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Architrave maya scolpita da Chakalte’ verso il 770 d.C. raffigurante il signore di un centro minore in atto di offrire un copricapo a Scudo Giaguaro IV, re di Yaxchilan, Cultura maya, Periodo Classico (300-900 d.C.)

Courtesy of The Metropolitan Museum of Art

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Architrave maya scolpita da Chakalte’ verso il 770 d.C. raffigurante il signore di un centro minore in atto di offrire un copricapo a Scudo Giaguaro IV, re di Yaxchilan, Cultura maya, Periodo Classico (300-900 d.C.)

Courtesy of The Metropolitan Museum of Art

Riapre con un nuovo allestimento la Michael Rockefeller Wing del Met

Chiusa dal 2021 per lavori, l’ala riservata all’arte dell’Africa, dell’Oceania e delle Americhe sarà nuovamente accessibile dal 31 maggio. La sua apertura nel 1982 fu un capitolo chiave nella storia dell’arte mondiale. «Nel corso dei millenni, le tradizioni artistiche indigene sono emerse, sono fiorite e si sono evolute anche dopo l’invasione europea», spiega la curatrice Joanne Pillsbury

Antonio Aimi

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Dopo quattro anni di lavori il prossimo 31 maggio il Metropolitan Museum of Art (Met) di New York riaprirà la Michael Rockefeller Wing, la sezione del museo riservata all’arte dell’Africa, dell’Oceania e delle Americhe. Questa parte del museo, che prende il nome dal figlio del magnate, politico e collezionista Nelson Rockefeller, costituisce uno dei musei di antropologia più importanti del mondo, sia per la rilevanza delle sue collezioni, sia per le attività di ricerca che svolgono i curatori e che il museo promuove. Negli spazi espositivi, che arrivano a oltre 3.700 metri quadrati, sarà possibile ammirare circa 1.800 opere. Dato che, nonostante la chiusura di questa sezione, il Met ha continuato ad acquisire nuovi reperti, aprendosi anche a opere di artisti contemporanei, il nuovo allestimento consentirà di vedere per la prima volta anche le nuove opere del museo. Della riapertura della Michael Rockefeller Wing, abbiamo parlato in esclusiva per i lettori de «Il Giornale dell’Arte» con Joanne Pillsbury, curatrice della sezione delle Arti delle Antiche Americhe.

Perché si è deciso di fare il nuovo allestimento della Michael Rockefeller Wing, anche se, a mio parere, la museografia di questa sezione era molto più bella di quella di tanti altri musei di antropologia dell’Europa e dell’America?
L’apertura di questa sezione nel 1982 è stata una svolta nella storia del Met e per la storia dell’arte, perché ha rappresentato l’accettazione dell’antica arte americana come presenza permanente e continua nel museo, inaugurando così un capitolo chiave nella storia dell’arte mondiale. Infatti, fino ad allora le opere delle popolazioni indigene dell’America Latina anteriori al XVII secolo erano in gran parte, anche se non esclusivamente, presentate nei musei di antropologia o di storia naturale. Pertanto, la decisione del Met di presentare queste opere come «arte» ha trasformato le istituzioni museali e il settore, spingendo nuove generazioni di storici dell’arte a prendere in esame le grandi, ma ancora poco studiate, tradizioni artistiche delle «Antiche Americhe». Dopo quarant’anni però questa parte del Met cominciava a mostrare la sua età. Per questo, tanto per fare un esempio, la parete della facciata rivolta a sud è stata sostituita da una nuova struttura, che filtra la luce del giorno in modo più efficace e molto più efficiente dal punto di vista energetico. Ma non era invecchiato solo il «contenitore» della Rockefeller Wing, lo stesso valeva per l’allestimento e le informazioni che eravamo in grado di fornire al nostro pubblico, dato che alcune delle più importanti scoperte nel nostro campo si sono verificate dopo il 1982. Limitandomi alle Americhe, posso ricordare la scoperta del 1987 della tomba del Signore di Sipán, la decifrazione della scrittura maya, i ruoli recentemente compresi delle donne di potere, inclusa la scoperta della Señora de Cao (una sovrana della Costa Nord dell’antico Perù, Ndr) e così via. Pertanto, avevamo bisogno di presentare la nostra collezione in modi che tenessero conto di queste nuove ricerche. E lavorando in collaborazione con studiosi provenienti da tutte le Americhe, abbiamo potuto gettare nuova luce su quanto hanno fatto gli artisti che hanno lavorato nell’emisfero occidentale prima del XVII secolo.

Nel nuovo allestimento come presentate i capolavori del «Pittore del Metropolitan», importante pittore vascolare maya?
Noi siamo fortunati a conoscere i nomi di molti degli artisti che hanno creato le opere delle gallerie dedicate alle arti dell’Africa e dell’Oceania. In alcuni casi, anche se non conosciamo il nome dell’artista, possiamo però riconoscere la mano. Questo è il caso di un pittore di eccezionale talento, che prosperò nell’area maya nell’VIII secolo. Conosciuto come il «Pittore del Metropolitan», dato che il suo lavoro è stato per la prima volta individuato in un vaso del Met, ha realizzato opere eccelse nella cosiddetta pittura di «stile codice». Nel vaso che ha consentito di individuarlo, ha dipinto Chahk, il dio della pioggia dei Maya, che danza sollevando il piede sinistro puntando graziosamente in avanti il piede destro. Ma dato che questo artista ha disegnato Chahk anche su una ciotola del Met, abbiamo deciso di presentare questi due reperti nella stessa vetrina, in modo che i visitatori possano girarci attorno e ammirare le scene nelle quali il dio è raffigurato.

E come esponete i capolavori degli altri artisti individuati?
Tra le opere delle nuove gallerie ne abbiamo solo una che porta il nome di un artista. Si tratta di un architrave in bassorilievo che conserva ancora parte del suo pigmento originale e che fu scolpita da un artista maya attivo alla fine dell’VIII secolo noto come Chakalte’. Quest’opera presenta una scena di corte nella quale un signore di un centro minore offre un elaborato copricapo a Scudo Giaguaro IV, il sovrano del potente Regno di Yaxchilan, seduto su un trono sulla destra. Anche se, ovviamente, il nome del re di Yaxchilan è quello più in evidenza ed è scritto appena sopra il copricapo, quello dell’artista è proprio accanto a quello del re. Si tratta di un fatto che ci conferma l’importanza degli artisti nelle corti reali maya.

Nella sezione dell’Oceania sono esposte anche opere delle Filippine e dell’Indonesia?
Sì. Nelle gallerie dedicate all’arte oceanica saranno presentate opere provenienti da Taiwan, dalle Filippine e dall’Indonesia perché, come osservano le colleghe Maia Nuku ed Evelyn Hall insieme a John Friede, che si occupano dell’arte oceanica, «le opere provenienti dal Sud-Est asiatico insulare mettono in evidenza gli importanti legami che si sono stabiliti 3.500-5mila anni fa tra l’Oceania e le culture di lingua austronesiana. Coerentemente, quindi, il nuovo allestimento dell’arte oceanica è stato concepito per sottolineare le risonanze visive di queste relazioni fondamentali».

Avendo coinvolto artisti contemporanei dell’Africa e dell’Oceania, avete lavorato anche con artisti del Messico e del Perù?
Dato che le gallerie dedicate alle arti delle Antiche Americhe sono adiacenti alle gallerie dedicate all’Arte Moderna e Contemporanea speriamo che tra queste sezioni ci sia un dialogo che consenta ai visitatori di riflettere su millenni di produzione artistica in America Latina. 

Nella sezione sull’Antica America come illustrate la conquista spagnola?
Anche se la colonizzazione europea, le guerre e le conseguenti malattie provocarono un collasso demografico, nei secoli le comunità indigene e i loro artisti si sono dimostrati resilienti, a volte resistendo e a volte adattandosi alle mutevoli correnti globali. Diverse opere delle nuove gallerie ci ricordano le tradizioni durature delle Americhe, dai tessuti di stile inca, prodotti nel periodo dei viceré per ornare figure di Gesù Bambino, alle spille d’argento di stile tradizionale con l’emblema degli Asburgo. La mia collega e cocuratrice Laura Filloy Nadal ha mostrato ad esempio come tracce della storia della colonizzazione e di un nuovo contesto globale possano essere individuate in una grande ciotola di proprietà del Met. In particolare, posso segnalare che questo reperto testimonia le rotte commerciali appena stabilite nell’Atlantico e nel Pacifico, dato che questa tipologia, tipica della Spagna musulmana, fu realizzata in Messico da immigrati dall’Andalusia, che utilizzavano la tecnica di smaltare la terracotta con lo stagno, trasformando la città di Puebla in un importante centro di produzione per questo stile popolare. Inoltre, la decorazione bianca e blu di questa grande ciotola riflette l’influenza della porcellana cinese, che arrivò in grandi quantità nelle Americhe insieme ad altri prodotti dall’Asia. Nella sostanza, posso dire che nei reperti che presentiamo in queste nuove gallerie appare evidente che, nel corso dei millenni, le tradizioni artistiche indigene sono emerse, sono fiorite e si sono evolute, anche dopo l’invasione europea.

Un render di una delle sale dedicate alle Arti delle Antiche Americhe. Courtesy of The Metropolitan Museum of Art. Photo: Why Architecture

Antonio Aimi, 23 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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