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Sharon Hecker
Leggi i suoi articoliQuasi come un antidoto necessario alla rapidissima comparsa dell’Intelligenza Artificiale (IA), alle tensioni geopolitiche sempre più intense e a una distruzione diffusa (tra guerre su larga scala, conflitti regionali, crisi umanitarie e mutevoli equilibri di potere globali...) il 2025 ha visto alcune mostre d’arte capaci di invitare una calma riflessione e un’apertura emotiva o spirituale. Queste mostre sembravano favorire esperienze immersive, sottilmente trasformative, privilegiando non solo l’esposizione degli oggetti ma anche la creazione di spazi contemplativi. In molte di esse, la sfida curatoriale era far risuonare le opere senza sopraffare. Al Museum of Modern Art (MoMA) di New York, «Hilma af Klint: What Stands Behind the Flowers» (fino al 27 settembre) incarnava la potenza della sottigliezza e dell’atto intimo dell’osservazione ravvicinata. I disegni botanici e gli acquerelli della pittrice svedese del XIX secolo, al contempo scientifici e spirituali, erano selezionati con cura e allestiti su uno sfondo verde-grigio tenue. Accompagnati da brevi indicazioni testuali, invitavano i visitatori a rallentare e a osservare le forme intricate dei soggetti. All’ingresso della sala erano disponibili lenti di ingrandimento per chi desiderava cogliere i dettagli più minuti. Nonostante la scala contenuta delle immagini e il format ridotto della mostra, le implicazioni per il nostro mondo contemporaneo risultavano vaste e profonde, suggerendo un senso di interconnessione tra l’umano e il mondo naturale.
In maniera diversa, «Ruth Asawa: A Retrospective» (fino al 7 febbraio 2026) celebra le delicate, esili forme in filo di ferro della scultrice modernista giapponese-americana. Giochi di luce e ombre creano un ambiente che accentua la percezione dello spazio stesso e la precisione delle opere tridimensionali, sospese tra tempo e spazio in una silenziosa e posata presenza. Entrambe le mostre dimostrano come esposizioni attentamente curate possano offrire esperienze significative, quando i curatori modulano con equilibrio ritmo e relazioni, dosando con cura numero di opere, design, spazi e quantità di testi di sala e di interpretazione testuale fornita. Ed entrambe le esposizioni riflettono una tendenza crescente a dare risalto alle artiste donne da lungo tempo sottorappresentate.
Anche l’arte contemporanea può offrire esempi di spazi contemplativi, come al Mao-Museo Arte Orientale di Torino, con la mostra dell’artista giapponese «Chiharu Shiota: The Soul Trembles» (fino al 28 giugno 2026). L’installazione tramuta il museo in un luogo protetto di riflessione: le reti di filo rosso o nero, talvolta intrecciate con oggetti quotidiani, creano un delicato ambiente architettonico, evocando la sensazione di essere al sicuro all’interno di un morbido, arioso bozzolo o di osservare il mondo attraverso un velo sfumato, anche nei momenti più tragici nei quali «l’anima trema». L’installazione mette in luce la tensione curatoriale insita nell’arte immersiva su larga scala: senza una sequenza pensata e spazi per la pausa, lo spettacolo rischia di sopraffare i momenti più delicati necessari per l’introspezione. Un design attentamente studiato permette che tanto le installazioni immersive quanto le opere intime (fotografie, disegni e piccolissimi oggetti) risuonino con uguale dignità.
Un altro esempio di equilibrio accurato è «Minimal» (fino al 19 gennaio 2026), allestito nello spazio architettonico non facile della Fondation Pinault-Bourse de Commerce di Parigi, che indaga pratiche riduttive nella scultura e nell’installazione. La coreografia precisa delle sale ricorda che lo spettacolo non deve necessariamente essere rumoroso, drammatico o affollato di opere e testi per essere efficace; quando guidata da ricerca e design sensibili, l’arte può suscitare contemplazione e intuizione che vanno oltre l’immediato stupore visivo. Un approccio simile potrebbe valere anche per l’arte del passato.
In «Beato Angelico» (fino al 25 gennaio 2026, Palazzo Strozzi e Museo di San Marco di Firenze), i curatori hanno dovuto conciliare la scelta di mostrare oltre 140 opere e la presenza di un’elevata affluenza di pubblico. La sfida era creare opportunità di coinvolgimento intimo con l’arte spirituale e contemplativa del Beato Angelico, nonostante l’ambizione della mostra di essere ampia e da grande pubblico. Questo equilibrio è stato raggiunto alla perfezione dalla retrospettiva «Vermeer» del 2023 al Rijksmuseum, che ci ricordava il nostro potere duraturo di concentrazione in un mondo dominato da notizie flash, notifiche continue e ipersaturazione di dati. La mostra olandese ha inoltre dimostrato che una mostra può essere molto frequentata senza comprometterne la qualità. Se le tendenze curatoriali contemporanee continuano a creare esposizioni «esperienziali» a tutto tondo, con grandi quantità di opere, proiezioni digitali, fotografie ingigantite e scenografie teatrali, senza un progetto attento e preciso rischiano di sovrastare e inghiottire le opere stesse.
A mio avviso, la sfida curatoriale che persiste nel 2025 consiste nel garantire che l’impatto visivo sostenga la profondità interpretativa ed emotiva senza sostituirla. Le mostre davvero memorabili hanno saputo generare sottili mutamenti interiori nella percezione, lasciando ai visitatori non solo ricordi momentanei o impressioni superficiali, ma nuovi modi di vedere, sentire e comprendere. Al contrario, molte esposizioni hanno continuato la tendenza ormai consolidata degli ultimi anni di creare «dialoghi» tra artisti del passato e contemporanei, generando connessioni più performative che significative e inducendo il visitatore a chiedersi, alla fine: «E allora?». In definitiva, il 2025 ha ricordato che curare non significa solo orchestrare oggetti, connessioni o idee, ma plasmare e interagire con lo spazio fisico, intellettuale ed emotivo. In un contesto culturale ancora dominato dalle mostre blockbuster, dallo spettacolo, dalla monetizzazione e da gesti fugaci di conversazione artistica più o meno convincente, le mostre possono offrire qualcosa di molto più duraturo: luoghi in cui fermarsi e respirare, e da cui persino emergere trasformati.