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La restauratrice Maria Rosa Lanfranchi al lavoro sul «Transito di Francesco» nella Cappella Bardi della Basilica di Santa Croce di Firenze

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La restauratrice Maria Rosa Lanfranchi al lavoro sul «Transito di Francesco» nella Cappella Bardi della Basilica di Santa Croce di Firenze

Nella Cappella Bardi Giotto dava vivezza con l’uovo

Nella Basilica di Santa Croce a Firenze si è conclusa la fase di consolidamento e pulitura degli affreschi della cappella a destra della Maggiore. La fine dei lavori è prevista per l’estate del 2025, ora si riflette sulle zone perdute

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Laura Lombardi

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Nella Basilica di Santa Croce di Firenze si avvicina la conclusione del restauro, avviato nel giugno 2022, della Cappella Bardi, sulla destra della Cappella Maggiore. Gli affreschi narrano le «Storie di san Francesco», opera di Giotto e dei suoi collaboratori, in sei scene tratte dalla biografia di Bonaventura da Bagnoregio. La cronologia del ciclo è molto discussa: se infatti il termine post quem è rappresentato dalla canonizzazione di san Ludovico di Tolosa (1317), raffigurato nella parete di fondo, c’è chi lo ritiene eseguito tra il 1317 e il 1321 e chi invece in un momento vicino al ritorno dell’artista a Firenze da Napoli, ritorno avvenuto nel 1333.

La difficoltà di giudizio è in parte legata alle travagliate vicende conservative della cappella poiché, già nella prima metà del XVIII secolo, gli affreschi furono scialbati e nel 1812, e poi nel 1818, sulle pareti laterali, furono inseriti i due cenotafi degli architetti granducali Giuseppe Salvetti e Niccolò Gaspero Maria Paoletti. Il ciclo di Giotto riemerge solo nel 1851, nel corso dei progetti di nuova decorazione della cappella: la difficile impresa di restauro, preceduta dalla rimozione della imbiancatura (di cui restano ancora tracce nelle abrasioni e soprattutto nella forti lacune dove erano stati posti i cenotafi), fu affidata a una celebrità del tempo, Gaetano Bianchi, che si avvalse anche dell’aiuto dei frati della basilica.  E se l’approccio ottocentesco prevedeva allora il reintegro pittorico delle parti mancanti, radicalmente opposto sarà, tra il 1957 e il 1958, il principio seguito dal sovrintendente Ugo Procacci e dal restauratore Leonetto Tintori, teso a recuperare, in linea con le teorie del tempo in particolare di Cesare Brandi, la «grande luce di autenticità» (Tintori) di Giotto. Le integrazioni di Bianchi furono infatti rimosse (ma conservate per il loro valore documentario), lasciando parlare solo ciò che rimaneva, pur nelle forti mancanze, dell’originale trecentesco.

Sviluppo della Cappella Bardi in luce visibile

Oggi, rispetto a quei decenni, queste scelte radicali sono riesaminate, cercando di contemperare lo stato di conservazione dell’opera, l’istanza storica e la possibilità di una migliore lettura unitaria di quel testo figurativo. A pulitura ultimata è stata avviata infatti una riflessione e la presentazione finale del ciclo è prevista per l’estate del 2025. Come sempre sottolineava Marco Ciatti, il soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure scomparso lo scorso aprile, ogni restauro deve essere prima di tutto un’occasione di un’avventura conoscitiva e di dibattito per l’intero ambito disciplinare.

Le indagini strutturali, condotte mediante un’innovativa apparecchiatura no-touch e raffinate con l’ausilio di una termocamera, hanno chiarito le condizioni della muratura e individuato eventuali disomogeneità. Oltre ad individuare una decorazione precedente, probabilmente geometrica, la termovisione ha rivelato le buche pontaie utili per seguire la struttura dei palchi del cantiere giottesco. Dalle tracce delle sinopie e del disegno preparatorio si sono visti gli abbozzi di Giotto per pianificare le giornate del tonachino, l’intonaco sottile su cui i pittori avrebbero steso i colori. Per ottenere maggior vivezza ed effetti chiaroscurali, su una base ad affresco Giotto interveniva con colori stesi con un legante organico, probabilmente uovo. Quelle aree in parte perdute sono leggibili grazie alla campagna fotografica in Uv; la perdita delle campiture a secco rende però visibili le pennellate di prova, come nel «Transito di San Francesco».

Da sinistra, volto della scena del «Transito di San Francesco» pre e post pulitura in attesa ritocco pittorico

Nella fase di consolidamento e pulitura appena conclusa le porzioni di pellicola pittorica sollevate dall’intonaco sono state fatte riaderire al supporto con un adesivo acrilico. Oltre alla pulitura con impacchi di acqua calda deionizzata, mescolata a pasta cellulosica e argilla o strati di carta giapponese, sono stati usati solventi organici per rimuovere i fissativi sintetici applicati nel corso dall’intervento di Tintori che alteravano la cromia giottesca; materiali sintetici erano anche nelle stuccature, ora sostituiti con un impasto di calce e sabbia più compatibile con la materia originale. Consistenti erano inoltre i depositi di polvere e le aree a rischio per distacchi tra gli strati di intonaco, fratture, sollevamenti e cadute di colore, con una preoccupante presenza di sali specie nei registri superiori, lunette e volta. La ritrovata freschezza e la finezza di alcuni dettagli lasciano intuire gli effetti di realismo e di complessità spaziale della pittura giottesca, aspetti che colpirono Odoardo Borrani, uno dei protagonisti del gruppo dei Macchiaioli, quando giovanissimo lavorò con Bianchi traendone insegnamenti per una moderna pittura.

Fino a due mesi dopo la fine dei lavori, quindi fino all’autunno del 2025, il ponteggio rende possibili visite al cantiere grazie all’impegno della Fondazione Cr. Molte sono le figure coinvolte nel complesso intervento, sotto la guida di un Comitato scientifico che riunisce esperti di restauro e alcuni tra i massimi studiosi: Cristina Acidini (presidente dell’Opera di Santa Croce), Emanuela Daffra (soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure), Giorgio Bonsanti, Sonia Chiodo, Andrea De Marchi, Emanuela Ferretti, Mauro Matteini, Antonella Ranaldi e Serena Romano. La direzione dei lavori di Lorenza Alcaro ha come direttrici esecutive Maria Rosa Lanfranchi e Renata Pintus dell’Opd. 
«Nella Cappella Bardi si incrociano le linee più profonde dell’identità della Basilica francescana di Santa Croce, la linea iconografica che ha per protagonista san Franceso a cui è intitolata la chiesa, il convento e l’intera comunità dei frati e la linea artistica di cui è protagonista Giotto, il padre della pittura italiana. È quindi veramente la quintessenza dello straordinario livello di rappresentatività che Santa Croce riviste sia in materia di fede sia in materia d’arte», commenta la presidente dell’Opera di Santa Croce Cristina Acidini. « Il restauro in corso ci consente non solo di avvicinarsi a questo testo così compromesso e alterato da interventi successivi, ma anche  e soprattutto grazie alla pulitura già effettuata, di cogliere l’altissimo tenore qualitativo delle parti rimanenti della pittura giottesca: la fisicità straordinaria, il classicismo l’espressività che negli episodi della vita di san Francesco e delle sue apparizioni post mortem si manifestano giustificando davvero la carismatica presenza di Giotto come capostipite dell’arte di Occidente».

L’impegno economico complessivo è di oltre 1 milione di euro con il concorso dell’Opera di Santa Croce e dell’Opificio delle Pietre Dure, mentre Fondazione Cr Firenze e Associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano (Arpai) intervengono attraverso l’Art Bonus. Si aggiungono donazioni private pervenute attraverso la raccolta fondi #Giving4Giotto, tuttora in corso.

Da sinistra: Cristina Acidini, Emanuela Daffra e Maria Rosa Lanfranchi nel cantiere di restauro della Cappella Bardi a Firenze

Laura Lombardi, 19 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

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Nella Cappella Bardi Giotto dava vivezza con l’uovo | Laura Lombardi

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