Arianna Antoniutti e Alessandro Martini
Leggi i suoi articoliDopo uno stillicidio mediatico, e social, iniziato il 26 agosto con le prime rivelazioni da parte di Maria Rosaria Boccia (l’imprenditrice con cui, per sua stessa ammissione, ha avuto «una relazione affettiva» e che avrebbe voluto nominare consulente ai grandi eventi del MiC), il 6 settembre Gennaro Sangiuliano ha presentato alla premier Giorgia Meloni, «in termini irrevocabili», le proprie dimissioni. «Caro Presidente, cara Giorgia, scrive l’ex ministro, ti ringrazio per avermi difeso con decisione». Meloni aveva già respinto, mercoledì 4 settembre, le dimissioni del suo ministro. Ma, con il montare delle polemiche e l’annuncio della possibilità, da parte della Corte dei Conti, di aprire un fascicolo sulla vicenda (come in effetti è avvenuto), non è più stato possibile sottrarsi alla decisione.
Gennaro Sangiuliano (Napoli, 1962) era stato nominato a capo del Dicastero della Cultura il 22 ottobre del 2022. Ora lascia una pesante eredità al nuovo ministro, Alessandro Giuli (Roma, 1975). Dopo il tentativo di minimizzare l’accaduto come vicenda puramente personale, l’affaire Sangiuliano-Boccia è esploso in tutta la sua portata politica e ha rivelato la profonda debolezza di un Dicastero che il governo Meloni voleva come la rivincita della Destra nei confronti del suo eterno rovello: l’egemonia culturale della Sinistra. La tempistica stessa è stata deflagrante, con le dimissioni presentate a ridosso del G7 della Cultura (Napoli, 19-21 settembre), la vetrina internazionale in cui tutti gli occhi erano puntati sull’Italia ma l’Italia, in quello stesso istante, doveva correre ai ripari, cercando proprio per la Cultura un nuovo ministro.
La scelta è caduta sul presidente della Fondazione MaXXI che, come primo passo del suo incarico, dovrà vigilare sull’attuazione del nuovo assetto organizzativo del MiC, voluto e firmato dal suo predecessore poco prima delle dimissioni. La riforma ha il proprio fulcro nel passaggio dal modello organizzativo del Segretariato generale a quello incentrato su quattro nuovi Dipartimenti: Dipartimento per l’Amministrazione generale (DiAG); Dipartimento per la Tutela del patrimonio culturale e del paesaggio (DiT); Dipartimento per la Valorizzazione del patrimonio culturale (DiVa); Dipartimento per le Attività culturali (DiAC), e ha già visto l’insediarsi dei nuovi direttori: Paolo D’Angeli, Luigi La Rocca, Alfonsina Russo e Mario Turetta. In attesa che la riforma prenda corpo, Giuli ha messo mano alle ultime nomine effettuate da Sangiuliano prima di lasciare. Si tratta delle designazioni relative ai componenti della Commissione ministeriale per la concessione di contributi per progetti cinematografici, «arricchite nel rispetto dell’equilibrio di genere», ha detto il nuovo ministro.
Ricorderemo Sangiuliano?
Ma tirando le somme, quali sono le azioni culturali per le quali sarà ricordato Sangiuliano (al netto della sua confessione in lacrime al Tg1?). Aver «incrementato in appena un anno il numero dei visitatori dei musei (più 22 per cento) e gli incassi degli stessi (più 33 per cento)», scrive lui stesso nella lettera di dimissioni alla premier Meloni. Merito dei musei, certamente, ma anche l’overtourism postpandemico avrà contribuito. Ricordiamo che fino all’1 aprile 2022, anno ancora pandemico, l’accesso ai musei era limitato previa esibizione del green pass, con l’obbligo d’indossare la mascherina. Sempre sul fronte dei musei, campo privilegiato dell’azione di questo e del precedente Governo, Sangiuliano si attribuisce anche la «fine alla vergogna tutta italiana dei musei chiusi nei periodi di ferie». Politica in realtà comune al suo predecessore Dario Franceschini, in particolare per quanto riguarda le aperture a Pasqua e Ferragosto. Tutta di Sangiuliano invece l’apertura di alcuni musei statali il giorno di Natale, in particolare il 25 dicembre 2023 sulla base d’un accordo coi sindacati, a cui non tutti hanno aderito. Aperture natalizie rivelatesi però un flop (forse per questo in Europa quasi ovunque i musei chiudono proprio il giorno di Natale). Il Ministero, infatti, due giorni dopo ha diramato i dati degli accessi sommando però ai numeri di Natale anche quelli di Santo Stefano, giornata di tradizionale apertura con abituale grande affluenza.
L’ex ministro rivendica anche i progetti ben avviati dell’ex Albergo dei Poveri a Napoli e l’ampliamento degli Uffizi in altre sedi. Altro pallino dell’ex ministro, è sempre stata la gratuità dei musei, definita misura che «depaupera il valore del nostro patrimonio culturale». L’introduzione di un ticket d’accesso per il Pantheon è stata, in effetti, salutata da un buon successo di numeri: nel 2023, in cinque mesi, da luglio a novembre, si sono registrati quasi 1,4 milioni di visitatori per un incasso di oltre 5 milioni di euro. E infine, l’ultima rivendicazione della lettera di «dimissioni irrevocabili»: «Per la prima volta in Italia si sono organizzate mostre su autori e personaggi storici che la Sinistra aveva ignorato per ragioni ideologiche». Forse si allude alla mostra sullo scrittore J.R.R. Tolkien allestita alla Gnam di Roma, ora in arrivo a Venaria Reale? Si ignorano quali preclusioni ideologiche si possano avere nei confronti dell’autore del Signore degli Anelli.
Ancora sul fronte della «messa a reddito» del patrimonio pubblico, non poche polemiche hanno poi accolto l’aumento generalizzato dei prezzi dei biglietti d’ingresso ai musei e, soprattutto, il (criticatissimo) decreto 161/2023 «Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali» (noto anche come «decreto Tarasco» dal nome del capo dell’ufficio legislativo del Ministero), che andava a regolamentare la riproduzione tramite immagine di beni culturali. Legge infine modificata. Altrettanto dibattito (ma anche apprezzamenti) ha poi suscitato la rimodulazione nel 2023 del bonus per i diciottenni della 18app, introdotta nel 2016.
Ora il nuovo ministro Alessandro Giuli è chiamato a dare applicazione alla riforma Sangiuliano della struttura ministeriale e a portare avanti un programma culturale libero da «ragioni ideologiche», anche alla luce della sua convinzione che «le idee, quando ve ne siano, se non respirano libere e vitali, [...] vengono congelate nella sintesi di automatismi declamatori buoni per un talk televisivo». Così scrive nel suo recente e apprezzato Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea (Rizzoli, 2024), «libertario e liberatorio al contempo. Come la destra che vorrei». Un pamphlet, e un manifesto.