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Micol Roubini, «Glossolalie», 2021

Courtesy of the artist

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Micol Roubini, «Glossolalie», 2021

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Parole Ferite, Parole che Feriscono: un progetto per ArtVerona

Alla Biblioteca Capitolare di Verona, parole e immagini si intrecciano tra memoria, ferite e interpretazione: una mostra curata da Marta Cereda tra gli eventi collaterali di ArtVerona

Camilla Bertoni

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«Wounded Words Wounding Words»: tra le parole ferite e quelle che feriscono si muove l’esposizione curata da Marta Cereda alla Biblioteca Capitolare di Verona, progetto collaterale di ArtVerona (10-12 ottobre, padiglioni 11 e 12 di Veronafiere). La mostra, aperta il 9 ottobre con una performance di Gaia De Megni (fino al 26 ottobre), è pensata per un luogo che si presenta come la più antica biblioteca del mondo e che conserva manoscritti a partire dal V secolo: parole, appunto, ferite dalle bombe del 4 gennaio 1945 di cui l’istituto, che andò distrutto, porta ancora i segni nel suo patrimonio con tracce di schegge, bruciature, frammenti. «Con un allestimento diffuso in biblioteca, spiega la curatrice, il cui fulcro è nel salone monumentale, sono state ricollocate le casse utilizzate negli anni della guerra per mettere in salvo i libri e riportarli dopo la ricostruzione dell’edificio, casse trasformate in display per raccontare le opere. Ventotto sono gli artisti selezionati, con lavori dagli anni ’60 a oggi: ci sono nomi storicizzati e celeberrimi, da Vincenzo Agnetti a Mirella Bentivoglio, Lucia Marcucci, pioniera della poesia visiva in Italia, Alighiero Boetti, Maria Lai e altri maestri del verbovisuale. Questi si alternano ad artisti che lavorano nel presente, come Shirin Neshat, Rebecca Moccia, Marco De Sanctis, Marinella Senatore, Marcello Carrà, Dina Danish, David Reimondo, Micol Roubini per citarne alcuni. Nomi molto diversi, ma tutti hanno in comune la ricerca sul linguaggio come campo di tensione da esplorare in positivo e negativo». 

 

Armando Testa, «Giovanna D’Arco», 1989. Courtesy of Testa per Testa e Collezione Gemma De Angelis Testa, Milano

Marinella Senatore, «Make it Shine», 2023. Courtesy of Mazzoleni, courtesy l’artista e Mazzoleni, Londra - Torino

La performance inaugurale di De Megni rappresenta, nelle parole di Cereda, una riflessione tra l’idea di parola e quella di immagine: «dialoghi tratti dal film I Cannibali di Liliana Cavani del 1970, vengono riproposti al pubblico senza l’accompagnamento visivo, parole nate per accompagnare un’immagine sono private del loro correlativo oggettivo, lasciando spazio totale all’immaginazione. A cosa si riferiscono?». Dalla memoria di Gramsci, condannato per le sue parole, elaborata da Alfredo Jaar, a quella di Giovanna d’Arco recuperata in un manifesto a firma di Armando Testa per il teatro, si arriva a opere come quelle di Giulio Squillacciotti, classe 1982: «il suo lavoro dispone una serie di oggetti in ceramica tipici del lavoro dell’interprete, aprendo una riflessione sul fraintendimento che si può generare dai un messaggio tradotto o trasmesso». Una mostra prodotta da ArtVerona, frutto della collaborazione con la città, con le gallerie e con importanti collezioni, tra le quali la Consolandi che conserva, tra gli altri, un «Abbecedario» di Man Ray, o la collezione Gemma De Angelis Testa da cui provengono i «Telegrammi» di Agnetti. Venerdì 10 ottobre, alle 19,30, è in programma la performance di Stina Fors, «A Mouthful of Tongues», uno spettacolo di magia in cui la voce appare staccata dal corpo dell’artista. Il suo lavoro è ricco di tensione, umorismo e potenza pura. L’intervento fa parte del progetto «It sounds like another word», curato da Nicola Giuliani - fondatore di Campo Base Projects.

Camilla Bertoni, 10 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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