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Nei resti della città di Caral-Supe, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, gli archeologi hanno trovato le prove di un’antica società altamente sviluppata

Mark Green/Foto stocklamy

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Nei resti della città di Caral-Supe, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, gli archeologi hanno trovato le prove di un’antica società altamente sviluppata

Mark Green/Foto stocklamy

Perù: a rischio «la cultura madre» della civiltà andina

Tagli dei fondi statali, trafficanti e tombaroli senza scrupoli minacciano le ricerche degli archeologi peruviani a Caral, a 200 km a nord di Lima

Maria Luisa Del Río

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Nel lontano 1994, sulla costa centro-settentrionale del Perù, a 200 km da Lima, una piramide che un tempo si pensava fosse solo una collina rivelava un nuovo capitolo della storia dell’umanità. Era stata scoperta un’antica civiltà, altamente sviluppata e fino ad allora sconosciuta, contemporanea dei Sumeri, degli Egizi e delle prime società cinesi: la città sacra di Caral-Supe dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2009. Tuttavia, lo scorso ottobre, mentre Caral celebrava il suo 30mo anniversario, i ricercatori impegnati sul sito hanno ricevuto minacce di morte da parte di trafficanti desiderosi di mettere illegalmente le mani sul territorio circostante e forse su alcuni preziosi manufatti.

Caral, la più antica società conosciuta nelle Americhe, si è sviluppata nella zona quasi 5mila anni fa. Sorta in una stretta valle tra l’Oceano Pacifico e le Ande centrali, è considerata la «cultura madre» della civiltà andina. Un’équipe di ricerca guidata dall’archeologa Ruth Shady ha individuato 12 insediamenti, dove si ritiene abbia avuto origine tutto ciò che oggi è associato agli Inca: lingua, irrigazione delle colture, sistema di registrazione dei nodi quipu, architettura religiosa e arte.

Al centro di Caral vi erano sei piramidi disposte intorno a una piazza centrale. Accanto ad esse, un anfiteatro e un tempio. Intorno all’anfiteatro gli archeologi hanno portato alla luce strumenti musicali finemente lavorati, cornetti e flauti ricavati da ossa di condor, lama e cervi. Hanno anche identificato frammenti di annatto, usato ancora oggi dalle culture amazzoniche per dipingere il viso, condire il cibo e come afrodisiaco.

Le scoperte hanno evidenziato un’estesa rete commerciale poiché molti dei materiali non erano originari del territorio, ma provenivano dalle alte Ande e dalla giungla, a più di 250 km di distanza. Dalle analisi del cibo consumato dagli abitanti di Caral, Shady e il suo team hanno trovato resti di pesce che potevano provenire solo dalla costa. Hanno anche rinvenuto cotone in abbondanza, a testimonianza di una vasta rete commerciale tra agricoltori e pescatori che usavano questo materiale per realizzare reti da pesca.

Archeologia ricca in un Paese povero

Nel corso degli anni Shady ha affrontato molteplici avversità a Caral, spesso senza alcun sostegno da parte del governo peruviano. Dalla metà degli anni 2000, il suo gruppo di ricerca è stato attaccato dai trafficanti, che a volte hanno ricevuto il supporto di funzionari locali corrotti. Nel 2003 Shady ha rischiato di morire in una rapina a mano armata mentre si recava allo scavo per pagare i suoi lavoratori. Più recentemente, uno dei suoi colleghi è stato aggredito dai trafficanti, mentre svariati ricercatori si sono dimessi per problemi di sicurezza.

Anche il sito è stato colpito dai tagli di bilancio degli ultimi anni. In una recente intervista, l’archeologa ha dichiarato che il budget stanziato per la ricerca a Caral nel 2024 è stato dimezzato, costringendola a licenziare un’ottantina di lavoratori locali.

Pedro Novoa, vicedirettore della ricerca e della conservazione nel sito di Caral, lavora con Shady da 17 anni e ha potuto constatare lo scarso contributo ricevuto dal governo peruviano. «Il Perù è un Paese privilegiato per quanto riguarda il patrimonio archeologico, paragonabile all’Egitto, al Pakistan, alla Cina, alla Mesopotamia e alla Mesoamerica, ha spiegato. Dovrebbe esserci una politica per questo patrimonio culturale con istituzioni dedicate e un budget speciale. Ma questo budget sarà sempre scarso in un Paese con carenze nell’istruzione, nella sanità e nei servizi di base».

Novoa aggiunge che Shady «nutre un grande interesse per il legame della società con il patrimonio: un luogo di grande valore come Caral serve a rafforzare l’identità, a migliorare l’autostima e la qualità della vita dei suoi vicini». Racconta che quando il progetto è iniziato trent’anni fa, «non c’erano né strade, né elettricità, né acqua, né fognature, ma solo contadini in condizioni di povertà». Il sito è importante non solo per la ricerca scientifica, ma anche come bacino di posti di lavoro nella comunità, anch’essi ridotti insieme al budget.

La profezia di Caral

Nel novembre scorso, l’agenzia di stampa statale del Perù ha pubblicato un documentario di venti minuti per celebrare il 30mo anniversario del sito. Nel filmato, intitolato «La Profecía de Caral: el Cambio Climático», Shady riveste un ruolo di primo piano e traccia un collegamento inusuale tra Caral e il cambiamento climatico.

«Dopo quasi mille anni di prosperità, la civiltà Caral ha dovuto affrontare cambiamenti climatici molto intensi», afferma nel documentario, sottolineando l’estrema siccità che ha colpito la zona migliaia di anni fa. Secondo l’autrice, le siccità di oggi nel mondo (e la loro controparte, le inondazioni) e gli incendi boschivi in Amazzonia indicano che ci troviamo di fronte a un fenomeno con caratteristiche simili, anche se su larga scala. Shady osserva inoltre che «quasi nello stesso momento» in cui le popolazioni Caral sono state costrette ad abbandonare i centri urbani a causa di un clima cambiato drasticamente, la stessa cosa è accaduta nella Mesopotamia settentrionale, in Egitto, in India e in Cina.

«Il crollo di questa civiltà coincide con un evento di portata globale chiamato “4.2”», spiega Novoa, citando la teoria dell’evento «4.2kiloyear», un periodo di grave cambiamento climatico in tutto il mondo che ha avuto luogo 4.200 anni fa.

Nel filmato Shady afferma che Caral è importante per il «significato e il simbolismo» che i suoi abitanti hanno lasciato. La regista indica i fregi della città caral di Vichama dove gli archeologi hanno trovato rilievi che rappresentano figure umane deperite e sofferenti la fame a causa della siccità. Accanto, un fregio raffigura un rospo che emerge dalla terra: nell’ideologia andina il rospo simboleggia la fertilità, l’acqua e l’umidità in segno di speranza.

Maria Luisa Del Río, 24 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

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