Nicholas Thomas
Leggi i suoi articoliA luglio ho visitato il Musée de Tahiti et des Îles per parlare ai colleghi di una partnership che avrebbe riportato per la prima volta dopo oltre 250 anni manufatti dell’Oceania direttamente nel loro luogo di origine in Europa. Tornando in Polinesia, non ho potuto che riflettere su un paradosso: i suoi arcipelaghi sono quanto di più lontano dall’Europa, anche se la storia di queste due regioni è rimasta interconnessa sin dall’inizio.
L’impatto culturale dei viaggi del Capitano James Cook è stato eclettico, duraturo, profondo. Senza la categoria del tabù è difficile concepire il pensiero moderno occidentale. E senza il tatuaggio ci sarebbe un buco grande come il Pacifico nel mondo della moda e della cultura popolare. Sia «tapu» che «tatau» sono parole polinesiane, inglesizzate in seguito a tali spedizioni. La parola «tatau» vede la sua prima occorrenza a Tahiti nel 1769; i marinai che si fecero tatuare inaugurarono inconsapevolmente un movimento globale.
I viaggi di Cook ispirarono scienziati, scrittori e artisti. Cook fu scortato da due membri della Royal Academy, William Hodges e John Webber, che diffusero la pittura europea portandola più lontano di quanto avesse mai fatto prima, evocando ambienti luminosi, sculture di divinità e grandi canoe da viaggio. Dal canto loro, i Polinesiani furono abili nel cogliere l’opportunità della visita di Cook per viaggiare ulteriormente.
Si unirono alla sua flotta per visitare altre parti del grande oceano e visitare l’Europa. Tristemente, Tupaia, il sacerdote, marinaio e artista che sperava di essere ospite dell’inglese Joseph Banks, morì di febbre in Batavia. Mai, conosciuto come Omai, giunse invece in Inghilterra diventando un personaggio mondano: incontrò il Re Giorgio III e visse nell’alta società per due anni. Cook lo riportò in Polinesia e fu rimpatriato nell’agosto del 1777.
Toga e i tropici
Mai è stato ritratto da William Hodges, John Webber, Nathaniel Dance, William Parry e poi dal Presidente della Royal Academy, Joshua Reynolds. Il pomposo trattamento riservato da Reynolds a Omai si traduce in uno dei suoi ritratti più ambigui: Mai si erge davanti al fogliame tropicale avvolto in un tessuto simile a una toga. È certamente classicizzato ma potrebbe passare per un principe orientale.
Tuttavia, un segno inconfondibile della nazionalità di Mai è presente anche nel dipinto di Reynolds. La sua mano destra è rivolta con il palmo verso lo spettatore per esporre i sottili tatuaggi sul lato interno del polso, mentre la sinistra rivela quelli sul dorso della mano e sulle dita. Si tratta di un uomo indelebilmente marcato da ornamenti esotici, al tempo stesso una figura risoluta e padrona di sé, ma anche decorata, quindi forse femminile.
I britannici che incontrarono Mai ne riportano impressioni contraddittorie. Alcuni lo consideravano nobile, altri barbaro; taluni intelligente, talaltri stupido. Tali reazioni personali riecheggiano la confusione sulle qualità dei popoli del Pacifico, che gli europei trovavano al tempo stesso sorprendentemente raffinati e pericolosamente selvaggi.
In termini spiccatamente pittorici, lo straordinario quadro di Reynolds riesce a catturare questa incertezza. Si trattava di un regno sensuale e femminile che gli Europei avrebbero legittimamente dominato? Oppure gli abitanti delle isole del Pacifico erano meglio immaginati come aristocratici classici, persone capaci di dare forma alle loro storie?
Lo stesso Mai ha fatto del suo meglio per rispondere alla domanda. Era originario dell’Isola di Ra’iatea che era stata invasa dai guerrieri di Bora Bora. Il padre era stato ucciso e Mai stesso si trovò tra i rifugiati. La sua ambizione e la ragione per cui si recò Gran Bretagna era di assicurarsi armi e supporto tali da potergli permettere di ottenere vendetta recuperando le terre dei suoi antenati.
Il «Ritratto di Omai» di Reynolds esemplifica la fecondità degli incontri culturali alla fine del XVIII secolo ma anche i loro limiti. La società à la page era rapita dall’esotismo di Mai, sedotta dai tatuaggi e dalle leggende licenziose dei mari del Sud. Le turbolenze politiche nelle isole e le lotte per le risorse che vi si conducevano, proprio come in Europa, non erano tanto romanzesche e affascinanti. Eppure quel tempo fu segnato dall’inizio di un più profondo impegno nonché di una vicendevole conoscenza dell’Europa in Oceania, e viceversa.
Il Ritratto di Omai è un’opera rivelatrice e fondamentale che dovrebbe essere esposta in una collezione pubblica in Gran Bretagna, permanentemente, affinché sia inclusa nelle mostre con temi quali l’impero e l’incontro interculturale così da sollecitare una riattivazione degli artisti contemporanei. Il divieto temporaneo di esportazione di opere dalla Gran Bretagna termina il prossimo anno. Qualora il dipinto venisse acquisito dalla National Portrait Gallery, potrebbe essere prestato a tempo debito alla regione che lo ha ispirato.
Mostra post-rinnovo
Il Musée de Tahiti et des Îles «Te Fare Manaha», aperto nel 1975, ha per lungo tempo esposto il patrimonio, la storia e l’arte contemporanea della Polinesia, risponde a robusti standard professionali e la sua mostra «Ia Orana Gauguin» del 2003 è l’unica grande mostra sull’artista che sia mai stata realizzata nel Pacifico. Un programma ambizioso e quasi terminato ha dato la museo nuove scintillanti gallerie, a prova di XXI secolo.
Numerosi lavori di arte oceanica stanno viaggiando con prestiti a medio termine dal Museo di Archeologia e Antropologia di Cambridge, il British Museum e il Musée du quai Branly – Jacques Chirac. Tra questi A’a, un dio il cui corpo è coperto da altri piccoli dèi, proveniente dal British Museum, di cui Henry Moore possedeva un calco e si lamentava di non riuscire a trovargli una buona collocazione a casa per via della potenza del suo impatto. Una precedente doppia figura presa in prestito da Cambridge, un’antichità al tempo in cui fu donata a Cook a Tahiti nel 1769 sembra essere il primo lavoro ancora esistente di scultura figurativa collezionata da un Europeo nel Pacifico.
Sarebbe meraviglioso far tornare per un periodo il «Ritratto di Omai» a tener compagnia ai suoi antenati. Esporre in mostra assieme a Tahiti questi capolavori oceanici con un grande dipinto britannico fornirebbe agli odierni polinesiani una lente d’ingrandimento sugli effetti dei viaggi intrapresi da Mai. Una simile operazione ci permetterebbe di riflettere su un tempo straordinario, circa 250 anni fa in cui gli abitanti delle Isole e gli Europei si scoprivano gli uni gli altri. E il mondo non fu più lo stesso.
Nicholas Thomas è il direttore del Museo di Archeologia e Antropologia di Cambridge. Nel 2018 e nel 2019 ha cocurato «Oceania» per la Royal Academy of Arts e il Musée du quai Branly-Jacques Chirac