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Il padrone di casa Charles de Beistegui in abito del Settecento al ballo da lui organizzato in Palazzo Labia a Venezia il 3 settembre 1951. © DR

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Il padrone di casa Charles de Beistegui in abito del Settecento al ballo da lui organizzato in Palazzo Labia a Venezia il 3 settembre 1951. © DR

L’ultimo ballo di Charles de Beistegui

Un volume evoca i fasti artistici e mondani del leggendario invito all’«ultima festa europea», nel 1951, a Palazzo Labia, sul Canal Grande

Bertrand de Royère

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Il 3 settembre 1951, «alle ore 22 h ½» (così recitava l’invito), circa novecento persone si recarono a un «ballo in costume del Settecento. Maschere e domino», ospiti di Charles de Beistegui a Palazzo Labia, sul Canal Grande, dimora celebre per i suoi affreschi dipinti da Tiepolo.

L’invito all’«ultima festa europea», come scrisse Paul Morand, si presentava come un libretto dalla fodera marrone, rosso, verde e giallo. La veste di questo libretto echeggia uno spettacolo che si sarebbe svolto durante la serata: una piramide umana eseguita nel cortile del palazzo, dove quindici vigili del fuoco si vestirono con costumi da arlecchino verde, arancione e nero.

Il momento fu immortalato in un acquarello del russo Alexandre Serebriakoff, il quale eseguì altri 12 disegni raffiguranti i momenti più spettacolari del ballo, assemblati in un unico album per il padrone di casa. Questi acquerelli sono oggi pubblicati in un album dalla rilegatura blu e oro. Un secondo libro accompagna l’album, dedicato alla storia, all’architettura e alla decorazione di Palazzo Labia negli anni in cui Beistegui lo abitò, dal 1948 al 1961.

Riuniti in un cofanetto i volumi sono il frutto dell’approfondita conoscenza da parte dell’autore, Pierre Arizzoli-Clémentel, del mondo di Beistegui. Questi era un collezionista ed esteta di origini basche spagnole, la cui famiglia aveva tratto le sue ricchezze dal possesso di miniere d’argento in Messico.

Dotato di una personalità poliedrica, «spagnolo di nazionalità, francese per inclinazione, inglese per ammirazione», Beistegui era un cosmopolita: residente in Francia, ma spesso in Spagna e in Italia, formava, secondo l’espressione delle sorelle Mitford, un «taste trust» con Charles de Noailles e con Emilio Terry.

Con il primo, tra i più grandi mecenati del Novecento, Beistegui si interessò alle avanguardie e commissionò una penthouse parigina a Le Corbusier nel 1929, mentre i de Noailles facevano costruire a Rob Mallet-Stevens una villa modernista a Hyères.

Presto i due amici vollero delle case neoclassiche: l’Ermitage di Madame de Pompadour per l’aristocratico francese e un castello da plasmare sul modello delle country house inglesi per Beistegui. Il castello di Groussay, acquistato nel 1938, fu trasformato senza tregua dal suo proprietario fino alla fine degli anni Sessanta.

Con il secondo, il cubano Emilio Terry, brillante autodidatta dalla cultura sterminata nel campo dell’architettura e delle arti decorative, Bestegui collaborò sin dall’inizio ai lavori di trasformazione in chiave neopalladiana di Groussay, con richiami all’opera tardosettecentesca dell’architetto Ledoux. Questa dimora fu molto fotografata e ammirata. David Hicks, decoratore d’interni e designer, rimase colpito dalla famosa biblioteca di mogano su due piani.

Oggetto della prima vendita in asta tenutasi in Francia da Sotheby’s nel 1999, la dispersione delle sue collezioni ricordava l’asta di Palazzo Labia svolta a Venezia nel 1964.

Un merito non da poco di questa pubblicazione su Palazzo Labia è l’aver rintracciato la storia e le vicissitudini degli arredi scelti da Beistegui e battuti all’asta dal principe dei commissaire-priseur francesi Maurice Rheims quando il palazzo fu venduto. Grazie alle fotografie a colori regalate dall’amico Emilio Terry al padrone di casa, si possono ripercorrere i saloni arredati con gli arrazzi raffiguranti la Storia di Scipione, le suite delle Indie, delle Quattro parti del mondo e la Tenture Chinoise. Tra i mobili si annoveravano le celebri settecentesche «poltrone Mocenigo», il letto da parata lucchese, quadri veneziani di Giuseppe Zais.

Forse la realizzazione più aulica e riuscita ideata da Beistegui fu la Sala degli ammiragli, immensa, la quale si ispirava, come diceva lo stesso committente, alle costruzioni votive del Monastero dell’Escorial e della Cappella Medici di Firenze, con porte monumentali, pavimento in marmo rosso di Verona, dipinti zodiacali ispirati da quelli della Sala del Mappamondo di Caprarola e altissime colonne rostrali.

Considerato purtroppo come un mero pastiche, questo grandioso vestibolo fu demolito per il poco illuminato volere dei dirigenti della Rai, dopo l’acquisto del palazzo da parte di questo ente statale.

Un’altra sala oramai scomparsa e creata poco dopo il ballo, nel 1954, era il Salone dell’Orologio decorato con uno spettacolare fregio di dipinti acquistati nel dopoguerra in Inghilterra e proveniente da Northumberland House, residenza londinese demolita nel 1874 e con un camino dagli ornati ispirati a Sansovino.

Degli sfarzi effimeri di Palazzo Labia nel dopoguerra testimoniano ancora, oltre alle fotografie di Cecil Beaton e Robert Doisneau che corredano l’album della festa, i ricordi scritti dagli invitati. Fra tutti ricordiamo Paul Morand: «Un bal? Un bal en Italie, comme dans Stendhal!». Christian Dior: «Une œuvre d’art, le bal étant la plus belle soirée que je vis et que je verrai jamais», e ancora François, duca d’Harcourt, arbiter elegantiarum dell’epoca che affermò che il padrone di casa aveva organizzato una festa memorabile per il suo sfarzo e la sua eleganza suprema e non per il suo lusso.

Palais Labia Venise, histoire, architecture et décor, bal costumé 3 septembre 1951,
di Pierre Arizzoli-Clémentel, voll. 1 e 2, 80 e 96 pp., ill. col. e b/n, Editions d’Art Gourcuff Gradenigo, Montreuil 2021, € 145
 

Il padrone di casa Charles de Beistegui in abito del Settecento al ballo da lui organizzato in Palazzo Labia a Venezia il 3 settembre 1951. © DR

Bertrand de Royère, 03 settembre 2022 | © Riproduzione riservata

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