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Michelangelo Pistoletto, «Nido», 2021

Photo: Andrea Rossetti. Courtesy Galleria Continua

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Michelangelo Pistoletto, «Nido», 2021

Photo: Andrea Rossetti. Courtesy Galleria Continua

Pistoletto: «L’arte è l’espressione più sensibile e integrale del pensiero»

Dialogo tra l’artista e il curatore della mostra «UR-RA, Unity of Religions / Responsibility of Art», alla Reggia di Monza dal primo novembre al 31 ottobre 2026

Michelangelo, nel lavoro comune per «UR-RA» (catalogo Allemandi), mi sono reso conto di quanto lo spirituale attraversi tutto il tuo percorso. Già nelle serie pittoriche «Chiesa» e «Il Tempio» (1957-58) si percepisce questa tensione. Lavorando insieme, mi pare che l’arte appaia sempre più una forza di relazione, capace di tenere unito ciò che nella storia si è separato: il sacro e il quotidiano, l’individuo e la collettività. 
Ti rispondo con la prima frase del «Progetto Arte» che ho presentato a Monaco e Pistoia nel 1994: per me l’arte è l’espressione più sensibile e integrale del pensiero, ed è tempo che l’artista prenda su di sé la responsabilità di porre in comunicazione ogni altra attività umana, dall’economia alla politica, dalla scienza alla religione, dall’educazione al comportamento, in breve, tutte le istanze del tessuto sociale.

La mostra accoglie il pubblico con due grandi stele di granito: sulla prima è inciso in oro il titolo «UR-RA, Unity of Religions / Responsibility of Art», sulla seconda le parole «UN-UH- UR, United Nations-United Humans-Unity of Religions». Due dichiarazioni che, già nel loro silenzio lapideo, propongono una grammatica della convivenza, un messaggio che unisce differenze.
La parola «religione» significa «re-ligare», cioè unire, connettere le persone in percorsi di sviluppo edificante della società. L’opera d’arte, oggi, deve realizzarsi attraverso un’edificazione capace di opporsi alla mortificazione prodotta dalle guerre religiose, politiche ed economiche che continuano a fare strage degli esseri umani.

Abbiamo voluto accostare la «Pietra dell’Infinito», il tuo celebre «Metrocubo d’Infinito» del ciclo «Oggetti in meno» (1966), alla «Tavola Interreligiosa per la Pace Preventiva», pensata come incontro tra le diverse fedi. L’una nasce dalla tua intuizione originaria, l’altra dal dialogo attorno alla necessità di un terreno comune, di un luogo condiviso. In questo confronto tra materia e parola, corpo e spirito, silenzio e relazione, sembra racchiusa la tensione vitale di «UR-RA». 
«Il Metrocubo d’Infinito» è un cubo fatto di sei lastre di pietra, specchianti rivolte verso l’interno. Il cubo riproduce dentro a sé stesso, specularmente, l’infinito, immettendo così nel corpo fisico, lapideo, la trascendenza spirituale coesistente in ogni diversa religione. Come la Pietra Nera dell’Islam, la pietra tombale di Cristo, il Muro del Pianto della religione ebraica o il Monolite di 2001 Odissea nello spazio di Kubrick. La Pietra «Metrocubo d’infinito», nella mostra «UR-RA», è testimone fisico e intellettuale della «Tavola Interreligiosa per la pace preventiva» firmata dai rappresentanti delle quattro grandi religioni, Induismo, Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo.

Quindi nella tua ricerca l’arte ha progressivamente trasceso l’opera individuale per divenire una forma di relazione, una responsabilità condivisa. Se, come crediamo entrambi, l’arte è il fenomeno originario dell’umano, la matrice stessa che ci rende capaci di creare senso, società e mondo, allora potremmo chiederci: oggi l’arte è ancora un linguaggio dell’artista o è divenuta una forza generativa, capace di trasformare la realtà e costruire comunità?
Essere parte dell’arte non significa soltanto ammirarla o contemplarla, ma agire attraverso di essa, diventarne attori, creatori, costruttori. L’arte non è più solo l’atto di un singolo individuo che crea la propria opera, ma è l’opera collettiva dell’umanità intera che, artisticamente, crea la società. L’arte moderna ha portato l’arte sul bordo della vita sociale, dove, con l’opera specchiante, l’individuo non risponde più soltanto alla propria identità, ma si unisce all’identità degli altri per formare un organismo comune. In questo senso, l’artista, e con lui ogni essere umano, assume la responsabilità di mettere in comunicazione i diversi ambiti dell’esistenza. L’arte è allora il riconoscimento della libertà creativa dell’essere umano unita alla consapevolezza della sua responsabilità. La sua elevazione metafisica è fondamentale: «meta» significa «oltre» e «fisico» è ciò che esiste concretamente. L’arte unisce questi due piani, la fisicità e la spiritualità, e li tiene in continua relazione. Questo principio è rappresentato dal Terzo Paradiso, la Formula della Creazione: una linea che, intersecandosi due volte, genera tre cerchi. I due cerchi esterni rappresentano gli elementi opposti, mentre nel cerchio centrale, un vuoto che non è mai vuoto, gli opposti si incontrano, si fondono e danno vita a un terzo elemento, qualcosa di nuovo che prima non esisteva. Ecco cos’è la creazione: la genesi dell’universo fisico e, insieme, dell’universo immaginario.

«Il Codice Trinamico», che dà il nome alla sala dei convegni di «UR-RA», è un’opera composta da sei teli che, insieme, tessono un ambiente, lo spazio del pensiero e dell’ascolto, dove le visioni del mondo si incontrano e si intrecciano. È un’opera ambientale che crea un campo in cui la riflessione stessa diventa non solo esperienza estetica, ma anche teorico-scientifica. 
Nei grandi teli la formula della creazione è dedicata ai colori, alle parole e ai segni. Nei tre cerchi abbiamo sempre colori differenti. Nei due circoli opposti e per ogni coppia di colori differenti abbiamo sempre nel circolo centrale un colore nuovo dato dalla combinazione dei due. Con il colore si dimostra così che ogni incontro tra elementi diversi genera un elemento nuovo e inedito. Nei grandi teli abbiamo assegnato a ogni colore una parola corrispondente a un segno da me inventato. Le parole corrispondenti ai colori opposti sono anch’esse opposte e i loro segni sono segni opposti, tracciati nei cerchi corrispondenti. Nel cerchio centrale di ogni disegno formula, dove nasce il terzo colore, ho inserito un terzo segno inedito che rappresenta l’unione dei due segni opposti. Tutti insieme questi segni differenti congiunti in un terzo segno costituiscono il «Codice Trinamico» che si estende all’infinito.

Lavorando accanto a te, ho compreso che il «Quadro Specchiante» non è soltanto una soglia visiva, ma un dispositivo ontologico. Nel riflesso non si tratta solo di rappresentare il mondo, ma di rigenerarlo ogni volta, restituendogli una nuova forma di coscienza. 
Il «Quadro Specchiante» apre tutto il percorso connettivo tra l’esistenza fisica e l’esistenza virtuale. Davanti all’opera, lo spettatore vede la propria immagine insieme a quella di tutti gli altri esseri che possono essere rispecchiati nello stesso spazio. Così, l’individuo pensante diventa moltitudine e la moltitudine si manifesta come molteplicità di individui pensanti. Ogni persona che entra nel quadro assume una parte di responsabilità nel rapporto interindividuale che, estendendosi, diventa società. E la società si costruisce attraverso regole che gli esseri umani, a partire dall’esperienza dell’immagine, del riflesso, della virtualità, imparano a comporre per potersi intendere. Con le nostre parole, le nostre azioni, le nostre regole, noi continuamente riattiviamo lo specchio: lo facciamo vivere, lo trasformiamo in parola, in suono, in immagine, in legge, in organizzazione sociale. Lo specchio diventa così la matrice del linguaggio e della convivenza, il luogo dove la realtà e la sua rappresentazione si fondono nel nostro atto creativo.

Nella tua arte spesso la domanda precede la risposta e a volte la contiene. L’opera «C’è Dio? Sì, ci sono!» sembra riassumere in un’espressione l’intero percorso che attraversa «UR-RA»: una domanda che si fa presenza, un’assenza che si fa affermazione. 
Dio mi è stato trasmesso attraverso una concettualità che esisteva prima di me, una costruzione simbolica, preparata e condivisa da chi mi ha preceduto. È quindi una necessità comune, non individuale. Mi sono chiesto: qual è questa necessità collettiva che spinge gli esseri umani a dare un nome a qualcosa che, pur essendo certezza d’esistere, appare necessario immaginare? Non è sicuro che Dio esista, ma è sicuro che gli esseri umani hanno bisogno di un principio simbolico posto al di sopra di tutti gli elementi fisici per potersi intendere, per trovare un accordo comune. L’idea di Dio è dunque astrazione pura, un concetto che si eleva dal fisico ma, attraverso il pensiero, torna al fisico e lo riorganizza. È una concettualità condivisa. Dio è un’intesa superiore che sovrasta e unisce tutto ciò che è materiale. Per potersi intendere l’umanità ha bisogno di un simbolo che consente, come in una fioritura primaverile dell’intesa sociale, di organizzare tutti gli altri simboli necessari alla comprensione. Dunque, la religione, in questo senso, porta un linguaggio, un sistema di segni che ci permette di riconoscere insieme l’oltre e di farne quotidianamente esperienza comune.

Nella mostra la «Tavola Interreligiosa per la Pace Preventiva» riunisce i rappresentanti delle grandi religioni del mondo e noi laici attorno a un unico gesto, un atto d’intesa. Mi ha sempre colpito come tu definisca la «Pace Preventiva» non solo come un obiettivo politico o etico, ma come un’invenzione necessaria per raggiungere la connotazione di umano. 
La «Pace Preventiva» non è un’utopia, è un dispositivo di generazione del senso. La natura procede nutrendosi di sé stessa, non ha morale. La natura dunque è spietata, così come è spietata la guerra. Io porto come esempio di pace preventiva le leggi che regolano gli sport del mondo, perché la regola fondamentale di ogni attività sportiva è non uccidere l’essere umano. È una legge concepita dall’umanità come un atto di creazione rivoluzionaria di pietà rispetto alla spietatezza della predazione naturale riprodotta dall’umano con la legge «homo homini lupus». La competizione è inevitabile, per natura, ma la legge sportiva viene usata ai fini del continuo successo della pace. La vittoria è sempre imparziale, ma necessita della competizione, dunque, la competizione che esclude l’uccisione dell’essere umano è la creazione della pace, che diviene sinonimo di vittoria. Un contendente necessita dell’altro per dare il meglio di sé. L’altro non è un nemico da abbattere, ma l’amico necessario per la partita della vita. Anche per le religioni è necessario condividere una legge che metta in pratica il comandamento «non uccidere» (l’essere umano) dunque guidare le società nel percorso della «pace preventiva».

Francesco Monico, 01 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Pistoletto: «L’arte è l’espressione più sensibile e integrale del pensiero» | Francesco Monico

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