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Ricostruzione del soffitto di Giorgio Vasari per Palazzo Corner a Venezia; in grigio gli unici comparti al momento ancora dispersi: due frammenti della Fede e un putto con tabella

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Ricostruzione del soffitto di Giorgio Vasari per Palazzo Corner a Venezia; in grigio gli unici comparti al momento ancora dispersi: due frammenti della Fede e un putto con tabella

Nel suo insieme il soffitto di Palazzo Corner è un Vasari inedito

A quasi cinque secoli dalla sua realizzazione e a quasi tre dal suo smembramento il soffitto del palazzo veneziano, di cui il pittore parla nei suoi scritti, è stato ricomposto dopo quarant’anni di ricerche dei singoli pannelli lignei che lo costituivano, restaurato e riallestito nelle Gallerie dell’Accademia

Barbara Antonetto e Rossella Cavigli

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«Ricordo come adi otto di aprile 1542 il Magnifico Messer Giovannj Cornaro Gentiluomo Venetjano mi alloga per ordine di Messer Michele da San Michele Veronese Architetto di San Marcho un palcho o soffittato di legniame a dipigniere a oljo con nove quadri grandi in uno di mezzo la Carità che con lj suoj putj atorno che coronano in quattro quadri la fede la speranza et la giustizia et la patientia che tutte sono accompagniate da figure diverse secondo un disegnio fattolj perciò e di più 4 quadri drentovi quatro putti ne canti; la quale opera promessi darla finita perfino a di primo dagosto prossimo et luj debbe darmi tutti equadri di suo et 4 oncje di azzurro oltremarino et per prezzo et pagamento di detto lavoro darmj perfino alla somma di scudi cento ventj»: così in Il Libro delle Ricordanze Giorgio Vasari descrive la sua impresa per il veneziano Palazzo Corner Spinelli

Il soffitto dipinto nel 1542 venne smembrato a metà Settecento e finì sul mercato antiquario. Con il supporto di varie fondazioni private, tra tutte Venetian Heritage, a partire dagli anni Ottanta i pannelli sono stati rintracciati in collezioni in Italia e all’estero e riacquistati per iniziativa del Ministero della Cultura e di vari istituti veneziani, in primo luogo delle Gallerie dell’Accademia che il 28 agosto inaugurano, nell’ambito del percorso museale permanente, il riallestimento di otto dei nove pannelli lignei che costituivano l’apparato decorativo di Palazzo Corner: in una sala dedicata lungo la loggia palladiana sono stati posizionati a soffitto con attenzione filologica al corretto punto di vista per il quale furono realizzati. Le tavole avevano avuto vicende conservative differenti per cui si rendeva necessario uniformare la lettura dell’opera, inedita nel suo complesso, attraverso restauri finalizzati a rendere leggibile in modo omogeneo la ricomposizione, un lavoro eccezionale che fino a qualche tempo fa sarebbe stato pressoché impensabile. Sotto la supervisione del direttore delle Gallerie Giulio Manieri Elia, i lavori sono stati svolti sulle superfici dipinte da Rossella Cavigli e sui supporti lignei da Roberto Saccuman.

Il recupero di questo capolavoro, con cui si confrontarono Tiziano, Tintoretto e Veronese riprendendone figurazioni e spunti, assume una particolare rilevanza nell’anno delle celebrazioni dei 450 anni dalla morte del pittore e storico dell’arte aretino. È stato compiuto un enorme sforzo economico (quasi un milione di euro tramite fundraising), ma commisurato al valore intrinseco e iconologico dell’opera che agevolò l’influenza dell’arte manierista centroitaliana sulla pittura del Cinquecento in Laguna. Giunto a Venezia nel 1541, e ottenuto l’incarico di dipingere il soffitto a cassettoni della cosiddetta camera nova del palazzo che Giovanni Corner aveva da poco acquistato dalla famiglia Lando sul Canal Grande, Vasari realizza una ricca composizione costituita da nove scomparti, cinque Virtù e quattro putti destinati agli angoli della sala, per un totale di 12 metri quadrati di tavole dipinte. Nel comparto rettangolare al centro si erge la Carità cui guardano, in un gioco di rimandi, la Speranza e la Fede sui lati più lunghi, la Pazienza e la Giustizia su quelli più corti. 

Come è emerso dagli studi sull’opera, Vasari introduce delle varianti rispetto al tema classico del Trionfo delle Virtù, accostando nelle cinque tavole un esempio positivo, che rafforza ed esprime il concetto della Virtù in questione, e uno negativo, che contrasta e si oppone al soggetto. Il dettaglio non è secondario poiché è proprio la corretta attribuzione al soffitto veneziano di un esempio negativo, «Giuda che si toglie la vita», per anni ritenuto un brano indipendente rispetto all’apparato decorativo in questione, ad aver fornito la chiave interpretativa dell’iconologia dei singoli comparti, attribuendo nuovo significato all’unità della composizione. Operazione non semplice considerando che le tavole della Fede e della Speranza erano state ridotte di dimensioni e che dall’allegoria della Speranza era stato scorporato il soggetto autonomo del suicidio di Giuda (primo frammento riacquistato dallo Stato nel 1980, e destinato a Casa Vasari ad Arezzo). 

Nel 1987 sono state acquistate e destinate alle Gallerie dell’Accademia l’allegoria della Giustizia, l’allegoria della Pazienza e due putti con tabella. Nel 2002 è la volta di un ulteriore putto con tabella e, il medesimo anno, il museo veneziano ha ottenuto il comparto con l’allegoria della Carità, appartenente dall’Ottocento alla Pinacoteca di Brera ma depositato dagli anni Settanta nel Museo di Storia Patria di Gallarate. Nel 2013 viene acquistata a Londra l’allegoria della Fede e nel 2017 si perfeziona l’acquisto dell’ultimo frammento, l’allegoria della Speranza. Gli unici frammenti al momento dispersi sono il quarto putto con tabella e due frammenti resecati dal comparto con l’allegoria della Fede. Oltre ad aver supportato le Gallerie dell’Accademia dal punto di vista economico e organizzativo, Venetian Heritage ha finanziato il volume riccamente illustrato (Marsilio Arte) che ripercorre la storia del soffitto. Il saggio dedicato alle vicende critiche e collezionistiche delle tavole fino alla riunione e all’allestimento museografico è di Giulio Manieri Elia, mentre Luisa Caporossi si concentra sulla lettura iconologica.

Barbara Antonetto

Il soffitto vasariano ricomposto. Foto Matteo De Fina

Racconta la restauratrice: che cosa si è fatto per tornare a un’opera unica

Le esigenze erano quelle di giungere a un omogeneo livello di lettura dell’insieme, intervenendo sui restauri svolti in momenti e luoghi differenti, e di studiarne le caratteristiche tecniche per raccogliere informazioni utili a sostenere con dati concreti l’ipotesi della corretta ricomposizione del soffitto. L’ostacolo maggiore era dato dalla perdita della ricca incorniciatura che raccordava le tavole, unificandone il comune cielo di fondo dietro la sua griglia dorata; a questa si assommava la scomparsa di uno dei quattro scomparti angolari, ciascuno raffigurante un putto (…) e la perdita delle parti resecate della tavola con la Fede (…).  Le differenti vicende conservative occorse ai dipinti dopo la dispersione erano ben leggibili sulle superfici pittoriche e sui supporti lignei: tutti gli interventi erano stati guidati principalmente dal mutato punto di vista delle opere, che da quadri da soffitto erano stati trasformati in autonomi dipinti da parete. Di fatto la rapida esecuzione pittorica, in alcune aree sommaria, assieme al punto di vista forzatamente ravvicinato e focalizzato non più sull’insieme, ma sulle parti, falsavano la lettura dell’originario progetto, perduto quando il soffitto fu smantellato; allora le tavole più estese furono tagliate a sezioni e sul retro fu rimosso l’ingombro delle traverse applicate all’assito, inchiodando dei listelli lungo i bordi. (...). Ragionevolmente risalivano al momento della trasformazione anche le ampie ridipinture stese sulla balaustra, sulle targhe dei putti e sulle vesti della Fede e della Giustizia per nascondere le aree dove la pittura lasciava trasparire la calda preparazione sottostante, divenuta troppo percepibile alla visione ravvicinata. Allora furono applicati anche i castigati panneggi sui putti (…), rimossi nel corso dei recenti restauri assieme alle vernici ormai ingiallite (…). La tavola più recentemente restaurata rivelava la caratteristica rapidità di stesura funzionale all’osservazione da lontano, che sarebbe stata recuperata finalizzando l’allestimento a soffitto dell’intero complesso. Dopo la pulitura delle superfici pittoriche (…) è stato eseguito il ritocco pittorico. Sul retro delle tavole con Giuda e con la Fede è stato necessario stuccare le profonde cavità provocate dall’attacco degli insetti xilofagi per risarcire la struttura del supporto (...).  

Le precise indicazioni di Giorgio Vasari sul soggetto e sulla disposizione delle nove tavole del soffitto eseguito per Giovanni Cornaro, assieme alle riflessioni di carattere iconografico allora condivise dagli studiosi, avevano fatto ritenere ai più che la ricomposizione del complesso potesse ritenersi finalmente completata, anche se, allora, priva di due putti, quando fu identificata l’ultima tavola mancante, quella centrale raffigurante la Carità. La possibilità, data dal restauro, di mettere direttamente a confronto le opere del periodo veneziano dell’artista, compreso quella raffigurante il suicidio di Giuda del Museo di Casa Vasari ad Arezzo, metteva da subito in evidenza gli aspetti materiali che questi dipinti avevano in comune, cioè le medesime misure della balaustra dipinta sulle tavole del perimetro del soffitto, ben leggibile in quelle agli angoli (nel frattempo arricchitesi del terzo putto, con la Fede in procinto di arrivare a Venezia e la Speranza ancora in collezione privata) e nella tavola aretina, assieme alle analogie costruttive dei supporti: il numero, la larghezza e gli spessori delle assi utilizzate, l’impiego d’inserti a «chiavi a farfalla», l’originario sistema di traverse. Altri aspetti inducevano al riesame dell’effettivo sviluppo figurativo del soffitto, come l’evidente decurtazione subita dall’allegoria della Fede di una porzione di supporto capace di accogliere, oltre al piede destro della figura principale, un personaggio a mezzobusto, analogo ad altri soggetti presenti nel complesso, del quale restavano tracce della veste e che era collegato dalla corda interrotta (...). L’altro dato riguardava gli spazi lasciati vuoti lungo i lati lunghi della tavola centrale dalla dislocazione delle quattro allegorie che avevano misure simili; questi non potevano essere colmati da porzioni di cornice, poiché in un soffitto a cassettoni, di norma, essa ha lo stesso sviluppo attorno a tutte le parti figurate, come si riscontra in altri complessi dell’epoca, compresi quelli eseguiti sei anni dopo il soggiorno veneziano da Vasari stesso nella sua dimora aretina (...). L’insieme delle tavole presenta elementi di relazione tra le parti che, integrandosi a differenti livelli di lettura, indicano i legami tra loro; si tratta delle corone che i putti della tavola centrale stanno deponendo sulle teste delle quattro allegorie sui pannelli contigui, le cui differenti specie botaniche hanno attinenza con le rispettive Virtù, ma anche del gioco degli sguardi incrociati tra i vari personaggi, caro a Vasari (...). 

Lo studio delle tecniche d’esecuzione del soffitto Corner, oltre ad avvalersi del supporto di alcune indagini scientifiche, ha potuto confrontarsi anche con le fonti d’archivio e con le indicazioni di carattere tecnico che l’artista stesso ci ha tramandato attraverso i suoi scritti. Nel cercare di ripercorrere le fasi di realizzazione dell’opera, il primo riferimento che troviamo è l’indicazione, proprio nel ricordo di Vasari, dell’onere spettante al committente per la fornitura del tavolato dei dipinti, una delle spese principali; questa scelta tecnica pare da mettere in relazione con la più consueta produzione toscana del periodo, diversa da quella di area veneta, dove l’impiego del più economico e maneggevole supporto tessile si era diffuso prima che in altre aree d’Italia. Dopo l’assemblaggio dei supporti  furono applicate strisce di tela a rinforzo dei punti più soggetti ai movimenti del legno (...). La successiva fase di preparazione delle tavole fu eseguita a gesso e colla in strato sottile, tanto da non giungere ad annullare la traccia della venatura del legno del supporto, visibile in radenza, e nella biografia del suo collaboratore, Cristofano Gherardi detto il Doceno, Vasari evidenzia la suddivisione dei compiti per le fasi preparatorie al dipingere, con la stesura della mestica o «imprimatura» a olio prima del disegnare.

L’esecuzione pittorica a olio lascia trasparire, al di sotto, «imprimiture» di differente tonalità, sfruttate a risparmio; questa tecnica, studiata per una visione da lontano, richiama quanto Vasari indica per quella ad affresco, cioè la necessità per il muro di «mostrare la chiarezza». Nel descrivere il procedimento dell’esecuzione pittorica, Vasari fa frequenti riferimenti al primo «abbozzare» con i colori nella trattazione delle biografie degli artisti (...): la tecnica a olio accende e ammorbidisce i colori (...). Il principale fine è quella «unione» dei colori, conquista dell’epoca che l’introduzione della nuova tecnica consente. L’artista definisce la pittura come l’equilibrio tra toni chiari, scuri e mezzi chiari, uniti per ottenere il rilievo e la prospettiva  e dedica un capitolo sul «Come si debbino unire i colori ad olio, a fresco o a tempera…» affinché non siano accostati in modo troppo acceso, perché ciò produce discordanza; unica eccezione per la resa degli «sbattimenti», cioè le ombre prodotte da una figura su un’altra (...). Il soffitto testimonia anche della particolare attenzione del pittore alla resa dei «lustri» sugli oggetti di metallo (...), così inserisce dettagli sulle tavole del perimetro che conferiscono particolare rilievo alla composizione. Per quanto riguarda lo specifico impiego del prezioso pigmento blu di lapislazzuli, citato in due differenti varietà nei documenti per il suo costo importante, è possibile darne conferma con le indagini svolte. Di grande interesse è l’osservazione dei margini inferiori delle tavole, quelli destinati a essere nascosti dalle cornici, perché mostrano differenti livelli d’esecuzione. In larga parte è presente la sola preparazione e su questa si prolunga la realizzazione di alcuni dettagli figurativi, qui non completati dalle ultime stesure pittoriche (...).

Rossella Cavigli
estratto dal saggio sul soffitto di Palazzo Corner di Giorgio Vasari edito da Marsilio Arte

Una veduta dell’installazione. Foto Matteo De Fina

Un particolare di un affresco. Foto Matteo De Fina

Barbara Antonetto e Rossella Cavigli, 28 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

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Nel suo insieme il soffitto di Palazzo Corner è un Vasari inedito | Barbara Antonetto e Rossella Cavigli