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Silvia Mazza
Leggi i suoi articoliPalermo. Nei Beni culturali siciliani la corruzione si combatte con le rotazioni nelle Soprintendenze. È la stessa misura con cui il Comune di Roma tenta di scrollarsi di dosso l’etichetta di Mafia Capitale assegnatogli dalla Procura ai primi di dicembre. Rotazioni anticorruzione, dunque. Quelle targate Trinacria, annunciate dall’estate scorsa, sono state tradotte concretamente dai primi di novembre. Regista di questi trasferimenti, già attuati o solo annunciati, per tutte le nove le Soprintendenze (uniche su base provinciale, a differenza di quelle nel resto d’Italia circoscrizionali e tematiche), il dirigente generale (dg) del Dipartimento Beni culturali Salvatore Giglione. Sembrerebbe la conferma al topos di una regione–laboratorio, che anticipa certi scenari italiani. È, invece, è il contrasto pirandelliano tra apparenza e sostanza. Ci si appella al Piano triennale di prevenzione della corruzione (Ptpc), che stabilisce che «il principio di rotazione si applica alle aree a più elevato rischio di corruzione» e che «la durata dell’incarico dovrebbe essere fissata a cinque anni rinnovabile preferibilmente una sola volta» (cap. 4, par. 3), per agire con incomprensibile tempestività laddove non ci sono interventi della magistratura in corso (Siracusa) e, invece, prendersela con comodo o rinviare a tempi non meglio definiti, e con modalità tutte da stabilire, su scenari in cui la Procura ha rivelato azioni a nocumento del territorio e del suo Patrimonio con l’avallo degli Istituti preposti alla tutela (Agrigento e Messina). Totalmente disorientante è che per favorire un «sottobosco» (per usare un termine dell’inchiesta romana) d’interessi speculativi sul territorio si brandiscano strumenti legalitari, come appunto il Piano anticorruzione, e persino si colga l’occasione dell’inchiesta di una Procura (Agrigento) per riposizionare meglio, a quanto sembra, dirigenti, per così dire, concilianti.
Il caso Siracusa
Il 29 dicembre il Tribunale del Lavoro di Siracusa ha stabilito l’illegittimità del provvedimento di sospensione e ordinato alla Regione di riassegnare Beatrice Basile nell’incarico di soprintendente di Siracusa. Il giudice ritiene che «il provvedimento di sospensione non presenta i requisiti di validità poiché non contiene alcuna specifica descrizione dei fatti addebitati alla dirigente né il limite temporale della sua durata». Aspetto, quest’ultimo, da solo «sufficiente a invalidare il provvedimento», «irrituale» per il giudice, perché «senza la fissazione di alcun termine», potrebbe compromettere «irreparabilmente» la carriera dell’archeologa. Nella sentenza si legge, inoltre: «La notizia della sospensione ha avuto (…) ampia eco nella stampa. Il clamore pubblico della vicenda è tale da ledere l’immagine, non solo strettamente professionale, della dottoressa Basile, considerato che normalmente la sospensione del rapporto lavorativo (…) è collegata a fatti di rilievo disciplinare o, addirittura, penale».
Perde, dunque, su tutta la linea l’Assessorato dei Beni culturali siciliani. Ha torto il dirigente Giglione, che aveva sospeso l’archeologa umbra il 3 settembre scorso dopo un’ispezione per una presunta agevolazione nell’autorizzazione per una piscina prefabbricata dell’allora assessore al Territorio (a cui era transitata dai Beni culturali) Mariarita Sgarlata, che le è costata la poltrona. E anche il neoassessore Antonino Purpura, dopo tante dichiarazioni d’intenti, con tanto di nutrito dossier sul caso alla mano, ha perso l’occasione di «anticipare» la magistratura reintegrando la dirigente e dando un forte segno di volontà politica. Adesso promette il massimo interessamento per accelerare, da parte del Dirigente generale, l’emanazione del provvedimento di reintegro.
Il coordinatore dei Verdi di Siracusa, Giuseppe Patti, chiede che Giglione venga rimosso: «Siamo sempre più convinti che sia stato utilizzato il cosiddetto metodo Boffo nei confronti della dottoressa Basile con l’assurda vicenda della piscina dell’ex assessore Sgarlata». Legambiente Sicilia, intervenuta nel procedimento giudiziario a sostegno delle ragioni della ricorrente, «auspica che con questo provvedimento si chiuda finalmente una delle pagine più vergognose nella storia recente dell’Assessorato, trasformato, con il beneplacito del presidente Crocetta, in terreno per le scorrerie di alcuni personaggi politici».
Ma sui suoi passi Giglione era già dovuto tornare appena un mese prima, nell’altra vicenda (cfr. articolo online del 27 novembre 2014) che ha avuto per protagonisti altri dirigenti della Soprintendenza aretusea. Qui, per i tre dell’«editto bulgaro» emesso dal dirigente generale, Rosa Lanteri, Alessandra Trigilia e Aldo Spataro, a capo di settori «caldi» sotto il profilo della tutela, e per questo a rischio di corruzione, rispettivamente Archeologico, Paesaggistico e Architettonico, il 25 novembre, a distanza di due settimane dalla prima, viene confermata la richiesta di trasferimento immediato. Salvo scoprire che non ricoprono il proprio incarico da più di cinque anni. Contrordine, riconfermati, dunque, ma solo Lanteri e Spadaro, anche se Trigilia, che intende ricorrere, sostiene che il suo contratto da dirigente è del 31 agosto 2010, e non anteriore come si vuole, invece, dal Dipartimento. I tre, che non sono oggetto di procedimenti giudiziari, hanno dalla loro pareri negativi a progetti di edificazione in aree e siti vincolati, come il Porto storico, le 71 villette a due passi dal Castello Eurialo (un’area a ridosso della quale si sono consumate «le peggiori nefandezze e gli attentati più gravi ai danni del patrimonio ambientale e paesaggistico di Siracusa degli ultimi trent’anni», denunciava già nel 2001 Legambiente) o il villaggio turistico nella riserva della Pillirina. Per questo sono stati trascinati pure in tribunale con richieste di risarcimenti danni da centinaia di milioni. Ci ha pensato il Tar di Catania a rigettare i vari ricorsi. Ma nei loro confronti Giglione aveva fretta. Recapita le lettere di via e il decreto di trasferimento, prima che l’assessore Purpura, che si è appena insediato (il 6 novembre), possa avere il tempo, come da lui espressamente chiesto, di esaminare la documentazione sul caso Siracusa. Non solo quella consegnatagli dal suo dg, ma anche quella della soprintendente Basile. L’archeologa stava lavorando all’istituzione del Parco archeologico (delimitato per decreto assessoriale nell’aprile scorso), sentinella a presidio del territorio, e, se le avessero dato il tempo, avrebbe atteso anche all’approvazione definitiva del Piano paesaggistico (Pp), adottato nel 2011, che finora ha garantito l’inedificabilità delle molte aree su cui si accentrano gli interessi speculativi dei talebani del cemento. Una guerra che in confronto quella mossa dai viticoltori in Toscana al Piano paesaggistico sembra tema da idillio bucolico. Ma siamo su un altro pianeta, in una Regione che, in controtendenza, ha appena emanato una legge (n. 65/2014, Norme per il governo del territorio) che mette al centro il raggiungimento di un equilibrio stabile tra urbano e rurale. Mentre la Sicilia, che pure nel 2005 aveva elaborato un «Piano di Riqualificazione Territoriale» (dal Centro per il Restauro diretto da Guido Meli, riedito, aggiornato nel 2012), ha pensato bene di applicarlo, non su una realtà territoriale isolana, ma al costruito storico del Cairo. Certi esperimenti meglio farli lontani da casa!
Dal carteggio di Basile emergono anche le modalità ambigue dell’ispezione dello scorso agosto che ha portato alla sua sospensione. Ma è l’intera storia a essere lastricata di incongruenze, di forzature nelle prassi d’azione e delle regolari tempistiche, di esercizio discrezionale del potere. E di distacco dai valori etici, se non ci si fa scrupolo d’infangare la carriera ormai giunta all’epilogo di una stimata studiosa (in pensione in maggio), dirigente d’indiscussa rettitudine. La Procura romana parla di «metodo mafioso». In Sicilia suonerà, forse, meno sensazionalistico l’accostamento di questo aggettivo a modi e prassi altamente discutibili. Sta di fatto che accadono cose non proprio regolari a Siracusa, sicuramente non in linea con lo spirito del Ptpc.
Abbiamo chiesto, per esempio, all’assessore Purpura, uno: se sia normale che a ricoprire l’interim della Soprintendenza, in una situazione così delicata, sia stato chiamato un architetto, Calogero Rizzuto, imputato in un processo a Ragusa per aver rilasciato un’autorizzazione relativa alla costruzione di una villetta nella fascia dei 150 m del mare intestata alla moglie di Raffaele Lombardo, allora presidente della Regione, condannato per concorso esterno all’associazione mafiosa. In questo caso non solo non sono stati adottati provvedimenti cautelativi del tipo di quelli applicati a Basile, ma addirittura al dirigente in questione è stato conferito, non si sa bene in base a quale criterio o norma, un incarico ancor più prestigioso di quello rivestito originariamente (dirigeva la Casa Museo A. Uccello di Palazzolo Acreide). Due: se non ci sia un intervento a orologeria, come denunciato da Patti dei Verdi Siracusa (che ha inviato un documento alla commissione regionale Antimafia sull’«affaire Soprintendenza») nella polemica sollevata dallo stesso Rizzuto sul degrado del teatro greco e sulla presunta mancata azione di tutela, al solo scopo, sembra, di screditare Lanteri e Basile. «Il progressivo deterioramento del teatro greco è un problema annoso, ci spiega quest’ultima, che tutti i soprintendenti hanno cercato di affrontare; in primo luogo, limitando - alcuni - l’uso del teatro; negli ultimi tempi, con la presentazione di alcuni progetti, non finanziati».
I progetti, infatti, ci sono, non uno, due (fondi Ue e Arcus), rimasti però sulla carta. I motivi della mancata ammissione al finanziamento li si dovrebbe andare a chiedere all’allora soprintendente Mariella Muti, la stessa che nel 2009 aveva espresso parere di fattibilità sul progetto del Porto Grande bloccato da Lanteri–Spataro–Trigilia, o durante la cui gestione fu approvato anche il discusso Piano regolatore generale di Siracusa, che considera edificabili aree di rilevante interesse archeologico e paesaggistico, lasciando, invece, nel cassetto il Piano paesaggistico elaborato dall’Università, poi adottato nel 2011. Con i progetti fermi, una soluzione, però, era stata comunque trovata. «Il Centro Regionale del Restauro, ci racconta ancora Basile, aveva svolto nel 2011, su incarico dell’allora soprintendente Concetta Ciurcina, uno studio molto accurato sullo stato e sulle cause del degrado (attribuendole principalmente alla natura stessa del calcare, agli agenti atmosferici e alla pressione antropica), propedeutico alla redazione, sempre da parte del Centro, di un ulteriore progetto di restauro. Il “valzer dei soprintendenti” e di tutti i vertici del Dipartimento ha messo in stand-by la redazione del progetto; ma le linee guida dello studio preliminare erano chiarissime, e semplici, e si basavano su due punti: 1. Risarcimento delle lesioni più urgenti; 2. Controllo della vegetazione, risolvibile solo con una costante manutenzione ordinaria finalizzata al diserbo manuale quotidiano. Con Rosa Lanteri, avevamo quindi concluso un accordo con il Comune di Siracusa; avremmo utilizzato ogni anno una somma di 100mila euro tratti dalla quota spettante al Comune sullo sbigliettamento della Neapolis (il 30% degli incassi che da convenzione ex art. 7 L.R. 10 del 27.04.1999 vanno al Comune che li deve reinvestire nei siti, Ndr), per un intervento di manutenzione straordinaria, e in più avremmo assicurato, con uno o due operai, sempre a carico della quota comunale, il diserbo quotidiano per sette mesi; per gli altri cinque, il diserbo quotidiano è assicurato dall’Inda, nell’ambito della convenzione annuale. Al momento in cui sono stata sospesa, il programma non si era avviato perché il Comune non aveva ancora - a seguito delle nuove norme sull’erogazione della quota ad esso spettante, ora effettuata dalla Regione e non più direttamente dalla Soprintendenza, con conseguente rallentamento dei tempi di trasferimento delle somme - la disponibilità materiale dei fondi, e non poteva quindi assumere l’impegno di spesa».
Il reperimento dei fondi non sarebbe un problema se il nuovo assessore completasse l’iter che stava seguendo Basile, procedendo alla definitiva decretazione del Parco archeologico e alla nomina del comitato di gestione. In questo caso tutti i soldi dello sbigliettamento (3 milioni di euro) resterebbero al Parco (che avrebbe una gestione autonoma) e non nel calderone dei fondi regionali, con la conseguenza che si potrebbero programmare tutti gli interventi necessari. Sul Parco, per di più, non gravano le spese per i custodi e il personale (che si attestano sempre al Dipartimento), per cui si sta parlando di una bella cifra.
E poi, prosegue Basile, «non c’è alcun bisogno di “esperti internazionali di lapideo”. Per affrontare il problema del teatro greco: occorre semplicemente controllare l’impatto antropico sul monumento, limitando l’uso del teatro, sottoposto a rigoroso protocollo d’intervento, a quella che è ormai una radice culturale identitaria della città, cioè l’Inda con sue rappresentazioni classiche, e assicurando la costante manutenzione quotidiana». Quando parla di «esperti internazionali del lapideo» Basile fa riferimento a Lorenzo Lazzarini dell’Iuav e al suo sopralluogo effettuato insieme allo stesso Giglione, a fine dicembre. «Ennesimo sperpero di denaro pubblico», secondo Patti dei Verdi, per il quale ha pronto (oltre a quello già inviato all’Antimafia) un documento da consegnare alla Corte dei Conti: un atto rivolto nei confronti del soprintendente Rizzuto, ma anche del dg Giglione, «per le doppia nomina delle archeologhe Mariella Musumeci e Rosa Lanteri alla guida dell’unità operativa Beni archeologici».
Ma questo sopralluogo ufficiale, era stato preceduto (un’altra della tante stranezze siracusane) dal siparietto dei due architetti che erano piombati sul sito, qualificandosi come «tecnici incaricati di fare un rilievo». Tecnici esterni all’Amministrazione, s’intende. Ma incaricati da chi? Giglione ci dice di non saperne nulla, anche se in futuro «si potrebbero coinvolgere progettisti esterni». È questa l’alta considerazione in cui tiene gli specialisti a lui sottoposti? Non sa Giglione che un organismo tecnico-scientifico dell’Assessorato, il Centro regionale per la Progettazione e il Restauro, ha già fornito una soluzione e che si tratta solo di renderla operativa? Centro al quale, per fare un esempio eccellente, si deve pure il progetto per il nuovo tegumento e il restauro degli apparati decorativi della Villa del Casale. Firmato dall’allora direttore Guido Meli (in pensione dallo scorso ottobre), è frutto di una lunga ricerca interdisciplinare che ha visto impegnate professionalità di alto livello del mondo della ricerca scientifica e accademica, e per il quale sono stati adottati i più recenti indirizzi metodologici del restauro, discussi e concordati con i tecnici dell’Opd. Quali grandi luminari accademici si sono presentati, invece, ai cancelli del teatro greco di Siracusa? Su Facebook spunta uno dei due «fantasmi», l’architetto Arturo Alberti, a parlare di un «giro» per il teatro, producendosi in una prosopopea sui mancati interventi conservativi da parte dell’Istituzione competente.
Come ormai sappiamo, Giglione ha «fretta» e vuole risolvere un problema pluridecennale con un restauro impegnativo, sebbene si sia in una fase transitoria, con Basile sospesa, un soprintendente ad interim e la sentenza del tribunale del Lavoro di là da venire. Dopo la quale si è in attesa, comunque, della riconferma nell’incarico dell’archeologa.
Siracusa über alles. Perché la sollecitudine di Giglione si appuntata esclusivamente sul teatro del colle Temenite e non sulle condizioni di altri teatri siciliani? È ancora la dimensione generale del problema ad essere ignorata. Basti pensare, per esempio, allo stato forse più grave di quello di Taormina, contenitore svenduto anche a concerti rock o pop, che superano abbondantemente i limiti di decibel compatibili con la tutela del monumento.
Rotazioni totali alla Soprintendenza di Agrigento
Rizzuto rassicura: «non c'è spazio per l'interpretazione della legge da parte dei dirigenti né di alcun funzionario regionale. Il patrimonio sarà tutelato dalle norme». Basile ci ha già illustrato, al contrario, gli scenari di un concreto agire in cui la tutela, materia tecnico discrezionale, si presti a essere usata non per conseguire la salvaguardia del patrimonio, bensì pure ad avallare iniziative speculatorie, persino in deroga a vincoli monumentali o paesaggistici. Se non bastasse l’inchiesta romana a rivelare come gli uomini del clan con dinamiche mafiose dell’ex Nar Carminati potevano contare su funzionari corrotti al punto di diventare clienti preferenziali nell’affidamento degli appalti, nella stessa Sicilia, dall’agosto scorso risultano indagati dalla Procura di Agrigento funzionari e dirigenti della Soprintendenza per aver consentito l’avvio dei lavori per un villaggio nel sito vincolato di Scala dei Turchi, con tanto di piscina, questa sì, sul mare. La ditta che stava costruendo, la Co.Ma.Er, è siracusana e il progettista, il geometra Daniele Manfredi (raggiunto da un avviso di garanzia) è lo stesso di un’altra colata di villette in quel di Eloro (Siracusa), recentemente bloccata dal Comune di Noto. Eppure su Agrigento, nonostante l’intervento della magistratura, Giglione non ha tutta la fretta dimostrata per Siracusa. Prende provvedimenti solo a distanza di diversi mesi, e solo dopo che viene sollevato il caso del trio Lanteri–Spataro–Trigilia. Il 26 novembre, quindi, dà il via alla rotazione di tutti i dirigenti (10 su 10), non solo quelli indagati. Tutti all’interno della stessa Soprintendenza, e non verso altri Istituti, come i musei o il Parco della valle dei Templi. La soprintendente Caterina Greco, a vicenda giudiziaria in corso, non può fornirci il nuovo organigramma. Nel mucchio sembra, in ogni caso, che sia riusciti anche a spostare senza dare troppo nell’occhio tecnici «scomodi» e a aggiustare postazioni «strategiche». Anche ad Agrigento, come a Siracusa, il Piano paesaggistico è stato solo adottato e non ancora approvato e per questo suscettibile di ritocchini ad hoc (per esempio, un livello di tutela che per certe aree «delicate», da 3 potrebbe scendere a 2 o a 1).
Messina non toccata, malgrado l’esistenza di un’inchiesta della magistratura. E a Ragusa si ruoterà?
Va di corsa il dirigente. Così di corsa da non avere il tempo di conoscere lo stato dell’arte degli altri Istituti. Non sa, per esempio, che a Messina c’è in atto un intervento della magistratura a carico di due funzionari della Soprintendenza indagati, anche questi dallo scorso agosto, per aver rilasciato parere favorevole al mantenimento di opere per una villa dell’attore Luca Barbareschi eseguite in difformità di autorizzazione paesaggistica. Di mezzo c’è ancora una piscina, anche questa a ridosso del mare. Naturalmente, né per questi dirigenti, né per il Soprintendente di Messina (come nel caso di Siracusa) sono stati adottati provvedimenti, né cautelativi né di rotazione.
E con Ragusa, poi, come la mettiamo? Tutti al proprio posto, nessuno a rischio di corruzione, anche se la soprintendente Rosalba Panvini ha rilasciato l’autorizzazione paesaggistica per le attività di ricerca degli idrocarburi nella vallata dell’Irminio, pur in presenza di un Pp che non consente la realizzazione di impianti industriali. Qui la Soprintendenza va d’amore e d’accordo col dg, premurandosi di munirsi di un parere di quest’ultimo che afferma che «il piano paesistico si limita a tutelare l’ambiente nel suo aspetto visivo e non interferisca negli ulteriori profili in cui si sostanzia la complessa nozione di ambiente». Intanto Legambiente diffida la soprintendente e il Dipartimento e annuncia di agire presso le competenti autorità giudiziarie, civili e penali. E denuncia pure cose strane, tipo «la presenza esplicita nell’autorizzazione paesaggistica del riferimento all’accordo del presidente della Regione con Assomineraria. Non ci saremmo mai aspettati di trovare in un atto amministrativo un riferimento a una decisione politica»; o la solita fretta per cui «si decide di cambiare oggi il parere dell’ex soprintendente Ferrara, quando fra qualche mese si sarebbe approvato il Piano Paesaggistico e allora il parere di massima si sarebbe trasformato in parere definitivo o diniego».
La Soprintendenza di Palermo a rischio paralisi
Diverso il caso della Soprintendenza di Palermo, con lo stesso scenario, però, d’indebolimento dell’azione di tutela per il rischio di vedere paralizzato il funzionamento di uffici particolarmente «delicati». A metà novembre sono stati disposti trasferimenti d’ufficio, con decreto dal Dipartimento della Funzione pubblica, di undici persone per essere messe a disposizione del Dipartimento della Formazione. Cinque sono dell’unità operativa Beni architettonici diretta da Lina Bellanca, tutti funzionari direttivi di ruolo, progettisti, coprogettisti o responsabile unico del procedimento in cantieri in corso, sia quelli finanziati dal Ministero degli Interno (Patrimonio Fec), che con fondi regionali, che dalla Comunità Europea con scadenze incombenti e rischio di definanziamento (è stato allontanato anche il responsabile della rendicontazione delle misure comunitarie 2007–2013).
Esigenze di razionalizzare la distribuzione del personale regionale, la spiegazione ufficiale. Un nonsense, nei fatti: la Soprintendenza a corto di personale, aveva già fatto diversi atti di interpello. Per i cobas: «È stata fatta la carneficina di uffici operativi e altamente specialistici con grave riverbero sul funzionamento e sull’efficienza della macchina amministrativa, con presumibili danni all’Erario. Tutto questo per la smania di apparire sulla stampa con azioni che sono soltanto frutto di una becera demagogia contro i dipendenti regionali». Il trasferimento è ancora bloccato, per la ferma opposizione del soprintendente Maria Elena Volpes, ma non revocato. Non è il primo trasferimento d’ufficio, perché già nel marzo 2013 la Soprintendenza aveva perso alcuni funzionari direttivi, trasferiti al Dipartimento Territorio e Ambiente, e non più rientrati (doveva essere temporaneo per un anno). «Divenendo operativo questo trasferimento, mi troverei, ci dice Bellanca, priva degli unici collaboratori esperti nel cantiere di restauro, non potendo peraltro coinvolgere in questa attività il restante personale tecnico di cui dispongo, dipendente dalla società Sas, non di ruolo che fra l'altro, non posso neppure comandare in missione. Il personale della Regione è sicuramente in sovrannumero rispetto alle esigenze lavorative, ma mal distribuito e appesantito da dissennate assunzioni di personale non selezionato e qualificato. Posso solo augurarmi che un eventuale trasferimento d'ufficio sia filtrato da una preventiva consultazione con gli Uffici del Dipartimento dei Beni culturali, in modo da evitare che scelte non concordate possano causare grave disservizio presso la Soprintendenza, già fortemente depauperata dalle recenti riorganizzazioni (due nell'arco di quattro anni!). Stiamo attraversando una fase molto delicata, ci dice Bellanca. Dalla riforma della dirigenza regionale nel 2000 il settore dei Beni culturali ha subito le conseguenze di una concezione del tutto fuorviante per cui la specifica competenza in questo campo non costituisce più elemento essenziale per svolgere il proprio lavoro (un architetto può dirigere un laboratorio di chimica o uno storico dell’arte un museo archeologico, Ndr)». E sul nuovo trend della rotazione permanente per combattere la corruzione, commenta: «Si parte dal presupposto che i dirigenti siano intercambiabili. Questo principio è stato trasferito ora anche ai funzionari direttivi. Anni di esperienze lavorative, studi e motivazioni vengono bruciate in nome di una presunta esigenza di fare pulizia rispetto alla corruzione nella pubblica amministrazione, trasferendo, come è ovvio, l’eventuale mela marcia da un Dipartimento all’altro».
Conclude, quindi: «Non le nascondo che è sempre più difficile lavorare in questo contesto, tanto più che le persone più qualificate sono via via andate in pensione e non si hanno più riferimenti per competenza e valore culturale cui potere fare affidamento. Le recenti rotazioni che hanno interessato i miei colleghi di Siracusa e Agrigento rendono precaria qualsiasi posizione dirigenziale. Avevo firmato un contratto a febbraio con Sergio Gelardi (dg precedente, colui che ha voluto i piani paesaggistici regionali o a cui si devono le linee guida dei Parchi archeologici siciliani, e che istituì il primo ufficio per l’arte contemporanea della Regione, altra storia e altro calibro, insomma, Ndr), mai registrato, dopo avere seguito la procedura prevista delle manifestazioni d'interesse e valutazioni dei curricula. Ho firmato un nuovo contratto per la medesima postazione con Giglione a novembre, ma non ho alcuna certezza per il futuro, perché si vuole proprio stabilire il principio che si possa ruotare in qualsiasi momento, mentre la macchina amministrativa, a seguito di questo continuo turbinio di rotazioni, non funziona più».
La presunta illegittimità del Dirigente generale
Difende tutta la linea, Giglione, e ha pure voglia di ironizzare, quando ci dice che se Spataro e Lanteri sono stati confermati è stato «per la stampa che ha già eccessivamente montato il caso siracusano». A sua volta, però, si ritrova sotto la lente dell’anticorruzione. Una Sicilia caparbiamente legalitaria, altro che assessorato della Legalità di Ignazio Marino! Il giornale Meridionews ha tirato fuori (20 novembre, e poi ancora il 15 dicembre), infatti, il tema della presunta illegittimità di Giglione, che ricopre due incarichi (presidente del Comitato di Gestione della Spi, Sicilia Patrimonio Immobiliare, società partecipata al 75 per cento dalla Regione siciliana, e dirigente generale) che, stando al Decreto legislativo n. 39 del 2013 (decreto anticorruzione), sarebbero tra loro incompatibili. Nell’intervista (20 novembre) a Angela Barone, componente della direzione regionale del Pd siciliano, quest’ultima sottolineava anche che «questa doppia presenza si trascina da lungo tempo, e cioè sin da quando lo stesso, già vicepresidente della Spi venne nominato dall'allora presidente della Regione Raffaele Lombardo dirigente generale dell'Azienda Demaniale Foreste. Mi auguro, conclude, che l'assessore Antonio Purpura ponga fine a questa incredibile storia». Quest’ultimo, infatti, ha la facoltà di cambiare il dirigente generale entro 90 giorni dal suo insediamento. Lo stesso giornale ritornando sulla faccenda (il 15 dicembre) esprimeva, poi, «perplessità di ordine logico-politico, essendo di fatto totalmente inopportuno che il soggetto posto a capo del dipartimento chiamato a tutelare e proteggere il patrimonio culturale della Regione siciliana, anche mediante espropriazioni, imposizioni di vincoli ed esercizio di prelazioni, sia contemporaneamente anche il soggetto chiamato a valorizzare, cioè a cedere ai privati, al massimo prezzo, il patrimonio immobiliare della Regione siciliana!».
Sullo sfondo gli scenari politici siciliani e romani
La distanza tra dg e assessore si misura nella dichiarazione che ci ha rilasciato quest’ultimo: «Siracusa è un nervo scoperto, che intendo riportare quanto prima nei canali della normalità». Ripristinare il prima possibile lo stato ex ante, l’imperativo. Lo si è già fatto con la conferma di Spataro e Lanteri, e lo si farà, come ingiunge il tribunale, con il reintegro di Basile. Ha fretta anche lui, insomma. Siracusa è un nervo scoperto per lo straordinario accentrarsi d’interessi speculativi: la Balza Acradina, con 71 villette più 2 centri direzionali e viabilità annessa; Tremilia, con le 500 villette sotto le mura dionigiane; la riserva in fieri della Pillirina, con l’ombra di un villaggio turistico, che ne chiede la drastica riduzione e che potrà essere ostacolato solo dal Piano Paesaggistico se entro il 2015 non verrà formalmente dichiarata riserva naturale; e la costa sud tra Siracusa e Cassibile, già devastata in passato da una selvaggia cementificazione a ridosso della costa, con lo spettro di nuove lottizzazioni e altri villaggi turistici.
L’assessore ha chiesto al suo dg «la redazione e l’adozione di criteri generali condivisi e trasparenti», prima di sottoporre altri dirigenti e funzionari a spostamenti più vorticosi del movimento degli elettroni all’interno della molecola (dal 2010, con cadenza biennale, si attuano già rotazioni in base alla famigerata legge 10/2000, che regola i rapporti di lavoro alle dipendenze della Regione). «Uniformità di trattamenti e chiarezza di criteri è la condizione minimale perché un amministrazione funzioni», aggiunge. Resta il fatto che le regole si stanno facendo solo a partita in corso. A Roma, ancora, misura all’insegna della garanzia della legalità, si è stabilito di definire prima, non a cose fatte, i criteri per la rotazione dei dirigenti capitolini.
L’assessore che sconfessa il suo dg non può essere spiegato solo in chiave politica siciliana (lo scontro tra l’area dem e il pdr). Con il Crocetta-ter i democratici e il governatore siciliano hanno ritrovato l’intesa. E al Pd nazionale alle prese con l’urgenza di altra ben più pesante emergenza di normalizzazione (Roma, ma anche la vicenda Mose con due deputati Pd finiti nel registro degli indagati), tutto serve tranne che un assessore siciliano, tecnico sì, ma pur sempre espressione del partito, che avalli certe pratiche poco chiare. E ciò fatto salvo che il docente di Economia sia persona stimata e trasversalmente considerata «per bene».
E il governatore Crocetta? Lui che aveva caldeggiato le dimissioni di Sgarlata per una piscina che alla fine è risultata lecitamente autorizzata, soltanto a sentenza emanata telefona a Basile per congratularsi, ma finora non si era pronunciato sui fatti siracusani, né tanto meno su quelli della altre soprintendenze. Lui che nel dicembre 2012 rispondeva a suon di limoni, arance e palme al sogno dell’allora assessore–fisico Zichichi di una Sicilia piena di centrali nucleari, dice sì alla ricerca degli idrocarburi nella vallata dell’Irminio e nel canale di Sicilia. Promette «non daremo nessuna autorizzazione che non sia rispettosa dell’ambiente». Ma allora perché si dà tanto affanno il soprintendente del Mare nel denunciare il rischio che corrono i banchi dello Stretto di Sicilia, «a dispetto della loro importanza naturalistica, ecologica, economica e culturale. Oggetti d’iniziative (anche parchi eolici) paradossalmente giustificate e addirittura motivate da presunte quanto inverosimili attenzioni per l’ambiente»?
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