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Statua di Sabina, rubata e restituita all’Italia dal Museum of Fine Arts di Boston nel 2006 (particolare)

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Statua di Sabina, rubata e restituita all’Italia dal Museum of Fine Arts di Boston nel 2006 (particolare)

Si chiama «Mola» ed è un database di opere trafficate

Sono più di 860 i casi di rimpatrio su oltre un milione di oggetti registrati dalla nuova piattaforma delle antichità saccheggiate, un archivio enciclopedico per smascherare mercato nero e contrabbando

Elena Goukassian

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Negli ultimi tempi il numero di antichità restituite dai musei e rientrate nel loro luogo d’origine è cresciuto in modo ragguardevole. Solo a New York, istituzioni come il Metropolitan Museum of Art organizzano con regolarità cerimonie ufficiali di rimpatrio, mentre l’Unità per il Traffico di Antichità dell’Ufficio del Procuratore Distrettuale di Manhattan è costantemente impegnata nel controllo delle collezioni e nel sequestro di oggetti acquisiti illegalmente in tutti gli Stati Uniti. Sebbene non manchino le informazioni sulle singole opere rimpatriate, il quadro più ampio della loro provenienza e delle modalità di restituzione, di chi le restituisce e del perché, può perdersi negli aneddoti. 

È qui che entra in gioco il Museum of Looted Antiquities (Mola), una nuova piattaforma digitale che non solo traccia la storia dei singoli oggetti rimpatriati, ma tiene conto anche dei metadati per comprendere meglio le reti di contrabbando e l’intensificarsi degli sforzi di rimpatrio da parte dell’industria museale. «Raccolgo dati sui rimpatri da quasi vent’anni e ho pensato che dovessero diventare un database pubblico, spiega il fondatore di Mola, Jason Felch. È un lavoro che mi appassiona». Felch è stato a lungo reporter investigativo per il «Los Angeles Times» e coautore del libro Chasing Aphrodite: The Hunt for Looted Antiquities at the World’s Richest Museum (sul J. Paul Getty Museum) del 2011. «Scrivevo sempre di rimpatri e volevo passare dall’aneddotica all’analisi dei dati e alla comprensione delle linee di tendenza». 

Inaugurato ufficialmente nel corso dell’estate, Mola è un museo nel suo significato primario: una collezione d’arte come strumento educativo per un vasto pubblico, nonché un deposito di informazioni per i ricercatori del settore (Felch ha anche creato un’associazione non profit per raccogliere fondi e richiedere sovvenzioni). Mola definisce le «antichità saccheggiate» come «scavate illegalmente, sottratte durante i conflitti coloniali, rubate da collezioni documentate o rimosse senza il permesso delle comunità indigene» e trafficate attraverso il mercato dell’arte. La maggior parte dei manufatti ha più di 100 anni e, per essere aggiunti al database, i rimpatri devono essere avvenuti a partire dal 1950. Il database comprende non solo ciò che tradizionalmente è considerato un’antichità, ma anche resti nativi precedentemente conservati in collezioni museali. Per Mola l’importanza degli oggetti per le loro culture d’origine è il fattore più significativo.

Più di un milione di oggetti

Il database di Mola contiene più di 860 casi di rimpatrio per un totale di oltre un milione di oggetti, di cui circa un centinaio è attualmente in mostra. Il numero cresce sia perché i rimpatri continuano ad avvenire, sia grazie alla comunità mondiale di storici dell’arte, archeologi e ricercatori, che inviano i dettagli dei casi più o meno noti. Tutti i contributi sono sottoposti a un processo di peer-review e, quando vengono pubblicati nuovi oggetti, le fonti di informazione sono chiaramente indicate

Felch ritiene che Mola «colmi un’importante lacuna» nella disponibilità di informazioni pubbliche sulle opere rimpatriate. I musei possono cancellare le registrazioni degli oggetti restituiti dai loro siti web (le citazioni di Mola spesso includono link a pagine ormai defunte conservate nell’Internet Archive), escludere i prezzi delle aste e delle vendite precedenti nei loro annunci o essere generalmente restii a fornire informazioni complete su come gli oggetti siano arrivati alle istituzioni in primo luogo. Sebbene Felch apprezzi i recenti sforzi di trasparenza compiuti da istituzioni come il Met e il Museum of Fine Arts di Boston per quanto riguarda gli oggetti saccheggiati, «se avessi pensato che questo progetto fosse completo, non l’avremmo lanciato», afferma. 

In termini di metadati raccolti da Mola, forse l’insieme più significativo riguarda le reali dimensioni del mercato nero delle antichità rubate. «Stiamo raccogliendo per la prima volta dati finanziari», afferma Felch, notando che le stime sull’ampiezza del commercio di antichità illecite sono variate molto per mancanza di numeri concreti. Mola ha documentato 1,6 miliardi di dollari di antichità saccheggiate nel proprio set di dati (di cui 1,3 miliardi rimpatriati dagli Stati Uniti), con un valore totale stimato di 2,5 miliardi di dollari; molti oggetti sono privi di documentazione finanziaria ufficiale, da cui la stima. «Gli Stati Uniti sono sia il più grande Paese di raccolta oltre che il più grande Paese di mercato, spiega Felch. E ora ci sono reti di polizia aggressive e un maggiore controllo giornalistico».

Distruzione delle reti di trafficanti

A causa di informazioni sensibili relative a trafficanti di antichità ancora attivi, alcuni dati di Mola non saranno resi pubblici sul sito web (perché si comporta come un museo tradizionale, con una parte della collezione «in magazzino»), ma i ricercatori di ogni ambito di studio sono invitati a richiedere l’accesso ai file su oggetti specifici. «Sono in contatto frequente con forze dell’ordine, ricercatori e collezionisti e sono felice di aiutare a trovare documenti su casi particolari, spiega Felch. L’obiettivo di Mola è quello di arrivare a ospitare i registri completi di tutti i rimpatri dal 1950, scoprendo le reti di contrabbandieri i cui nomi e affiliazioni possono essere utilizzati per identificare altre opere saccheggiate nelle collezioni istituzionali. Si tratta di smantellare le reti di trafficanti e rendere più difficile la loro attività». Felch aggiunge che Mola è già stato contattato da specialisti dell’arte saccheggiata dai nazisti, che sperano di avviare un database enciclopedico simile a quello di Mola.

Altrettanto importante è la comunità interdisciplinare che si crea nel processo. «La collaborazione è parte del vantaggio e non può essere sopravvalutata, afferma Katherine Davidson, membro del team di Mola e dottoranda in antropologia alla Carleton University di Ottawa. Non c’è nessun altro progetto come il nostro di dati open-source con una portata globale del commercio di antichità». Specializzata in Archeologia pubblica e comunitaria e in traffico e restituzione di resti umani antichi, Davidson vede Mola come parte del «progetto di riconciliazione che è il rimpatrio». Apprezza in particolare l’attenzione rivolta ai manufatti rimpatriati piuttosto che a quelli ancora dispersi. «È un buon esempio, afferma. È un evento monumentale rimpatriare gli oggetti e la gente non sa come fare. Il rimpatrio è l’inizio di una relazione tra un museo e una comunità, non la fine». «Le storie di rimpatrio sono storie che fanno star bene, aggiunge Davidson. E quest’anno, finora sono stati una settantina i rimpatri, il numero più alto in un solo anno secondo i nostri dati».

Elena Goukassian, 09 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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