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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliAlla Fondation Beyeler un’antologica di Jean Dubuffet, che copiava dai bambini e detestava imitatori e voltagabbana
Oltre 100 opere di tutti i periodi di Jean Dubuffet (Le Havre, 1901-Parigi, 1985) sono in mostra, dal 31 gennaio all’8 maggio, presso la Fondation Beyeler per un’antologica che offre nel titolo una prospettiva inedita sul suo lavoro: «Metamorfosi del paesaggio». Veri e propri paesaggi Dubuffet non ne dipinse mai, ma è la sua idea di immagine che fa della pittura un vibrante paesaggio di segni.
L’artista amava dire di avere imparato a dipingere dai bambini. E l’arte infantile lo aveva condotto a trovare nell’arte inconsapevole delle persone con disturbi mentali, da lui chiamata Art brut, una condizione di purezza e di verità che non riusciva a trovare, non tanto nella cultura, quanto nel suo mondo, che per lui era abitato, come disse, da «scimmie» (perché capaci solo di imitare) e «camaleonti» (in quanto facili a cambi di stile). Gli alienati, invece, seguivano solo il loro impulso profondo.
La mostra presenterà i lavori d’esordio dei primi anni ’40 di questo protagonista dell’informale europeo, con opere che risentono dell’influenza, oltre che dell’arte infantile, di Paul Klee, del Surrealismo e delle maschere africane e oceaniche. Già alla metà degli anni Quaranta, e fino ai primi anni Sessanta, a imprimersi in una spessa materia (a base di catrame, calce, gesso o anche ghiaia) sono rapidi segni grafici, nei cicli in mostra dei «Paysages grotesques» (1949-50), dei «Corps de Dames» (1950-52), seguiti dai dipinti più astratti delle serie delle «Texturologies» (1953-59) e delle «Matériologies» (1959-60).
In esposizione anche variegati esemplari del mondo dell’«Hourloupe», neologismo con cui Dubuffet battezzò le opere realizzate dal ’62 alla morte: composite raffigurazioni, a base di spesse linee nere e macchie di colore rosso, blu o giallo, di antropoidi, animali o schemi grafici che influenzeranno la street art di Keith Haring e Jean-Michel Basquiat.
Tra i lavori più importanti di questo periodo, e anche il più complesso, in mostra verrà ricostruito «Coucou Bazar» del ’71, una grande installazione praticabile a base di pittura, scultura, teatro, danza e musica: un’opera d’arte totale, curata in tutti i suoi linguaggi dal poliedrico artista, presentata nel ’73 al Guggenheim Museum di New York e al Grand Palais di Parigi. La mostra presenterà anche sculture degli anni Cinquanta, in cui convergono casualità e pilotata imperizia di ispirazione infantile. La forza di Dubuffet sta nel fatto che per lui l’arte incorrotta dei bambini non fu, come per Klee, un approdo, ma un punto di partenza per la creazione di una nuova realtà.
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