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Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliUna delle meraviglie del Barocco romano, la Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria eseguita da Gianlorenzo Bernini alla metà del Seicento per il cardinale Federico Cornaro, ha recuperato il candore originale grazie alle insistenti richieste rivolte dai Carmelitani Scalzi, che gestiscono la chiesa ab origine, sia al Fondo edifici di culto del Ministero dell’Interno (Fec) cui la chiesa appartiene, sia all’ex Soprintendenza Psae e Polo museale di Roma, che si è poi fatta carico del restauro.
Il cantiere è partito il 22 dicembre 2014 con uno stanziamento di appena 21mila euro dell’ex Soprintendenza diretta da Daniela Porro per un’azione di pulitura del gruppo centrale con l’angelo e santa Teresa d’Avila, di cui quest’anno si festeggia il V centenario della nascita, e dei due palchetti laterali con i membri della famiglia Cornaro.
In realtà, nonostante i fondi irrisori, si è andati ben oltre con interventi su marmi, travertini e stucchi, dall’architrave al pavimento. Risaliva al 1996 l’ultimo restauro, guidato da Adriano Luzi con la consulenza di Paolo e Laura Mora. In quell’occasione erano state asportate le dorature ai capitelli e al cornicione della chiesa volute a fine Ottocento dai Torlonia recuperando il «bel composto», come lo definì il biografo di Bernini Filippo Baldinucci, ossia la fondamentale unitarietà tematico-visiva tra pittura, architettura e scultura.
Oggi, sotto la direzione di Lia Di Giacomo, Giuseppe Mantella e Sante Guido hanno proceduto con pazienza e cautela, utilizzando pennelli, tamponcini, impacchi d’acqua distillata e solo in certi casi l’acetone, per rimuovere lo spesso strato di particolato (la porta della chiesa si apre di fronte a un trafficato semaforo di via XX Settembre), ma anche le resine acriliche e le tracce di colle animali. Acqua piovana era inoltre filtrata dall’oculo aperto da Bernini per far piovere in verticale la luce sul gruppo centrale.
Per scolpire l’angelo e la santa in estasi su uno strato di nuvole in stucco Bernini scelse un blocco unico di eccelsa qualità di marmo di Carrara, di trasparenza quasi alabastrina. A reggere il tutto (le figure sono in parte scavate per alleggerirne il peso) ci sono il piedistallo in travertino sagomato ad arco, dove si è scoperto che una nuvola in stucco era stata malamente ridipinta riprendendo la cornice del fondo, una mensola murata, che si è rivelata un gradino di recupero, e un gancio.
Il fatto che certe figure siano rifinite anche nelle parti non visibili, solitamente appena sbozzate, si deve probabilmente alla decisione da parte dell’artista di lasciarsi un margine di manovra nel posizionamento finale del gruppo. Non sono originali, ma era noto, né la raggiera in legno dorato né il dardo dell’angelo; sono invece da ascriversi a Bernini alcuni aggiustamenti che lo portarono a spezzare e riposizionare il pollice della mano destra dell’angelo e quello (forse non il solo) della mano destra di Teresa, per una migliore visione dal basso.
È stato restaurato anche il finora anonimo paliotto d’altare con la scena dell’Ultima Cena che si è riscontrato per molti elementi affine al fregio dell’altare maggiore della Cocattedrale di San Giovanni a La Valletta attribuito al romano Girolamo Lucenti.
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