Due mostre, una al Mac Museo d’arte contemporanea di Gibellina (Tp) aperta fino al 30 settembre, e l’altra a Torino alle Gallerie d’Italia, fino al 7 gennaio 2024, omaggiano uno dei più grandi fotografi italiani contemporanei, Mimmo Jodice.
Classe 1934, napoletano, nato al Rione Sanità, Jodice, dopo gli inizi legati alle sperimentazioni linguistiche d’ambito concettuale degli anni Sessanta, in una Napoli che si muoveva intorno alla galleria di Lucio Amelio, e all’impegno militante con la lunga stagione della fotografia sociale, dagli anni ’80 sarà protagonista di quella «scuola fotografica del paesaggio italiano», e non solo, che tanti riconoscimenti avrà a livello internazionale.
È del 1984, su invito di Luigi Ghirri, la sua partecipazione alla mostra collettiva «Viaggio in Italia», alla Pinacoteca di Bari, una pietra miliare della storia della fotografia italiana. Insieme a Jodice, erano stati invitati ad esporre tra gli altri: Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Giannantonio Battistella, Vincenzo Castella, Andrea Cavazzuti, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Vittore Fossati, Carlo Garzia e Guido Guidi.
Jodice aveva già pubblicato qualche anno prima, nel 1980, «Vedute di Napoli» un volume edito da Mazzotta che rappresenta un vero e proprio punto di svolta nella sua ricerca poetica, e «Gibellina» edito nel 1982 da Electa. In «Vedute di Napoli», le ragioni della fotografia sociale lasciano il posto, o meglio evolvono naturalmente, trasfigurandosi in immagini in bianco e nero dall’atmosfera sospesa, di una Napoli disabitata, quasi metafisica.
Degli abitanti e del loro vissuto, rimangono solo tracce, come enigmi. Lo stesso Jodice dice: «Nei miei ritratti di centri urbani la realtà e la mia visione interiore coincidono…». L’ispirazione e il carattere visionario gli viene dal mondo dell’arte: dai dipinti metafisici di Giorgio de Chirico e del fratello Alberto Savinio, oltre che dal Surrealismo di Paul Delvaux e di René Magritte.
La mostra siciliana, dal titolo «Mimmo Jodice, Il paesaggio del pensiero, Gibellina 1980/1981/1982» a cura di Arianna Catania, risale proprio a quella svolta che negli anni ’80 lo porta all’esplorazione del paesaggio urbano. Gibellina era allora una città di nuova fondazione, ancora disabitata. Il terribile terremoto del ’68 aveva distrutto la vecchia città che era stata rifondata più a valle.
Jodice, su invito del sindaco Ludovico Corrao, vi si recò, tornandoci poi per tre anni consecutivi, fotografandone l’evoluzione: la città distrutta, la baraccopoli «di una tristezza inimmaginabile», infine la «surreale» città nuova prima che venisse abitata, con gli edifici, le strade e le piazze vuote. Quelle in mostra sono 29 fotografie vintage, mai esposte prima, tra cui alcuni inediti, di una malinconica e delicata poesia, realizzate per il volume «Gibellina» edito da Electa; mentre un corpus è dedicato agli intensi ritratti di Joseph Beuys pubblicati in «Joseph Beuys, Natale a Gibellina», edito dal Comune di Gibellina.
L’iconica figura dell’artista tedesco vaga tra le rovine, con il suo sguardo limpido. Era stato proprio Beuys a volersi recare in Sicilia in nave, dopo avere visto nello studio di Jodice a Napoli le fotografie della città. Un viaggio epico di cui rimangono queste splendide immagini.
Da Gibellina a Torino, dove la mostra curata da Roberto Koch «Mimmo Jodice, Senza tempo» alle Gallerie d’Italia, attraverso 80 fotografie dal 1964 al 2011 ne ripercorre i principali temi, in altrettante sezioni: Anamnesi, Linguaggi, Vedute di Napoli, Città, Natura, Mari.
Qui sono esposte sia le opere sperimentali degli anni ’60, sia quelle iconiche come «Atleti della Villa dei papiri», Napoli 1986, e «Anamnesi» del 1990, opera realizzata per la stazione «Museo» della Metropolitana di Napoli, una sequenza di volti di statue e mosaici che osservano, ad altezza di sguardo, i passanti.
In mostra anche le fotografie dedicate al mondo naturale e il tanto amato mare, davanti al quale per dirla con le sue parole: «il tempo si arresta definitivamente». Conclude l’esposizione un bellissimo filmato sulla vita del grande fotografo realizzato da Mario Martone, suo amico e concittadino.