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Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliNato nel 1930, nel 1952 il Museo di Roma si trasferisce nell’attuale sede di Palazzo Braschi, chiusa nel 1987 per inagibilità, passata al Campidoglio tre anni dopo e riaperta nel 2002. Da allora molte le migliorie, le ultime a marzo 2016, con l’illuminazione dello scalone monumentale finanziata da Bulgari e la berlina di gala del 1776 della famiglia Chigi nell’atrio, al posto delle sculture di Francesco Mochi spostate a San Giovanni dei Fiorentini.
Oggi il museo si amplia di un intero piano, il terzo (e ultimo), smontando e ripensando tutta la collezione: un importante lavoro della Sovrintendenza capitolina diretta da Claudio Parisi Presicce, confermato per altri tre anni, e seguito da vicino da Federica Pirani, fino a giugno a capo dei musei comunali di Arte moderna e contemporanea. A Palazzo Braschi è cambiato tutto, come testimonia la mostra su «Artemisia Gentileschi e il suo tempo» nelle sale del primo piano, già dedicate alle raccolte permanenti ma d’ora in poi riservate alle grandi mostre capitoline, quasi a compensare con i suoi oltre 800 metri quadrati il passaggio delle Scuderie del Quirinale al Mibact. Vi saranno allestite «mostre di respiro internazionale, spiega Parisi Presicce, per fare di Palazzo Braschi un punto di riferimento per l’arte dal Cinque all’Ottocento, uno spazio dove tornare e visitare più volte».
Le raccolte del Museo di Roma sono ricchissime, chiarisce il sovrintendente, quindi per forza si sono operate delle scelte. Al secondo piano il percorso fa emergere i vari aspetti della città moderna: quella dei potenti che hanno fatto la storia di Roma, essenzialmente papi, cardinali e aristocratici, la loro vita pubblica, i rapporti, le feste, i costumi, i ritratti e l’immagine che si costruivano, compresi alcuni contesti specifici come l’alcova Torlonia, che racconta anche un fatto urbanistico importante, la demolizione di Palazzo Torlonia in piazza Venezia nel 1903 per costruire l’Altare della Patria. Attorno gravitavano intellettuali, giovani europei in Grand Tour e artisti che celebravano la città e i potenti, come nel caso dello scultore e ambito ritrattista Pietro Tenerani (1789-1869), di cui il museo detiene l’intera gipsoteca allestita per la prima volta nelle ultime tre sale. Al tema della festa si lega quello del folclore, con giochi e divertimenti popolari, teatro di strada, osterie, statue parlanti e invettive contro i potenti. E accanto i grandi riti e le celebrazioni nelle piazze più note, gli apparati effimeri spesso disegnati da artisti del calibro di Bernini, Fuga e Specchi, il rapporto tra città e campagna (la quale, fino alla proclamazione di Roma capitale, penetrava ben oltre le Mura aureliane), l’epopea risorgimentale e la Repubblica Romana, le trasformazioni delle ville storiche in parchi pubblici, le vedute e le planimetrie con gli sviluppi della città.
«Una delle cose più interessanti, dice Parisi Presicce, è l’idea, sviluppata soprattutto al terzo piano, di una città dinamica, in continua trasformazione». Qui in tre focus è ricucito il tema della trasformazione urbana: l’area centrale e la costruzione di via dell’Impero, con gli sventramenti ma anche i tanti ritrovamenti che ha comportato; la creazione dei muraglioni del Tevere, «il più grande monumento di Roma con i suoi nove chilometri che attraversano l’intera città», che ha risolto il secolare problema delle inondazioni, ma ha isolato il fiume dal tessuto urbano (un problema ancora oggi irrisolto); la cosiddetta Spina dei Borghi, una storia che dall’epoca antica arriva fino al Giubileo del 1950, quando si completa via della Conciliazione.
Al piano terra, nelle salette aperte sul cortile, prosegue l’esposizione a rotazione delle collezioni del museo meno note. Poi ancora un nuovo Centro di documentazione aperto a tutti e gratuito, con video, multimedialità eccetera.
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