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Silvia Mazza
Leggi i suoi articoliCarmelo Malacrino, che dirige il Museo Archeologico Nazionale, allestito soltanto al piano terreno (Bronzi compresi), resta «abbottonato» sui tempi di inaugurazione
«Un esperimento di purismo espositivo “spinto”»: così avevamo definito i 3.300 metri quadrati espositivi del Museo Archeologico Nazionale ancora vuoti nel maggio 2014, vivificati solo dai Bronzi e da qualche altro selezionato capolavoro. Potremmo dire che ora l’esperimento si radicalizza: c’è un nuovo direttore, uno dei super 20, ma non c’è ancora il museo. Fatta eccezione, infatti, per il piano terra con i Guerrieri e la sale dedicate a Reggio Calabria (che col nuovo percorso invertito rispetto al precedente costituisce l’ultima tappa della visita), per il resto il museo è off limits.
L’allestimento aveva conosciuto un’ennesima battuta di arresto quest’estate, a seguito della vicenda giudiziaria che ha travolto la Set Up Live, l’azienda di Torino che si stava occupando della manutenzione nei cluster Expo, raggiunta in agosto da un’interdittiva antimafia della prefettura di Milano.
Il neodirettore Carmelo Malacrino resta abbottonatissimo sui tempi di completamento e sulla data d’inaugurazione, dopo che anche al ministro Dario Franceschini, come ai suoi predecessori, era toccato impegnarsi con una scadenza (il 27 aprile) puntualmente disattesa. La speranza era quella di consegnare il museo integralmente riallestito al vincitore del concorso Mibact. Per cui per Malacrino, insediatosi il primo ottobre, è stato prioritario dettare subito un cronoprogramma, top secret.
Non c’è un museo, dunque, ma nemmeno il personale. Temporaneamente affiancano il direttore gli impiegati che, dopo la separazione dei due istituti della Soprintendenza e del museo, sono stati afferiti alla prima, i cui uffici sono fortunatamente collocati sullo stesso piano (il terzo) della direzione del museo.
Come per tutti e venti i grandi musei dotati di autonomia speciale, anche in riva allo Stretto per i funzionari amministrativi e le altre figure tecniche si attendono gli atti d’interpello interni al Mibact. Per avviare la normale operatività il 22 ottobre sono stati nominati i componenti degli organi di governo del museo, amministrativi e scientifici con funzioni di supporto al direttore (ma anche di controllo sulle sue decisioni): il Consiglio di amministrazione e il Comitato scientifico. Resta da nominare, invece, il Collegio dei revisori dei conti.
E poi c’è lui, Carmelo Malacrino, 44 anni. Dopo tante insensate polemiche antiesterofile con cui sono stati accolti i 7 direttori stranieri dei 20 selezionati dal Ministero, un direttore «a km zero», calabrese di Catanzaro, ricercatore all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, e già di casa al museo (unico istituto per il quale ha concorso, a differenza di altri candidati che hanno tentato più sedi) per aver collaborato negli anni passati a diverse iniziative espositive e a pubblicazioni dell’ex soprintendente Simonetta Bonomi.
Un architetto, ma non va detto. Non si capisce bene, infatti, per quale ragione nel comunicato Mibact del 18 agosto nell’indicazione delle professioni dei vincitori non ci fosse quella di «architetto», mentre nella breve biografia che seguiva lo si qualifica come «archeologo e architetto», quando archeologo non è: laureato in architettura a Firenze, specializzato presso la Scuola archeologica italiana di Atene e con un dottorato in Storia dell’Architettura allo Iuav di Venezia. Non si comprende questa ambiguità, perché Malacrino non è archeologo in senso «tecnico», ma certo ha una preparazione specifica di prim’ordine.
Vale la pena di ricordare che Dieter Mertens, che ha diretto per molti anni scavi a Metaponto e Selinunte e l’Istituto Archeologico Germanico di Roma è un ingegnere-architetto: è la tradizione germanica della via all’archeologia. E la scuola di Atene ha sempre formato architetti, come Claudio Tiberi, che ha studiato i monumenti dell’acropoli di Atene, o ingegneri, come Guglielmo De Angelis d’Ossat, già direttore generale delle Antichità e Belle Arti.
Il punto è un altro. Basta scorrere il suo curriculum per vedere che non ha esperienze di gestione museale né è in possesso di quei requisiti manageriali che dovevano marcare la differenza di gestione dei nuovi direttori; mentre per la carenza dei meccanismi amministrativi, come i suoi colleghi, potrà almeno far riferimento al team di assistenza che alla fine il Ministero si è trovato a dover predisporre, costituto da dirigenti interni.
Dalla sua ha, però, oltre al suo essere di casa al museo (in senso anche letterale, avendo alloggio al suo interno, come stabilisce una convenzione del 1954 con il Comune, proprietario delle collezioni), l’avere già chiaro un piano di valorizzazione, cosa non secondaria, dato che è la principale missione per cui sono stati scelti i nuovi direttori. La sua visione punta sul concetto di «inclusione» a 360°, «dall’idonea preparazione del personale rivolto all’accoglienza agli eventi espositivi che possano promuovere anche gli altri musei e le altre realtà archeologiche della Calabria, in sinergia con il Polo museale e la Soprintendenza archeologica, come con la mostra, già pronta, ci anticipa Malacrino, dal 19 dicembre a fine febbraio, sull’immaginario della religione e della cultura dell’antico mondo greco. Una mostra che fa leva sulla semplicità e sulla suggestione, perché il museo non comunica solo agli specialisti». Con reperti dai depositi e quelli destinati all’esposizione permanente, curata insieme all’archeologo classico Riccardo Di Cesare, dell’Università di Foggia, e all’epigrafista Giovanni Marginesu, dell’Università di Sassari (entrambi colleghi della Scuola di Atene), sarà ospitata in uno dei due grandi spazi nel settore inferiore deputati alle mostre temporanee.
Malacrino vuole anche «rendere il museo hi-tech (pronto un progetto da 2 milioni di euro dal Poin Cultura 2014-20, Ndr), potenziare la comunicazione, sia quella didattica (con app dedicata) sia quella sui social (il profilo Facebook, aperto il 17 ottobre, ha ottenuto in due settimane 2.315 like)», e sta lavorando «alla messa in rete con gli altri tre musei archeologici del Sud, quello di Napoli e di Taranto, legati dal tema della Magna Grecia». La terrazza panoramica, il cui completamento avverrà, però, dopo la riapertura integrale del museo, ospiterà un ristorante. Infine, il direttore ci anticipa che si sta lavorando alla ricomposizione di un terzo Bronzo, «a partire dalla testa di “Filosofo” già esposta e di cui si conservano nei depositi le restanti parti del corpo». Il risultato finale lo si può già vedere dalla restituzione digitale che affianca, nella sala espositiva, la testa bronzea.
Leggi le interviste agli altri direttori
- La Galleria Nazionale d’Arte antica di Roma
- La Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma
- Il Museo Nazionale del Bargello di Firenze
- Il Palazzo Reale di Genova
- La Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia
- La Galleria Nazionale delle Marche di Urbino
- La Pinacoteca di Brera a Milano
- Le Gallerie dell'Accademia di Venezia
- La Galleria dell'Accademia di Firenze
- La Reggia di Caserta
- La Galleria Borghese di Roma
- Il Museo Capodimonte a Napoli
- Le Gallerie degli Uffizi di Firenze
- Il Palazzo Ducale di Mantova
- Il Museo Archeologico di Napoli
- Il Parco Archeologico di Paestum
- Il Museo Archeologico di Taranto
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