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Frédéric Bonnet
Leggi i suoi articoliArt Paris Art Fair si è svolta dal 31 marzo al 3 aprile. Mentre il 2015 aveva proposto una fiera che, senza raggiungere la perfezione, aveva nettamente migliorato in quanto a omogeneità, il 2016 è tornato a un livello in cui le differenze qualitative sono state di nuovo molto evidenti
La strategia seguita, e comprensibile, che consiste nel proporre un’offerta differenziata rispetto alle altre fiere internazionali, non significa proporre un agglomerato indistinto di qualsiasi cosa, una sensazione inevitabile al termine della visita. Lo svolgersi in simultanea a Parigi di quattro manifestazioni, con il Salon du Dessin, Drawing Now e il Pad, i primi due di buona tenuta, tra le quali la circolazione degli appassionati ha funzionato bene, giustifica pienamente l’esistenza di una fiera ben collocata nel contesto con una propria fetta di pubblico.
Ma se Art Paris può essere orgogiosa di essere stata la prima a occupare il magnifico scrigno del Grand Palais, la sede costa cara e la manifestazione si vede obbligata a riempirla, a volte senza un chiaro criterio, per assicurare la sua sostenibilità economica. Il fatto più preoccupante è che Art Paris non riesce più ad attirare galleristi dinamici, giovani come Semiose, di taglia media come Laurent Godin, o affermati come Lelong, che potrebbero agire da catalizzatori.
Un giovane gallerista parigino incrociato tra gli stand, che aveva apprezzato l’edizione del 2015 e aveva esitato quest’anno a partecipare, ha confidato che avrebbe preferito non esserci. L’andamento generale della sezione «Promesse» in effetti non era molto incoraggiante. Gli affari sono stati in tono minore quest’anno, anche se hanno ripreso un po’ di vigore durante il fine settimana e alcuni mercanti si sono dichiarati soddisfatti, come Nathalie Obadia (Parigi, Bruxelles), che vendeva una quindicina di opere e dichiarava: «Non considero mai Art Paris come una fiera da ultima spiaggia e voglio presentare degli stand di qualità».
Il difficile momento attraversato da Parigi dopo gli attentati dell’Isis non ha aiutato la manifestazione che con quasi 53mila visitatori ha sofferto un calo del 5%, soprattutto per quanto riguarda il pubblico straniero. Si vedevano comunque alcune proposte interessanti, come la magnifica parete di disegni degli anni Cinquanta del giapponese Shozo Shimamoto da Giangaleazzo Visconti (Milano), presente per la prima volta. O ancora l’allestimento di Najuma (Marsiglia), dominato da sculture di César degli anni Ottanta, o la personale di Damien Cabanes da Eric Dupont (Parigi).
Da non perdere anche la mini retrospettiva di Geneviève Claisse proposta da Fleury (Parigi) o, da De Primi Fine Art (Lugano), i magnifici quadri fintamente naïf del giapponese Sadamasa Motonaga, ricchi di elementi di un mondo al tempo stesso mentale e reale. Molti stand invece proponevano allestimenti troppo densi, a scapito delle opere e del risultato d’insieme. Appare in particolare difficilmente concepibile che un comitato di selezione possa ammettere per l’ennesima volta i gatti di Philippe Geluck da Huberty & Breyne (Bruxelles, Parigi) e progetti come quelli di The Kid da Alb-Anouk Le Bourdiec (Parigi) o Ronald Ventura da Primae Noctis (Lugano), di cui si erano già viste proposte simili.