Silvia Mazza
Leggi i suoi articoliSpazi quadruplicati rispetto alla vecchia sede (4.476 metri quadrati contro i 1.100 dell’ex Filanda, riconvertita a spazio per mostre), triplicate le opere esposte (750 invece che 250): il 17 giugno scorso è stato finalmente inaugurato il nuovo Museo Interdisciplinare Regionale, in un ampio parco museale, che con i suoi oltre 17mila metri quadrati è uno dei più grandi del Meridione. I settori aperti, secondo un ordinamento cronologico e per tipologie integrate, dal Medioevo fino a quello nuovo dell’Ottocento e a un’ultima opera alle soglie del sisma del 1908, completano il percorso inaugurato nel dicembre scorso (cfr. n. 371, gen. ’17, p. 31 ed edizione online 15 dic. ’16 per un’anticipazione del percorso espositivo) con il settore Archeologico e l’Ala nord con Montorsoli, Caravaggio e i Caravaggeschi.
Ancora niente servizi al pubblico. Punto debole è l’allestimento dell’artista simbolo del museo, Antonello da Messina: per creare una spazialità museale a parte per il «Polittico di san Gregorio» si è finito per inscatolarlo in una cappelletta lignea, con la tavoletta bifronte («Ecce Homo» e «Madonna con Bambino») sistemata all’esterno.
Ma da quanti anni si attendeva il nuovo museo? I conti non sono presto fatti. Ne sono passati 22 se consideriamo il 1995, anno di completamento dell’edificio che, malgrado gli interventi correttivi, mal cela i segni di questa datazione; diventano 33 dalla posa della prima pietra; se consideriamo, invece, che il museo era una «priorità» già all’indomani del sisma del 1908 e che la prima ipotesi progettuale, quella di Valenti, è del 1916, si può ben dire che è da oltre un secolo che la comunità messinese attendeva che la sua memoria fosse risarcita attraverso la narrazione museale dell’importante passato storico artistico recuperato dopo il sisma.
Una storia fatta di fondi inadeguati (in totale 11.088.800 euro) e di rattoppi a falle progettuali, alle quali si dovrà ancora rimediare con soluzioni tecnologiche e architettoniche, che ne avevano fatto un museo dal tetto colabrodo e un open space senza pareti per l’esposizione delle opere d’arte (off limits per le grandi tele del Sei-Settecento). A tutto questo ha cercato di rimediare il nuovo ordinamento scientifico, affidato a molte teste: quelle dei diversi direttori che si sono succeduti, fino all’attuale, Caterina Di Giacomo.
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