel Billia di Saint-Vincent, e che sosteneva un centro culturale cittadino, iniziò ad acquisire numerosi suoi lavori.
La mostra al Castello Gamba, realizzata dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta grazie alla collaborazione tra la Struttura Patrimonio storico artistico e gestione dei siti culturali e Casa Testori, nasce in collaborazione con l’Archivio Luciano Minguzzi di Venezia, in stretto dialogo con il figlio Luca e la famiglia. Qui si possono ammirare innanzitutto due bronzi degli anni Settanta, «Due figure sedute» e «Due donne (Le amanti)», che esprimono un «dialogo» tra due figure femminili stilizzate. Il rapporto tra le due donne si evolve nelle figure sedute del secondo gruppo in cui l’intreccio tra le gambe e l’impeto dei gesti dichiarano uno slancio emotivo tra i due soggetti. Proseguendo, ci si imbatte in un inedito schizzo del 1943. L’immagine di una donna stilizzata pare riassumere la poetica che verrà sviluppata in seguito nelle sculture (la geometrizzazione dei piani e le linee di forza infatti sono caratteristiche dei lavori più noti). Il tema dell’eterno dramma umano, caro all’artista, è esplicito nella tecnica mista «Le pendu - da François Villon» (1982), un riferimento all’opera del poeta François Villon, e ne «L’impiccato di Casalecchio» (1981), carta che fa parte di una serie sull’episodio dei 13 partigiani trucidati dai tedeschi tra l’8 e il 9 settembre del 1944.
Mentre il «Crocifisso» (1969) è visibile nell’abside della Parrocchiale di Saint-Vincent («del torso e volto del Cristo minguzziano ci è giunto un gesso preparatorio, sebbene in uno stato precario che lo rende intrasportabile»), in mostra appare un curioso pezzo proveniente dalle raccolte dello scultore, quello che lui chiamava «il Verrocchio», plastica cinquecentesca da lui amata e utilizzata, come altre, nella sua incessante indagine sulla rappresentazione del dolore. «Uomini del Lager» (1957), scultura collocata nella grande fontana all’ingresso del Castello Gamba, preannuncia il gruppo bronzeo «Uomini», grandioso trittico a sportelli disallineati in cui due uomini (di cui uno di tergo) e una donna appaiono lacerati, incompleti e senza più tratti distintivi, ombre dell’orrore vissuto nei convogli destinati ai lager nazisti. «La modulazione dei volumi e delle figure, l’esaltazione delle forme e la potente definizione spaziale dell’armatura portante rompono definitivamente con la tradizionale monumentalità schematica della statuaria e possono essere letti quali declinazioni libere di antichi retaggi della scuola artistica medievale bolognese, che arriva ad affacciarsi su un’odierna contemporaneità, passando anche attraverso le figure in cera di Berlinde De Bruyckere», per dirla con Luca Avataneo.
La mostra valdostana è un tributo che si assomma alle importanti rassegne già dedicate a Luciano Minguzzi, come quella nella Rotonda della Besana di Milano nel 1973, quella nel Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1986 o ancora quella nel Castello Sforzesco di Milano nel 1992.