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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliMolto atteso il convegno «Progetto Brancacci 2021-2024» che si terrà il 15-16 aprile per dare conto degli esiti dell’intervento di restauro al ciclo di affreschi di Masolino, Masaccio e Filippino Lippi nella Cappella Brancacci della Chiesa di Santa Maria del Carmine, a Firenze, che ha condotto alla scoperta di caratteri materici ignoti in quel contesto figurativo.
Tutto ha avuto inizio a seguito delle indagini svolte nel novembre 2020 dalla Soprintendenza di Firenze, in collaborazione con il Comune di Firenze, concessionario della Cappella, che avevano rilevato alcune criticità sulla parete destra, dov’era stato rilevato il distacco di un piccolo frammento di pellicola pittorica dalla scena con la «Disputa di Simon Mago», dipinta da Filippino Lippi agli inizi degli anni Ottanta del Quattrocento. Una prima analisi, svolta dall’Ispc-Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Cnr, Centro Nazionale delle Ricerche, aveva confermato la necessità non solo di intervenire prontamente per stabilizzare i distacchi, ma soprattutto di sviluppare lo studio delle cause. Nel maggio 2021 era stato sottoscritto un protocollo di intesa tra gli enti coinvolti, cui era seguita a giugno la firma di un primo accordo con la Fondazione Friends of Florence e la Jay Pritzker Foundation per il sostegno della prima fase di indagini scientifiche. La disponibilità delle risorse aveva permesso al Comune di stipulare a settembre 2021 una convenzione per la progettazione e l’esecuzione delle attività di diagnostica e monitoraggio con I’Ispc-Cnr e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Firenze, Prato e Pistoia. Il complesso sistema di ponteggi messo a punto, dotato di un impianto elevatore montato su più piani, aveva anche garantito visite pubbliche della cappella e l’accessibilità anche a fruitori dotati di ridotte capacità motorie.
L’ultimo restauro della Cappella Brancacci risaliva al 1984, concluso nel 1990, curato dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma diretto da Umberto Baldini, compiuto da Ornella Casazza e sponsorizzato dalla Olivetti, che si erano trovati a operare in un contesto che aveva subìto varie alterazioni fin dal Settecento. La volta a crociera, dove in origine erano i quattro Evangelisti di Masolino, danneggiata da infiltrazioni d’acqua, era stata sostituita da una cupoletta affrescata da Vincenzo Meucci. Dello stesso Masolino erano stati poi scialbati gli affreschi dei lunettoni laterali per lasciare posto alle finte prospettive di Carlo Sacconi. La bifora gotica, ai cui lati erano gli affreschi con «San Pietro piangente» di Masaccio e «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore» di Masolino, era stata sostituita da una più ampia di gusto barocco. Nel corso del restauro erano state però recuperate le sinopie, ora esposte nel museo del Convento del Carmine, come pure eran state rimosse le foglie di fico sulle nudità di Adamo ed Eva, censurate, nel 1734. Il danno più consistente subìto dalla cappella risale all’incendio del 1771, e il restauro degli affreschi, anneriti dal calore e dal fumo, era stato all’epoca promosso e sostenuto da Anton Raphael Mengs. Dopo il trasferimento in Francia dei Brancacci nel 1780, il patronato della cappella era passato al canonico marchese Gabriele Riccardi, promotore di un ulteriore rinnovamento nel 1782. Da allora c’era stato solo un semplice intervento di manutenzione nel 1904.

Un particolare degli affreschi della Cappella Brancacci durante le analisi diagnostiche
Ad Alberto Felici, restauratore dell’Opificio delle Pietre Dure e dal 2019 in servizio alla Soprintendenza, e a Cristiano Riminesi, ricercatore dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Cnr, responsabile della sede secondaria di Firenze, che hanno avuto in cura per oltre quattro anni uno dei cicli in assoluto più importanti della storia dell’arte occidentale, chiediamo di raccontarci come è stato condotto l’intervento, che ha coinvolto un’équipe in cui spiccano Sara Penoni dell’Opd, Barbara Salvadori del Cnr e Rodorico Giorgi della facoltà di Chimica dell’Università di Firenze. Ben sapendo però che gli esiti più sorprendenti verranno comunicati solo nel corso del convegno, prezioso momento di confronto tra storici dell’arte, chimici, geologi, restauratori, conservatori.
«Il restauro si è mosso seguendo due binari: da una parte la pulitura che era iniziata con l’impiego di un gel innovativo, formulato dai ricercatori del Csgi presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, ma che, dopo una serie di prove, tutto il gruppo di lavoro ha ritenuto non essere attività necessaria da estendere a tutti gli affreschi: ogni intervento comporta uno stress per l’opera, quindi abbiamo attenzionato alcune aree campione e nel tempo valuteremo come procedere. L’altro binario riguarda la stabilizzazione dei distacchi, cercando di capire se il problema stesse nella struttura muraria o nei materiali usati nel corso dell’ultimo restauro. La struttura si è rivelata stabile, ma va incontro a fisiologici aggiustamenti. Una volta individuati i distacchi, li abbiamo stabilizzati con le malte adesive usate anche nel precedente restauro, ma studiando quella “ricetta” per adattarla alle esigenze attuali, rendendola quindi compatibile a seconda dei punti in cui il distacco è superficiale (dove si usa un materiale a granulato più fine) o più profondo (materiale a granulato più grosso). Le parti più a rischio erano nel “San Pietro che risana lo storpio” e nel “Miracolo di Tabita” dipinti da Masolino».
Un ruolo determinante, nella valutazione attuale e nel monitoraggio futuro, è stato svolto dalla sofisticata diagnostica messa a punto dal Cnr, con strumentazione da terra, «sia per identificare, spiega Riminesi, i distacchi superficialmente, nell’estensione dell’area distaccata, sia per localizzare il distacco in profondità. Questo risultato della diagnostica ha consentito ad Alberto Felici e ai colleghi restauratori di agire in modo circostanziato con le malte adesive. Sono sistemi non invasivi, ripetibili e confrontabili che forniranno anche in futuro, e ribadisco da terra, informazioni che vanno dalla pellicola pittorica fino alla muratura».
E quali sono questi strumenti? «Sono tre. Si parte da una termografia a infrarossi, prosegue Riminesi, che compie uno screening iniziale, su larga scala, per poi concentrarsi sulle aree in cui ci sono i problemi. Lì si induce un aumento di temperatura di uno e due gradi che provoca una leggera vibrazione dell’intonaco, letta da un interferometro laser speckle (digital holographic speckle pattern interferometry), che misura gli spostamenti micrometrici della superficie: le aree distaccate vibrano in modo diverso rispetto alle altre e da queste differenze capiamo come sono distribuiti superficialmente i distacchi. Infine, si usa il riflettometro a microonde per leggere in profondità».

Un particolare degli affreschi della Cappella Brancacci durante le analisi diagnostiche
Rispetto ai restauri degli anni Ottanta, avete trovato qualcosa che poteva esser fatto diversamente? «Il restauro era stato condotto a regola d’arte, commenta Riminesi, solo che l’opera è come una persona anziana il cui stato di salute è rimasto buono, ma va monitorato e sottoposto a interventi di manutenzione». E Felici aggiunge: «La pulitura attuale della pellicola pittorica è stata finalizzata solo a rimuovere particellato per ritrovare più luminosità cromatica e rimuovere ritocchi alterati. Nulla di sostanziale. Nel restauro contemporaneo non ci sono più interventi definitivi, si procede in maniera non invasiva operando un controllo misurato nel tempo. E comunque, nel passato, non esistono “cattivi” restauri: si agisce sempre per il meglio con le conoscenze del momento, solo che ogni restauro va contestualizzato al tempo in cui è stato eseguito. L’indirizzo di oggi è sempre quello di andare indietro, di vedere se le scelte fatte sono state adeguate, ma senza colpevolizzare nessuno. Ci tengo però a sottolineare che il restauro non ha riportato il ciclo della Brancacci a originale splendore, perché quello non può essere mai restituito. La prima preoccupazione di ogni intervento è la conservazione e la comprensione delle ragioni di certi danni. La cosa straordinaria in questo cantiere è stato che molti degli attori di allora si sono ritrovati allo stesso tavolo. Io stesso c’ero, anche se all’epoca ero ancora studente». Riminesi ride: «Più che altro, allora avevi i riccioli!».
Il convegno rivelerà novità attributive? Masaccio è sempre Masaccio, Masolino è Masolino. E Filippino? È lui? «Da un punto di vista storico artistico no, gli autori sono sempre quelli, spiega Felici, ma le indagini e il restauro hanno fornito delle informazioni che svelano tecniche di esecuzione che fino ad oggi non immaginavano potessero essere utilizzate da parte di questi maestri. Elementi capaci di fornire una nuova chiave di lettura e di aprire nuovi orizzonti, non solo sulla loro tecnica, ma più in generale su quella di altri artisti del Quattrocento. Tutto questo era sotto i nostri occhi, ma non avevamo prima gli strumenti per vederlo».
Il convegno, che sarà aperto da Alberto Felici per illustrare le ragioni del progetto e sarà moderato, nella sessione iniziale, dalla soprintendente dell’Opd, Emanuela Daffra, si articola dunque in due giornate: la prima nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio è dedicata a «Vicende conservative e tecniche esecutive», la seconda a «Intervento di restauro e valorizzazione», nella Sala Vanni del Convento di Santa Maria del Carmine. La mattina del 15 saranno ripercorse le vicende conservative della cappella, alla luce anche di precisazioni emerse dalle fonti di archivio, fino all’intervento degli anni Ottanta. Nel pomeriggio, restauratori e storici dell’arte entreranno nel merito delle tecniche esecutive. Il 16 ci si concentrerà sui materiali e gli strumenti usati per il restauro, su progettazione e formulazione per nuovi interventi conservativi, su nuovi metodi per la valorizzazione e la diffusione dei risultati ad addetti ai lavori ma anche non esperti, fino a chiarire che cosa si intenda per conservazione preventiva, con proposte di monitoraggio.

Una veduta della Cappella Brancacci nella Chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze
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