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Alessandro Séon, «The Despair of the Chimera», 1890, collezione Lucile Audouy (particolare)

© Thomas Hennocque

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Alessandro Séon, «The Despair of the Chimera», 1890, collezione Lucile Audouy (particolare)

© Thomas Hennocque

Oltre la Porta dei Sogni ci aspetta la Sfinge

Nel museo Ordrupgaard in Danimarca sono esposte 63 opere simboliste dall’inaccessibile collezione di Lucile Audouy

Negli anni Ottanta la collezionista francese Lucile Audouy, durante i suoi studi letterari presso l’Università della Sorbona, cominciò ad appassionarsi al Simbolismo e ad acquistare opere che contribuissero ad approfondire la storia del movimento e la sua diffusione. Tra le prime opere a far parte della sua collezione fu l’antologia La porta dei sogni (1899) di Marcel Schwob, ed è proprio questo testo ad aver ispirato il titolo della mostra in corso fino 15 giugno nel Museo Ordrupgaard a pochi chilometri da Copenaghen. «La porta dei sogni. Simbolismo» presenta una selezione curata della collezione Audouy, situata a sud di Parigi e solitamente non accessibile al pubblico, svelando le molteplici sfaccettature del movimento. Le 63 opere in prestito sono distribuite in tre sale e suddivise in altrettanti temi: «Racconti e leggende», «Gli Inferi» e «Paesaggi mistici». 

La prima sala trasporta i visitatori in una Parigi di fine Ottocento, permeata di teorie esoteriche e filosofie mistiche. Contrariamente all’immagine della capitale in piena Belle époque raffigurata dagli impressionisti, e alle solari iconografie legate alle feste sulle rive della Senna o ai soggiorni balneari, qui l’atmosfera è quella percepita da un ambiente creativo che avverte la propria estraneità rispetto al mondo moderno e aspira a trascendere la realtà, anziché a rappresentarla. In netto contrasto con i principi di oggettività, i simbolisti individuano nell’espressione artistica il mezzo per testimoniare ed esplorare una condizione esistenziale nella quale l’arte diventa strumento per creare significato.

Lo sguardo volge quindi verso visioni interiori, leggende e miti, nonché verso epoche remote. Accompagnati dalle note di Erik Satie scopriamo in mostra la trasversalità di questo ampio movimento intellettuale che si estende a musica, letteratura, poesia e critica. Nel 1886 la pubblicazione del Manifesto Simbolista ne documenta la poetica; due anni prima l’uscita del romanzo À rebours di Joris Karl Huysmans aveva esplorato nel «mal de vivre» il movente principale di questo sguardo rivolto al passato.

Edgar Maxence, «The Flowers of the Lake», 1900, collezione Lucile Audouy. © Thomas Hennocque

La prima sezione della mostra ne pone al centro i temi ricorrenti, spazianti dalla mitologia alle storie bibliche: il «Narciso» di Desvallières ha tra le sue compagne Pandora, Salomè e Ofelia. Il rifiuto del materialismo e del positivismo si manifesta anche in un passato idealizzato attraverso un revival neogotico e neorinascimentale, ed è quanto emerge soprattutto nelle opere di Armand Point ed Edgar Maxence, entrambi attratti anche dal recupero di tecniche antiche.

Nella sezione «Gli Inferi» questa fiabesca e trasognata visione del Medioevo cede il passo a più inquietanti viaggi nei territori dell’irrazionale, tra incubi, allucinazioni e creature demoniache. La mostra include tra i suoi pezzi forti «La disperazione della chimera» (1891) di Alexandre Séon, considerata una sorta di manifesto visivo del Simbolismo: la chimera qui incarna l’Ideale che urla di disperazione per essere stata abbandonata dai suoi adoratori, gli artisti che le hanno voltato le spalle per seguire le orme del Naturalismo.

È anche l’epoca in cui si afferma, a Musa ideale e soggetto, la femme fatale, seducente ed esiziale: la pittura e la scultura si popolano di Erodiadi e Meduse; sfingi, gorgoni e arpie fanno la loro apparizione sulle tele, nelle arti decorative e nelle decorazioni architettoniche. Sebbene manchi una contestualizzazione sulla genesi di questa rappresentazione di genere stereotipata in un periodo caratterizzato da un significativo cambiamento del ruolo delle donne nella società, questa sezione offre notevoli variazioni sul tema. Fra tutte spicca il «Ritratto della marchesa Casati» di Romaine Brooks, in cui una delle figure più eccentriche e affascinanti dell’epoca assume le sembianze di un vampiro dai capelli fiammeggianti.

L’ultima sala è dedicata al paesaggio come espressione dello stato d’animo, ma anche come varco verso una possibile via di fuga, con l’obiettivo di stabilire una ritrovata armonia tra uomo e natura. Malinconia e solitudine abitano invece la città, come quella, desolata e spettrale, dipinta da Henri Le Sidaner e ispirata al romanzo Bruges-la-Morte di Georges Rodenbach.

La Prima Guerra Mondiale porrà fine a molti movimenti e alle avanguardie di fine Ottocento e inizio Novecento. Ma il Simbolismo, proprio in virtù delle sue indagini nell’inconscio e dei suoi moventi esistenziali, sarà destinato a una sotterranea permanenza, ad esempio nella lunga durata del Surrealismo, in un secolo, del resto, in cui la psicanalisi e il ricorso agli archetipi mitologici e tragici della cultura occidentale (e non solo) da parte di Freud e Jung lasceranno un segno indelebile. Come scrive Jørn Boisen nel catalogo dell’attuale mostra, «qui sta tutto il paradosso dei simbolisti: tentano di decifrare i misteri del mondo, ma questo li conduce in universi che diventano sempre più personali e che alla fine sfiorano l’incomprensibile. La soluzione all’enigma della vita diventa essa stessa un nuovo enigma».

Una veduta della mostra «Drømmenes Port. Symbolisme» al museo Ordrupgaard. Foto: Anders Sune Berg

Benedetta Ricci, 20 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

Oltre la Porta dei Sogni ci aspetta la Sfinge | Benedetta Ricci

Oltre la Porta dei Sogni ci aspetta la Sfinge | Benedetta Ricci