Diario di Radis, progetto di arte nello spazio pubblico promosso da Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per il quadriennio 2024-2027. Questo progetto di racconto a puntate, una al mese sino ad ottobre, vuole illustrare, per tappe, con diverse voci e da diverse angolazioni, il percorso verso l'innesto dell'opera di Giulia Cenci per la prima edizione del progetto.
«Il corpo, che costituisce il nostro regno, mi pare talvolta fatto di un tessuto inconsistente e sfuggente come un’ombra»[1]. Con questa citazione tratta dal romanzo L’opera al nero di Marguerite Yourcenar si apre la mostra che ha inaugurato il 14 luglio 2024 a Rittana, nell’ambito del progetto «Radis». La mostra, che prende il titolo dal romanzo, raccoglie opere dalle collezioni della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT e della Fondazione CRC, scelte per la loro risonanza con l’opera di Giulia Cenci che verrà inaugurata a inizio autunno al Chiot Rosa.
Il romanzo è ambientato nell’Europa del XVI secolo e racconta la vita dell’alchimista, medico e filosofo Zenone, un personaggio al contempo «storico» e fittizio: in lui si riuniscono frammenti di vita di personalità realmente esistite, come Paracelso, Leonardo da Vinci ed Erasmo da Rotterdam. Al centro della narrazione vi è il corpo del protagonista, luogo di trasformazioni e punto di osservazione per indagare il rapporto dell’essere umano con il mondo. Questa indagine, perseguita da Zenone con un’attitudine libera che fonde l’alchimia con i principi materialisti propri di un medico, lo costringerà a nascondersi, a cambiare identità per sfuggire alle persecuzioni religiose, e infine a essere imprigionato e processato per eresia.
Nel testo, sono molti i passaggi in cui Zenone riflette sulle relazioni tra corpo e mondo, sia a partire dalla sua attività di medico e alchimista, sia quando l’esperienza corporea gli rivela momenti di profonda comprensione della realtà: «Una mattina, durante una delle sue passeggiate d'erborista, una circostanza insignificante e quasi grottesca lo fece riflettere essa ebbe su di lui un effetto paragonabile a quello d’una rivelazione che illumini un devoto su qualche santo mistero»[2]. Inizia così uno dei passaggi più significativi del romanzo: il protagonista, munito di una lente appositamente costruita per studiare le radici e i semi delle piante, si reca sulle dune appena fuori dalla città dove abita.
«Verso mezzogiorno si addormentò coricato ventre a terra in una buca della sabbia, colla testa sul braccio; la lente cadutagli di mano giaceva sotto di lui su un cespuglio secco. Al risveglio credette di scorgere sul proprio viso una bestia straordinariamente mobile, insetto o mollusco che si muoveva nell'ombra. Era di forma sferica; la parte centrale d’un nero brillante e umido, circondata da una zona bianca piuttosto opaca o tendente al rosa; una frangia di peli sui contorni spuntava da una corazza molle e bruna, striata da screpolature e ammaccata da enfiagioni. Una vitalità quasi spaventosa animava quella cosa fragile»[3].
Un istante dopo Zenone realizza di stare osservando il proprio occhio riflesso e ingrandito dalla lente: «Si rialzò tutto assorto. Si era colto nell'atto del vedere: sfuggito alla banalità delle prospettive abituali aveva guardato dappresso l'organo piccolo ed enorme, vicino benché estraneo, vulnerabile, dotato d'una potenza imperfetta eppur prodigiosa, da cui dipendeva per vedere l'universo»[4].
La mostra è quindi un omaggio a Zenone e al suo studio del mondo e del corpo, e dialoga con alcune attuali questioni che la storia narrata da Yourcenar pone: come cambia la nostra percezione del mondo influenzata dalla scienza e dalla tecnologia? In che relazione sono gli esseri umani con le altre specie viventi? Quali trasformazioni subisce il nostro corpo nel processo di invecchiamento? Che cosa succede al corpo dopo la morte? In che modo il nostro corpo può diventare luogo politico e sociale? Che parte hanno sogno, poesia e metamorfosi nella nostra vita?
Suddivisa in due capitoli, la mostra asseconda la parabola narrativa del romanzo: dopo un inizio in cui il giovane Zenone, errando per l’Europa, entra in contatto con persone provenienti dalle diverse culture e classi sociali del XVI secolo, negli anni della maturità il protagonista si fa sempre più isolato e riflessivo, fino alla minuziosa descrizione delle sensazioni che accompagnano la sua morte. Allo stesso modo, se il primo capitolo della mostra si concentra sulle relazioni tra umani e altri viventi, tra corpo e mondo esterno, nel secondo sarà l’esperienza del corpo individuale a essere protagonista, in relazione alla tecnologia e ai processi di cambiamento e trasformazione.
Negli spazi del Centro Civico e Culturale di Rittana, uno stabile utilizzato in passato come canonica del paese, l’esposizione si apre con l’opera tessile «Mother Earth» di Tabita Rezaire, che celebra la maternità e la fertilità e fa parte di una trilogia di opere che raffigurano delle divinità ricamate, realizzate in collaborazione con le donne Saramaka (Guyana francese). «Mother Earth» onora lo spirito della Terra, la sua abbondanza e la sua saggezza, e ci richiama alla responsabilità di prenderci cura dell’ambiente in cui viviamo.
Successivamente, nella seconda sala sono in dialogo le opere di due artiste che riflettono sul corpo come spazio politico e, quindi, come prodotto culturale soggetto a oppressioni. Nell’opera video «Preparação I» (1975) di Letícia Parente, il gesto quotidiano di truccarsi davanti allo specchio diventa straniante quando la donna si incolla una striscia di nastro adesivo sulla bocca e sugli occhi, truccandoli. Resa cieca e muta, la donna si trasforma in un ibrido, a metà tra essere umano e bambola. Steffani Jemison riflette invece sul corpo afrodiscendente come spazio di libertà, contro la violenza in cui è confinato da secoli: i suoi lavori raffigurano corpi in movimento, con influenze che provengono dalla danza, dal cinema muto e dalla musica.
La terza sala accoglie due dipinti di Lorenza Boisi, «Winter Life» e «Orfeo incanta gli animali con la musica». I due lavori, che compongono un dittico, si collocano all’interno di una ricerca dell’artista legata a tematiche tradizionali e mitologiche, in cui la figura umana e la presenza del mondo animale sono temi ricorrenti. Infine, il grande bassorilievo di Lin May Saeed, «Nus (Noc / Nut)» racconta di un momento originario, quando esseri umani e mondo animale erano un tutt’uno. Interessata alla nostra relazione con gli animali, l’artista immagina il momento in cui tutte le specie erano alla pari, prima che l’essere umano iniziasse il proprio dominio di violenza e sfruttamento.
A partire dal 6 ottobre 2024, in concomitanza con l’inaugurazione dell’opera di Giulia Cenci al Chiot Rosa, sarà possibile visitare anche il secondo capitolo della mostra: oltre alle opere già presenti, il percorso espositivo si amplierà con una serie di lavori che affrontano il tema del corpo in relazione ai processi trasformativi e al rapporto tra corpi e nuove tecnologie.
Seconda puntata del «Diario di Radis», dedicata, nelle parole di Marta Papini e Leonardo Pietropaolo, al paesaggio e alla gente di Rittana.