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Tim Cornwell
Leggi i suoi articoliMentre la guerra civile siriana entra nel suo quinto anno, alcuni artisti coraggiosi continuano a creare ed esporre opere nel proprio Paese, nonostante le condizioni di sicurezza siano in peggioramento. «Più loro fanno la guerra, più noi creiamo arte», dice il fotografo siriano-americano Issa Touma. Sebbene molti dei più noti artisti del Paese siano fuggiti, Touma, che ha lottato per mantenere aperta l’unica galleria sopravvissuta di Aleppo, ha spavaldamente organizzato in gennaio il 12mo Festival della Fotografia di Aleppo. Il precedente spazio dell’evento, un’ex chiesa, è ora occupata dai jihadisti: egli ha quindi presentato per una settimana circa 100 opere di artisti arabi e occidentali sulle pareti della sua galleria. «Il nostro festival offre agli abitanti di Aleppo l’opportunità di soffermarsi di fronte all’arte internazionale come tutti gli altri del mondo; di sentirsi normali per un giorno», ci ha raccontato su Skype (nella foto, la «Smile Campaign» sui tetti di Aleppo). Circa 500 persone hanno visitato la mostra.
Più difficile lasciare il Paese
Anche l’artista veterano Youssef Abdelke, le cui opere sono nella collezione del British Museum di Londra, si è rifiutato di lasciare il Paese, nonostante nel 2013 fosse stato incarcerato per avere firmato una petizione che chiedeva le dimissioni del presidente Bashar Assad. «Gli artisti devono fare attenzione a quello che fanno e non possono fare commenti troppo specifici», dice un gallerista. Decidere se rimanere in Siria è tutt’altro che facile. Gli estremisti che filmano le decapitazioni «non sono solo contro l’arte, sono contro la vita stessa, tutto il resto è una conseguenza», afferma il noto artista Thaier Helal, che risiede a Sharjah, uno dei sette Emirati Arabi Uniti, e le cui opere sono state recentemente esposte a Londra. Per gli artisti che decidono di andarsene, emigrare nei Paesi limitrofi del Medio Oriente sta diventando sempre più difficile. Il Libano ha nuove regolamentazioni per i visti e i permessi di residenza rilasciati ai siriani, il Governo egiziano non è più molto ospitale e la Giordania chiede loro di dichiarare lo status di rifugiati. «Ora che sembra che il conflitto non terminerà molto presto, la situazione sta diventando così precaria nei Paesi arabi che gli artisti preferiscono guardare all’Europa», dice. Ma anche questo è tutt’altro che facile. Molti Paesi europei hanno reso sempre più difficile per gli artisti persino la concessione dei visti temporanei. Stessa cosa per gli Stati Uniti. In gennaio, a Thaier Helal è stato in un primo momento negato un visto britannico per partecipare all’inaugurazione di una mostra di sue opere presso la Ayyam Gallery di Londra. A Mohannad Orabi, di recente nominato dalla rivista «Foreign Policy» tra i 100 più importanti pensatori al mondo, è stato impedito l’accesso negli Usa per la cerimonia.
Collezione di «arte ribelle»
Nonostante le difficoltà affrontate degli artisti siriani, o forse proprio a causa di esse, la loro arte è sotto i riflettori come mai prima. Il British Museum di Londra sta acquisendo molte opere provenienti dalla Siria nel tentativo di costituire una selezione di «arte ribelle». «Le immagini sono molto potenti. Alcune sono decisamente belle, oltre a raccontare una storia drammatica», dice Venetia Porter, la viceresponsabile del Dipartimento del Medio Oriente al museo. Altri si sforzano di mantenere l’attenzione sull’arte in quanto tale, piuttosto che sui suoi messaggi politici. Questo mese, la Jalanbo Collection, un’importante collezione mediorientale privata, fondata nel 1984 da una coppia di espatriati anglo-siriani, collaborerà con l’Armory Show di New York nelle visite guidate per i collezionisti vip. Un portavoce della collezione dice che il suo scopo è di evitare una «lacuna temporale» tra generazioni passate e future nella storia culturale del Paese, preservando e fornendo accesso all’arte siriana.

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